PERFORMANCE ED UMANIZZAZIONE – UNA PROPOSTA METODOLOGICA: DALLA SPECIFICITÀ DEL GIOCO ALLE COMPETENZE

Avendo l’opportunità di frequentare presso l’Università Cattolica di Milano alcune lezioni del Corso di “Teoria, Tecnica e Didattica degli sport individuali e di squadra”, dedicato al GIOCO DEL CALCIO, tenuto dal Prof. Antonello Bolis, coordinato da Edgardo Zanoli ,assistiti da Elena Vagni, all’interno del Corso di Scienze motorie e dello sport, proporrò, in una serie di articoli, le note raccolte in aula. Saranno appunti, come mi piace definire…sparsi.

In questa prima lezione Antonello Bolis introduce il corso partendo dall’intervista rilasciata da coach Julio Velasco al Corsera qualche giorno fa, sottolineando alcuni temi:

LA TECNICA – “molti allenatori puntano sulla tecnica, che è importante ma è un mezzo e non il fine. Il fine è il gioco e, il gioco è una questione più complessa”.

ALLENATORE – “un allenatore e, in genere, un leader…deve far fare le cose agli altri, deve convincere…per questo deve uccidere il giocatore che è stato, se non lo fa rischia di fallire e, più forte è stato, più forte il rischio è alto. Ma come si fa a convincere i giocatori? Bisogna essere empatici, devi capire che l’altro è altro, è diverso da te, devi motivarlo con la sua motivazione non con la tua”.

Tutto ciò passa dalla relazione con il giocatore.

IL GIOCATORE – “Messi forse non ha mai letto un libro…ma è un genio, com’è possibile? L’intelligenza non è solo quella teorizzata da Platone e Cartesio, il cervello funziona in modo specifico. Scannerizzare il campo come fa Messi o restare in equilibrio sulla trave come Simon Biles o Alice D’amato è una forma di intelligenza. Esistono diversi tipi di INTELLIGENZA che possono rendere una persona geniale in un campo ma non in un altro e non hanno nulla a che fare con la cultura”.

Altri articoli, dice Bolis, trattano il tema dell’atleta non meramente da un punto di vista tecnico o fisico-atletico. In essi si afferma che la qualità del pensiero di un giovane atleta, lo stile ottimistico rispetto a quello pessimistico incide in modo statisticamente significativo in termini di vantaggio competitivo, tenacia, impegno e sostegno offerto ai propri compagni al netto delle qualità fisico-atletiche o tecnico-tattiche possedute da ogni calciatore.

Entriamo nel campo dell’INTELLIGENZA EMOTIVA (Goleman) ossia una serie di capacità fondamentali e tra loro interconnesse che permettono all’individuo di essere consapevole di ciò che prova emotivamente e di non esserne sopraffatto. L’intelligenza emotiva consente di organizzare il proprio pensiero in modo che sia funzionale al raggiungimento dei propri scopi. In particolare nei momenti di difficoltà o quando le cose sembrano non andare nel verso giusto. Permette di essere consapevole di ciò che provano gli altri e dimostrarsi in sintonia con il loro vissuto stabilendo relazioni soddisfacenti, comprendendo situazioni sociali e negoziando soluzioni fino a manifestare una certa attitudine alla leadership.

Le SOFT SKILLS cioè quelle competenze trasversali che non sono solo di tipo cognitivo in senso stretto ma abbracciano la capacità di stare in gruppo, di comunicare, di leadership, di reagire all’errore, di essere propositivi, proattivi e così via.

Bolis conclude dicendo come gli accenni fatti sui temi sopraelencati siano collegati, interconnessi. Ad esempio se la TECNICA È UN MEZZO e non il fine ci dovremmo domandare come ALLENARE LA TECNICA e ancora a quale RELAZIONE CON IL GIOCATORE deve pensare l’ALLENATORE. La risposta ci porta al tema della MOTIVAZIONE, quanto coinvolgimento delle parti, quanta capacità di rendere il giocatore consapevole delle proprie paure, dei propri punti di forza e delle proprie debolezze, tutti temi che ci portano ad un altro grande tema, quello dell’APPRENDIMENTO.

