COME STILARE UNA TOP 11 REALISTICA: INDICAZIONI PER L’USO

Una squadra di calcio, come insegnano i maestri di tattica, non è fatta di soli solisti che illuminano il campo con il loro genio. Se il pallone fosse una questione esclusiva di estro, potremmo infilarci Maradona, Pelé, Messi, CR7, Ronaldo Fenomeno e Cruijff tutti insieme, magari facendo tirare a sorte chi si sacrifica a coprire. La dura legge del gioco è, tuttavia, un’altra. Senza equilibrio, persino i giganti del calcio rischiano di essere schiacciati dal peso dell’anarchia tattica.

Perché, vedete, l’arte del gioco è fatta anche di muscoli, sacrificio e intelligenza posizionale. Senza centrocampisti capaci di spezzare il gioco, senza difensori che sappiano accorciare o allungare la squadra, l’idea di dominare la partita con soli “fantasisti” è un sogno che si infrange al primo pressing organizzato o alla prima ripartenza avversaria. Inserire fenomeni come Maradona e Messi insieme a CR7 e Ronaldo Fenomeno è un delirio estetico che non tiene conto della realtà del calcio, quella che richiede equilibrio in ogni reparto, una connessione tra la bellezza dell’attacco e la concretezza della difesa.

Gianni Rivera, tra i centrocampisti più completi, è sempre stato il primo ad affermare: che non servono dieci numeri dieci, bensì giocatori che sappiano anche coprire gli spazi. La verità, cari amici del pallone, è che una squadra di soli artisti rischia di subire contropiede su contropiede. Serve l’ossatura di uomini guida in difesa, come Beckenbauer, Scirea o Baresi, capaci di guidare la difesa e fare ripartire l’azione. Gente come Matthäus o Pirlo, che sanno interpretare il gioco, leggere il campo e dirigere l’orchestra. Perché nel calcio, come nella vita, anche le opere più maestose hanno bisogno di fondamenta solide.

Prendete il Real Madrid, squadra galattica per definizione. Eppure, il suo splendore non sarebbe stato possibile senza uomini come Claude Makelele, Casemiro, o Flavio Conceição. Pensate davvero che le magie di Zidane, Ronaldo o Figo avrebbero avuto la stessa potenza senza questi uomini a coprire ogni centimetro di campo, a fare il lavoro sporco, a donare equilibrio a una macchina altrimenti sbilanciata? Makelele, ad esempio, è l’archetipo del mediano perfetto. Non è stato il nome che ha brillato nei titoli dei giornali, ma quando lasciò il Real, la squadra ne risentì più di quanto qualsiasi stella offensiva mai partita avesse fatto.

Casemiro, stesso discorso. Il brasiliano non ha solo protetto la difesa, ha dato alla squadra la sicurezza per far avanzare il proprio gioco. E Flavio Conceição, che fuori dal contesto Merengue non è diventato una stella assoluta, era quel ponte tra difesa e attacco, l’equilibratore, il pezzo del puzzle che teneva tutto insieme. Senza questi giocatori, senza i mediani, una formazione è come un aereo senza ali: può sembrare magnifico, ma non potrà mai volare.

Un esempio di top 11 all-time

Spigolando tra i mille fantomatici all-time XI, ci siamo imbattuti in formazioni dove abbondano fuoriclasse, ma manca chi faccia legna, chi “sgobbi” davvero. Eppure, in una top 11 del Milan qualcosa si è finalmente raddrizzato. Una formazione, al di là dei nomi, tatticamente inappuntabile: Albertosi tra i pali, davanti a lui Tassotti, Baresi, Nesta e Maldini. In mediana Pirlo e Rijkaard a tessere e spezzare il gioco, Schiaffino mezzala, Rivera a orchestrare da trequartista. E in avanti? Due belve sacre: Shevchenko e Van Basten, terminali divini.

Provocatoriamente, ma non troppo, potremmo evocare il nome di Giovanni Lodetti, il Basleta: mediano tuttofare che ha vinto tutto in rossonero, nonché un Europeo con la Nazionale. Un giocatore capace di fare legna e sostanza, come in fondo faceva anche l’Ambrosini di Ancelotti, schierato spesso nelle sfide che contano, quelle dove la geometria serviva poco e il sacrificio molto. Ambro, con il suo passo ruvido e l’inclinazione al combattimento, figurava in quell’undici titolare che ha fatto la storia del calcio moderno, un esempio di come il cuore a centrocampo possa essere più decisivo di un tocco raffinato.

Immaginare una top 11 di tutti i tempi, beh, non può prescindere dall’inserimento di due calciatori difensivi, oltre ai pilastri del reparto arretrato. I nomi? In fondo, contano meno delle caratteristiche. Che si tratti di Vieira, Kanté, Makelele o Busquets, il prodotto finale rimane intatto. L’idea, però, è chiara: sorreggere l’impalcatura offensiva, bilanciare il genio con la sostanza. Anche tra i meno difensivi, occorre avere gente capace di rientrare, di pressare, perché quando hai già tre punte, nessun tecnico ti metterebbe un Messi (o un Kakà) al posto di un Gullit o un Bellingham. Sono loro, i mediani o l’ala che rientra, a dare ossigeno al Maradona o al Pelé, permettendo ai fuoriclasse di esprimersi senza catene.

