APPROCCIO SISTEMICO PER COMPRENSIONE: ULTERIORI CONFERME SCIENTIFICHE       

( Contesto, compito, intenzionalità, complessità)

Secondo un nuovo studio, la memoria di lavoro ed altre funzioni esecutive nei bambini e nei giovani, possono essere associate al successo che essi riscuotono sui campi di calcio.

I ricercatori del Karolinska Institutet in Svezia, così come già riferito diversi anni fa da Marianna Bottiglieri, sostengono che le squadre che si focalizzano troppo sulle qualità fisiche, rischiano di lasciarsi sfuggire futuri campioni.

Sono pervenuti a queste conclusioni, studiando un gruppo di giovani calciatori svedesi (tra i 12 e i 19 anni) d’elite.

Andando più nello specifico sono state quantificate le prestazioni in diversi test riguardanti principalmente attenzione, memoria di lavoro, inibizione, flessibilità cognitiva e, più in generale, funzioni esecutive.

Secondo un’altra ricerca dell’Istituto di neuroscienze del Cnr di Pisa e dell’Università di Firenze, due aree cerebrali, la corteccia visiva primaria e quella secondaria, ci permettono di renderci conto della realtà.

La percezione è diretta, immediata, non è una interpretazione cognitiva e rende inscindibile la relazione tra giocatore e ambiente. 

Non esiste azione senza percezione e percezione senza azione.

Ciò che mette in relazione la percezione e l’azione è il compito da svolgere.

La percezione dipende dal compito e già mentre si percepisce si immagina l’idea di una azione che dipende dal compito e dalla percezione perché gli inviti ad agire (le affordance) saranno diversi da soggetto a soggetto.

Le funzioni esecutive consistono in alcune funzioni cerebrali di controllo, che permettono agli essere umani di adattarsi ad un ambiente in uno stato perpetuo di cambiamento e di compiere esperienze agite all’interno di uno spazio relazionale  fondato su un sistema di regole condivise e necessarie alla sua stessa pratica, i cui obiettivi e finalità sono negoziati e partecipati (Maulini, 2006).

Esse includono il pensiero creativo finalizzato al cambiamento rapido di strategie, la ricerca di soluzioni nuove ed efficaci, e la repressione di impulsi disadattivi.

Queste funzioni dipendono dai lobi frontali, che continuano il loro sviluppo fino all’età di 25 anni circa.

Esse sono alla base dei processi mentali finalizzati all’elaborazione di schemi cognitivo-comportamentali, i quali sono dei processi che permettono al calciatore di pianificare e attuare progetti finalizzati al raggiungimento di un obiettivo. Alla  base delle funzioni esecutive si presentano il controllo e la pianificazione del comportamento, il problem solving, l’attenzione, il controllo degli impulsi, l’autoregolazione, la memoria di lavoro e la flessibilità cognitiva, tutte caratteristiche utili ad adeguare la mente a nuove condizioni contestuali di ogni eventuale imprevisto durante l’arco della partita. Le capacità cognitive quindi, diventano quasi più importanti di tutte le altre, anch’esse necessarie,andando ad incidere in maniera significativa sulla performance del calciatore, dove sono essenziali doti di improvvisazione sia con il possesso della palla che tramite movimenti senza di essa.

La velocità di decisione e di anticipazione durante una gara possono cambiare le sorti di un’intera partita o stagione e una decisione sbagliata può compromettere il risultato di tutta la squadra.

All’interno di un contesto dinamico un sistema percezione-decisione-esecuzione “ veloce” è il valore aggiunto che si ricerca nello sport di situazione.

Bambini che giocano a calcio. (Grazie al sito Nostrofiglio.it per l’immagine)

Per esempio, il calciatore deve avere la capacità di monitorare costantemente le situazioni di gioco e i movimenti degli avversari, prendere decisioni rapidamente, adattarle al contesto presente e avere la capacità di modificarle se cambiano variabili intorno a lui.

Deve avere una buona attenzione, buone capacità mnemoniche, buone capacità strategiche e di inibizione delle risposte automatiche, che potrebbero invece portare a commettere errori decisionali.

Date queste premesse, è plausibile pensare che le attività sportive nella prima infanzia (es. le scuole calcio), debbano prestare un’attenzione particolare allo sviluppo di tali funzioni, perché contribuire al loro incremento permette di migliorare la performance.

Rapidità, capacità di anticipare o prevedere le mosse dell’avversario, adattarsi ad un contesto dinamico, sono tutte variabili che possono avere un ruolo fondamentale nell’esito di una gara, così come anche la capacità di concentrazione.

La prestazione calcistica, quindi, risulta strettamente connessa allo sviluppo delle funzioni esecutive; il gioco nelle sue varie forme di per sé rappresenta il “ luogo elettivo“ per sollecitarle e implementarle: è chiaro quindi che strutturare ambienti formativi che siano finalizzati allo sviluppo delle capacità esecutive, possa essere importante per lo sviluppo dei bambini e l’acquisizione di quelle competenze che potrebbero essere utili anche in altri ambiti, come per esempio quello scolastico ( saper prendere informazioni e saperle collegare tra di loro, cooperare e collaborare, prendere decisioni individualmente e in seno e nell’interesse del gruppo, essere autonomo e responsabile)

Partendo da questi presupposti, l’idea di base è quella di procedere con un lavoro mirato a stimolare il Sistema Esecutivo, con vantaggi positivi a cascata per gli apprendimenti in generale, che molto dipendono da tale sistema per il loro sviluppo: ebbene cosa c’è di più specifico che immergersi  nella realtà del gioco?

Eppure,negli ambienti sportivi, frequentati da allenatori, giornalisti, opinionisti, spesso si sentono affermazioni come:

“Doveva fare una scelta diversa” o “I giocatori devono ragionare velocemente!” o ancora “Usiamo la testa per giocare”.

Ciò dovrebbe significare  attribuire un ruolo significativo alla capacità di agire rapidamente nel contesto del gioco.

E invece?

Gli allenatori rincorrono lo sviluppo nei propri “atleti” della resistenza, della forza, della tecnica avulsa dal gioco, nonostante la scienza oramai da almeno un ventennio ci conferma che è la capacità di prendere decisioni istantanee attraverso la connessione tra pensiero e azione, e la velocità dei processi cognitivi a essere fondamentale negli sport di situazione, di invasione, di contrasto, e ad altissimi complessità contestuale.

E allora, che fare. Quale strada ( nuova?) percorrere?

Per noi, questa:

Educare, sollecitare e perfezionare gli aspetti percettivi e cognitivi che precedono il movimento, accelerando il processo di percezione, elaborazione e azione nel, con e attraverso il gioco.

A completo suffragio di quello che sosteniamo possiamo fare affidamento su altre scoperte neuroscientifiche che negli ultimi anni hanno portato alla luce nuove prospettive sul funzionamento del cervello: neuroni canonici, neuroni specchio, teoria del tempo di attivazione di Benjamin Libet.

Queste scoperte ci invitano a sfidare il mito della frammentazione che è radicato nella teoria neurofisiologica classica, basata su un modello seriale del funzionamento cerebrale.

Purtroppo, questo modello, nonostante sia stato superato dalle attuali conoscenze neuroscientifiche, influenza ancora molto la teoria e la pratica dell’allenamento sportivo, compreso il calcio, ostacolando l’adozione di nuove prospettive.

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