Questo corso di TEORIA TECNICA E DIDATTICA DEGLI SPORT INDIVIDUALI E DI SQUADRA – CALCIO si domanda e vuole provare a dare delle risposte ai seguenti quesiti:

CHE RELAZIONE C’È TRA TUTTI GLI ASPETTI SOPRAELENCATI, si può fare calcio affrontando questi argomenti in maniera distinta e separata oppure tutte queste componenti/dimensioni fanno parte di un tutt’uno? Come stanno insieme tutti questi elementi e/o come li teniamo insieme?

L’utilizzo del termine come ci introduce ad una questione di metodo. Quale metodo può favorire lo star dentro a questa COMPLESSITÀ, come tradurre in UNITARIETÀ tutti questi fattori a loro volta si traducono nel gesto tecnico, nella presa di decisione, nella cosiddetta “giocata“?

La parola passa a Edgardo Zanoli

Le sue prime parole fanno riferimento al percorso universitario che gli studenti hanno intrapreso e che li porterà all’acquisizione di un titolo, un titolo che non permetterà a tutti di svolgere l’attività di preparatore atletico ma con una competenza più specifica e più ampia del gioco del calcio potrebbero ottenere un impiego come match analyst, allenatore, scout poichè, oggi, le figure che compongono uno staff sono aumentate, nello staff si lavora insieme e al suo interno un preparatore non può esimersi dal conoscere bene il gioco, dal dover esprimere anche la propria opinione non soltanto rispetto alla condizione atletica e/o sul cosa fare dal punto di vista atletico.

Zanoli tiene a sottolineare che verrà proposto un modo di vivere il calcio che non è giusto o sbagliato (certo per noi è giusto sottolinea) ma è il risultato di anni di esperienze vissute in ambiti di prime squadre e settori giovanili, contesti di formazione, settore tecnico di Coverciano e via dicendo…è un modo particolare, non è il modo che va per la maggiore, troverete pensieri differenti, un approccio che ci ha portato dei risultati e qualche difficoltà perchè è in controtendenza rispetto a tanti stili metodologici, che invece vanno per la maggiore soprattutto in Italia.

La prima cosa che va in controtendenza è legata, come anticipato da Bolis, a come allenare la tecnica. Zanoli fa un cenno alla modalità delle lezioni che vorrebbe essere dialogica, interattiva e non un monologo unidirezionale. Partecipare alla discussione significa darsi un’opportunità formativa, non partecipare significa rinunciare: vale per i formandi (studenti) che per il formatore( docente).

Si augura che, al termine del corso, i partecipanti accolgano uno sguardo un po’ diverso, perchè, per poter scegliere, bisogna conoscere più cose. Più complessifichiamo la nostra visione, cioè più idee siamo in grado di affrontare, ascoltare, più avremo possibilità di scegliere la nostra strada nel momento in cui andremo a lavorare.

La prima cosa da stabilire sono i termini che utilizzeremo. Oggi si tende, per velocità di comunicazione, ad utilizzare le parole chiave. Ciò che è fondamentale è conoscere il loro significato. Il primo esempio riguarda il termine EMPATIA. Zanoli coinvolge la classe che risponde in modo pertinente: il presupposto da cui partire è il sapere entrare in relazione con l’altro, essere EMPATICO significa mettersi nei panni dell’altro, anche in termini emotivi. È una competenza importantissima strettamente legata all’ UMANIZZAZIONE.

La competenza è uno strumento, quindi non è buono o cattivo di per sè ma è l’uno o l’altro in base a come la utilizziamo. L’EMPATIA è competenza e pertanto è uno strumento, molto forte e anche, a volte, pericoloso. In particolare quando si hanno ruoli in cui si lavora con altre persone e ancor più se ne abbiamo anche la responsabilità, essere troppo empatici può diventare un problema. L’esempio delle convocazioni per la partita: l’empatia può portare a star male quanto sta male il giocatore non convocato e, a lungo andare, un’utilizzo errato di questa competenza diventa insostenibile. Quando si ha un ruolo di responsabilità, di gestione di persone, significa anche che ogni tanto dovrò sentirmi “male”, “ingiusto”, “cattivo”.

Un ragazzo dall’aula suggerisce che bisogna avere autorevolezza nelle scelte. È l’opportunità di spiegare la differenza tra autorevole e autoritario: quando utilizzo il ruolo per far si che gli altri facciano quello che voglio io divento autoritario. Sono autorevole quando so usare il merito, quando do l’esempio, tra tanti, riguardo al rispetto delle regole.

Torniamo al tema della TECNICA: La alleno utilizzando dei mezzi o la alleno nella situazione di gioco?

Quando parliamo di situazione o situazionale ci riferiamo al gioco, non basta dire che ci sono in campo più giocatori, compagni ed avversari, per dire che mi sto allenando nel situazionale. Se parliamo di situazione dobbiamo tener conto di tutti gli elementi del gioco, la situazione più evoluta è l’11 vs 11, quando comincio a perdere gli elementi del gioco mi sto allontanando dal situazionale e mi sto avvicinando all’esercizio tecnico. Ricordiamoci: non c’è un giusto o uno sbagliato ma la domanda che devo pormi è – perchè lo sto facendo?- Sarà la risposta a dirmi se quello che sto facendo è giusto o sbagliato.

I mezzi di allenamento che utilizzo devono essere pochi. La differenza tra un allenatore bravo e uno meno bravo non è nel numero dei mezzi di allenamento utilizzati ma nella capacità di vedere ed eventualmente correggere i particolari dentro la situazione di gioco.

Ecco perchè ci sono allenatori che amano la tecnica e diffidano della situazione.

ESERCIZIO DI BALL MASTERY

Qual’è l’attinenza rispetto alla gara? Poco o niente è la risposta dell’aula.

Stanno facendo sensibilità nel contatto piede-palla ma, rispetto a tutta una serie di competenze che noi dovremmo dare ai giocatori non c’è traccia. La collaborazione ad esempio? La relazione tra giocatori?

Qualcuno tra i ragazzi in aula afferma che si tratta di un esercizio che allena il mantenimento delle posizioni o meglio delle distanze tra i giocatori. “Rispetto alla partita, che posizioni sono?” Risponde Zanoli, “c’è attinenza rispetto alle posizioni da occupare nella partita? Nessuna! C’è attinenza rispetto alle posture del corpo che si utilizzano in una gara? Pochissima! I ragazzi del filmato stanno apprendendo a giocare a calcio?”

Uno studente dice che questo esercizio si potrebbe fare saltuariamente come attivazione. Esce pertanto il tema del tempo: per quanto tempo faccio fare un esercizio simili ai miei giocatori?

“Se lo faccio costantemente per 10′-15′ ogni giorno, devo essere consapevole che sto favorendo l’apprendimento del ball mastery non del gioco del calcio”.

Viene ora proposto un video di “tecnica analitica applicata”, le cosiddette croci belghe.

ESERCIZIO DI TECNICA ANALITICA APPLICATA

Qui ci si avvicina di più a ciò che accade in gara anche se manca ancora una cosa fondamentale: la scelta. Se si esamina il video si evidenziano errori di tempo, di smarcamento, di trasmissione, di controllo. La ripetizione dell’errore è la ripetizione di un apprendimento sbagliato. Inoltre, andando avanti nel tempo, i giocatori hanno un calo di motivazione e quindi dell’attenzione perchè l’impegno cognitivo è minimo e, come detto, manca la scelta e quindi siamo lontanissimi dalla partita.

E allora torniamo a che tipo di apprendimento facciamo riferimento. Se penso che il giocatore apprenda calciando la palla contro il muro mi riferisco ad una modalità di apprendimento, se penso che il giocatore apprenda nella situazione di gioco mi riferisco ad un’altra modalità.

Spesso si sente dire che chi allena in situazione non allena la tecnica, non è vero, la allena diversamente. La tecnica allenata calciando il pallone contro il muro fa riferimento ad un’idea di apprendimento di fine ‘800, ripeto un gesto e quindi lo apprendo (comportamentismo). Uno studente chiede cosa fare quando si propone ad un bambino un gesto tecnico nuovo. Lo propongo nel situazionale o nell’analitico e poi trasferirlo nel situazionale? La risposta di Zanoli è: “Comincerei nella situazione, se non funziona proverei a semplificare il contesto”.

È l’occasione per introdurre il tema della differenza tra semplificare e scomporre una situazione di gioco: se perdo degli elementi del gioco sto scomponendo (avversari, palla, compagni…), se agisco sul numero dei giocatori in campo e sullo spazio di gioco, sto semplificando.

Torniamo al gesto nuovo. Cosa determina se i nostri giocatori eseguono bene quel gesto tecnico? L’efficacia! Se sono efficaci, lo sanno fare! Non si va sull’idea della pulizia del gesto tecnico perchè, se mi oriento in quella direzione, commetto l’errore di porre la tecnica come fine e non come mezzo. Tutte le ricerche, in ogni campo, ci dicono che non esiste una tecnica pulita e efficace valida per tutte le situazioni.

Spesso, riferirci ad un’idea di apprendimento comportamentista ci porta a definire il nostro modo di essere allenatore: l’obiettivo diventa fare in modo che il giocatore faccia esattamente quello che voglio io e nel momento in cui lo fa, la cosa mi soddisfa; penso di essere il più bravo di tutti e se il giocatore fa esattamente quel gesto o manifesta quel comportamento, sta facendo bene. Ci sono tanti allenatori e dirigenti che affermano che il giocatore bravo è quello che fa le cose che vorrebbero fare loro se fossero in campo, e quelle cose regalano loro delle emozioni. Ma, se ci riflettiamo, un allenatore dalla propria posizione non può vedere ciò che vede il giocatore e quindi come possiamo pensare che faccia la stessa scelta che faremmo noi da fuori?…Poi ci chiediamo perchè non cresciamo i talenti!

Il talento per definizione è colui che fa qualcosa che gli altri non vedono. Pertanto, tra un allenatore che vuole fare eseguire e quindi utilizza la tecnica quale fine, e uno che invece si considera il facilitatore del processo di apprendimento di quel giocatore, scelgo quest’ultimo, scelgo colui che è contento quando un giocatore lo sorprende.

Il contributo dell’allenatore è quello di aver creato le condizioni di apprendimento, di allenamento, tecniche, tattiche, psicologiche, emotive, per poterlo fare. Anche questo è UMANIZZAZIONE.

Altra questione che riguarda sempre la tecnica analitica: Che cosa ci facilita allenare in analitico? Fare tecnica analitica ci consente di poter contare quante volte il nostro giocatore compie un gesto, contare il volume delle azioni che compie, volume che penso significhi miglioramento. Noi, al contrario, pensiamo che la QUALITÀ sia sinonimo di MIGLIORAMENTO.

La domanda che l’allenatore deve porsi è la seguente: “Ho bisogno di controllare o sono in grado di perdere un po’ di controllo?”.

Oggi, la competenza che viene richiesta ai manager (e l’allenatore è un manager), di qualsiasi tipo, non è saper controllare ma esattamente l’opposto: saper perdere il controllo. Quando si perde il controllo e tutti vanno in ansia, l’allenatore/manager tiene la barra dritta perchè in quelle condizioni ci sa stare. La partita di calcio non la controlli perchè l’avversario non lo controlli e l’avversario non fa quello che vogliamo noi. Per cui, se so perdere il controllo, so stare anche dentro le partite, comprendo che su qualcosa posso incidere e su altre non posso.

Se dal punto di vista emotivo sono un allenatore che definirei “controllore e istruttore” probabilmente lavorerò con la tecnica analitica, penserò che farla significhi apprendere, che sia giusto che i giocatori facciano ciò che penso io e quando programmo l’allenamento sarò soddisfatto solo se lo termino nel tempo previsto. È proprio questo, questa precisione, che svilisce l’allenamento perchè è evidente che io non sia stato in grado di osservare e di capire cosa muta durante l’allenamento stesso, e non sia in grado di variare la proposta rispetto a ciò che serve ai giocatori.

Quando si fa tecnica analitica non si allena il transfer di apprendimento nel gioco, si allena la percezione del corpo – mi abituo a fare quel gesto – entro in confidenza con il gesto e quindi alleno l’auto efficacia. Quindi devo sapere ed essere consapevole di cosa sto allenando!

Il giocatore quindi non è un ripetitore di gesti ma è altro, è umano, esiste, ha dei pensieri, delle motivazioni, delle volontà, fa delle scelte.

Si va verso la chiusura e Zanoli da un’altra definizione di competenza: L’intreccio tra esperienza e teoria. Non basta sapere la teoria per essere competenti non basta conoscer la pratica per esserlo. In un’ottica circolare. Competenza come abilità aperta, non si finisce mai di dover rinnovare la propria competenza.

Velocemente si sofferma su METODO…faccio le cose, il cosa è l’obiettivo, quali strumenti/mezzi utilizzo per formare il calciatore…è la strada per…quale strada scelgo per andare in quella direzione…più tengo ampia la strada più avrò possibilità di scelta per andare a risolvere i problemi che incontrerò.

Abbiamo finora parlato all’interno di un’idea di APPRENDIMENTO che si definisce PSICO-SOCIALE e che contiene tutto il contesto sociale. Ciò sta a significare che anche quando facciamo qualcosa lontano dal campo ci stiamo comunque allenando (portare i giovani calciatori in un centro di riabilitazione è allenamento, fare video analisi è allenamento, parlare di regole e comportamenti e decidere insieme cosa usare è allenamento). L’approccio PSICO-SOCIALE tiene conto di tutto il contesto ma soprattutto del fatto che chi apprende è il vero motore dell’apprendimento. Se una persona decide di non voler apprendere, possiamo fare di tutto ma non riusciremo mai nel nostro intento perchè non riusciremo ad attivare la sua motivazione intrinseca.

L’ESSERE UMANO È L’ATTIVO COSTRUTTORE DEL SUO PERCORSO DI APPRENDIMENTO IN RELAZIONE CON L’ESTERNO.

Attivo significa che nel momento in cui un soggetto entra in un contesto ed è, appunto, attivo, non si adatta ma lo modifica anche solo con la sua presenza. Zanoli fa l’esempio: “Se in quest’aula entrasse una persona e si mettesse in fondo ad osservare, lo stato di quest’aula cambierebbe, perchè i ragazzi in fondo alla classe avrebbero una persona che li osserva e che non conoscono”.

“Quando noi facciamo qualcosa modifichiamo anche il contesto ed è qualcosa di profondamente diverso rispetto all’adattamento”.

È il momento del video di una squadra di settore giovanile che durante una partenza dal basso commette un errore in costruzione e subisce il goal. Zanoli sottolinea il comportamento dell’allenatore che prima di tutto stabilisce una relazione, in questo caso anche di contatto, con il giocatore, gli spiega dove ha sbagliato (presa di informazione e postura del corpo in ricezione) e poi fa ripetere la situazione.

COSTRUZIONE DAL BASSO

La richiesta di avere o di essere un allenatore umanizzante non vuole significare che si sia “buoni” o si voglia fare del “buonismo”. L’implicito tra allenatore e giocatore è il gioco del calcio: il giovane calciatore si allena con te perchè spera che tu, allenatore, lo faccia migliorare.

Ricordiamoci: l’UMANIZZAZIONE si utilizza pensando che favorisca la crescita del giocatore

L’ultima clip vede Maradona esibirsi nel suo secondo goal segnato all’Inghilterra nei quarti di Finale del Mondiale di Messico 1986, partendo da metà campo e dribblando diversi avversari. Ciò che dobbiamo sottolineare è come Maradona, da tutti considerato giocatore che risolveva le partite da solo grazie al suo talento, in una intervista, descrivendo il suo goal, divide il merito con i suoi compagni che distraevano con la loro presenza e i loro movimenti i difendenti inglesi.

INTERVISTA A MARADONA

Ciò ci fa riflettere sull’importanza delle relazioni di gioco in gara e come, anche il giocatore più forte di sempre, abbia bisogno dei compagni per mostrare tutto il proprio talento e renderlo efficace. Anche qui ne derivano considerazioni metodologiche riguardanti l’1v1: durata, contesto, inteso come spazio, e giocatori coinvolti, possibilità di scelta.

Sarei rimasto ad ascoltare per giorni ma il tempo è scaduto!

EDGARDO ZANOLI

BIO: Edgardo Zanoli

Metodologo, Formatore, Allenatore Uefa B,

Docente del Master in sport e intervento psicosociale

Universita’ Cattolica di Milano e Brescia

2 risposte

  1. Come sempre un piacere leggere, il dispiacere è pensare che persone come Filippo ed Edgardo Zanoli non possano influenzare il sistema calcio da dentro attraverso un flusso diretto.

  2. Come direbbe il mio amico Franco : La tecnica anche quella complessa si migliora giocando e non è analitica perché in funzione del gioco ne individuale perché in funzione dei compagni e avversari.

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