Abbiamo visto formazioni che, sulla carta, potevano far tremare i polsi: un centrocampo e un attacco con Matthäus, Gullit, Cruyff, Maradona, Pelé e Ronaldo il Fenomeno. Giocatori che da soli potrebbero riscrivere la storia di questo sport. Eppure, con buona pace degli equilibri tattici, la fantasia si scontra con la realtà. Qualcuno ha persino ipotizzato schieramenti in cui figurava appena un centrocampista box-to-box, con Maradona o Cruyff a coprire il resto. Ma la verità è un’altra: anche se hai tutti questi fuoriclasse al loro prime, una squadra senza struttura, senza logica, non reggerebbe il confronto con un avversario anche solo decentemente organizzato. Siamo lontani dalla magia da copertina.

Grandi esempi dal passato

Pep Guardiola è il profeta del calcio offensivo, certo, ma mai a scapito dell’equilibrio. I suoi primi Barça? Messi rincorreva gli avversari, Pedro faceva altrettanto. E non era tutto poesia e palleggio: come Ancelotti che inseriva Ambrosini a proteggere Pirlo, anche Guardiola sapeva che serviva una solida muraglia davanti alla difesa. Ecco allora Busquets, frangiflutti indispensabile, e Yaya Touré, che con la sua fisicità faceva da guardaspalle a Xavi, il metronomo infallibile del possesso.

Riavvolgendo il nastro, pensiamo al Milan di Sacchi, o meglio, alla sinfonia del tecnico Fusignano. Un tecnico che, pur essendo cresciuto lontano dai lustrini del calcio aristocratico, aveva compreso che l’equilibrio nasce dal sacrificio e dalla disciplina, non solo dal talento puro. Gullit, Van Basten, Rijkaard: fuoriclasse di statura mondiale, sì, ma inseriti in un meccanismo collettivo, in cui ciascun ingranaggio doveva funzionare perfettamente.

Sacchi, un architetto del calcio, sapeva che il solo genio non basta, che la classe fine a sé stessa può diventare sterile se non supportata da guerrieri pronti a combattere su ogni zolla di campo. Ecco allora che accanto alle stelle brillavano calciatori di sacrificio, uomini capaci di interpretare quel pressing ossessivo, quel ritmo indemoniato, che faceva tremare le gambe agli avversari. Gente come Ancelotti, Baresi, Donadoni, capaci di annullare sé stessi per il bene del collettivo, pronti a coprire spazi, pressare, rincorrere, e a fare ombra ai campioni. Stesso discorso per Filippo Galli, Costacurta, Tassotti, Maldini, Evani, Colombo, etc…

Eppure, non c’era frattura tra classe ed equilibrio: la spinta in avanti, il coraggio nel palleggio, tutto conviveva con l’esigenza difensiva. Sacchi plasmava uomini, più che calciatori, predicando che ogni singolo elemento fosse al servizio di un’idea superiore, di un’armonia. Il Milan di Sacchi non solo vinceva, dominava. Ma lo faceva con la stessa grazia implacabile di un direttore d’orchestra. La squadra era un’opera, in cui anche la più piccola nota doveva suonare perfetta.

Conclusione

Quattro, cinque fuoriclasse là davanti, tutti a rincorrere un pallone che nessuno sa più dove si trovi. E a centrocampo? Il vuoto cosmico, il nulla che avanza. L’illusione d’un calcio fatto solo di tocchi, dribbling e piedi fatati… no, signori miei! Serve il sacrificio, l’argine, quella legna che nessuno canta mai. Il contenimento è poesia negletta, la zappa prima della rosa. Solo un folle, anzi, un esibizionista (e ve ne sono a iosa), inserirebbe una top 11 fatta di stelle senza una diga a proteggerle. E allora? Come sempre, meglio essere eretici che fuori dal mondo.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

4 risposte

      1. Bellissima vetrina di campioni che hanno fatto tanto bene al calcio oltre ovviamente a ricordarmi gli anni spensierati della gioventù!
        Ancora Chapeau Vincenzo per la certosina opera di ricerca spesa nel confezionare questo articolo!
        Un caro saluto.
        Massimo 48

  1. Buongiorno e complimenti: bell’articolo. Ma ricordiamoci, con tutto il rispetto per Ambrosini, che è stato però soprattutto grazie ai polmoni e alla grinta di Gattuso che quel Milan ha dominato permettendosi di schierare gente come Pirlo, Seedorf, Rui Costa, Rivaldo, Kakà, Shevchenko, Inzaghi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *