È stato l’ultimo allenatore della Jugoslavia, che guidò dal 1986 al 1992, in tempi di burrasca.
Ivan “Ivica” Osim ha vissuto a pieno la sua vita, un giramondo che non ha mai dimenticato le sue origini, la sua Sarajevo, martoriata, ferita e oltraggiata durante le guerre jugoslave e che ha legato il suo nome a Graz e a Ichihara. Era nato il 6 maggio 1941 nel quartiere di Hrasno, un mese dopo l’inizio dell’Operazione Castigo con la quale Hitler rispose come rappresaglia al colpo di Stato che aveva di fatto allontanato il Regno di Jugoslavia dall’orbita nazista e dal Patto Tripartito. Figlio di un fabbro ferroviario e di una crocerossina, la sua famiglia era una Mitteleuropa in miniatura, essendo i suoi nonni provenienti da diverse parti dell’Europa centrorientale. Per questo probabilmente era chiamato Švabo (tedesco). A scuola era molto bravo, soprattutto in matematica, che scelse come facoltà per gli studi universitari. All’esame di immatricolazione prese nove e già si prospettava per lui un futuro radioso.
Ma i numeri migliori li avrebbe fatti vedere sul rettangolo di un campo di calcio. Incominciò la sua carriera nel FK Željezničar, la squadra dei ferrovieri, come era stato suo padre, una delle principali formazioni della Bosnia. Seppur alto e all’apparenza goffo, era dotato di un buon tiro e di un dribbling efficace e subito dalle parti di Grbavica divenne per tutti Strauss. Militò per dieci anni tra le file del Željo, conosciuti anche come plavi, prima di andare a giocare in Olanda con lo Zwolle, ma a causa di un infortunio tornò a Grbavica, ancora per poco. La sua carriera da calciatore continuò con lo Strasburgo, il Sedan e il Valenciennes. La sua classe gli valse la convocazione con la nazionale dei plavi per sedici volte, coronate da otto gol. Fece parte della nazionale jugoslava che partecipò alla fase finale del campionato europeo del 1968, ma nella storica partita di semifinale contro i campioni del mondo dell’Inghilterra, vinta con un gol di Dzaijć , fu azzoppato e non potè giocare la finale contro l’Italia.
Ma lo Strauss di Grbavica è stato anche un grande allenatore. Il blu, che in serbo-croato si dice plav e che si traduce anche con biondo (non ho mai capito perché), ha contraddistinto la prima parte della sua carriera.
Nel 1978 fu assunto come allenatore del Železničar. Negli anni 80 Sarajevo era il centro sportivo dei Balcani, forse anche più. Nel 1984 si erano disputate le storiche Olimpiadi invernali, mentre nel calcio i rivali del Sarajevo FK, i bordo-beli, vinsero nel 1984/1985 la Prva Liga, un campionato che aveva all’epoca una certa caratura tecnica, visto che si affrontavano tutte le migliori squadre della penisola balcanica. Ma a sorprendere furono pure i plavi di Ivica Osim che si resero protagonisti di una straordinaria performance in Coppa UEFA, raggiungendo una storica semifinale, persa contro gli ungheresi del Videoton. Dopo la sconfitta per 3 a 1 in Ungheria, al Grbavica Bahtić e Ćurić illusero lo Železničar, prima del gol qualificazione di Csuhay che lasciò deluse le speranze dei bosniaci e di Osim.
Poi ci fu la nazionale, i plavi per eccellenza, che guidò dal 1986 al 1992, venendosi a trovare nel clou della recrudescenza del nazionalismo etnico che dopo la morte di Tito era montato poco a poco. Osim era uno jugoslavo nato in Jugoslavia, fautore di un Paese, quello degli Slavi del Sud, che aveva un proprio nazionalismo interetnico e interreligioso, lontano da quello dei serbi, dei croati e dei musulmani. Una mossa che gli venne senza dubbio criticata fu quella di convocare un buon numero di giocatori bosniaci, cosa che fino ad allora era poco usuale. La Jugoslavia sotto la sua guida non ottenne la qualificazione a Euro ‘88 ma riuscì ad acquisire il pass per Italia ‘90. Erano gli anni della fine del socialismo e della caduta del Muro di Berlino. Le tensioni in Jugoslavia erano altissime e già durante la stagione di Prva Liga c’erano stati i famigerati scontri dello stadio Maksimir tra i tifosi della Dinamo Zagabria e quelli della Stella Rossa Belgrado.
Molto più che rivalità sportiva.
Il 3 giugno 1990 la Jugoslavia gioca lì, a Zagabria, la sua amichevole di preparazione al mondiale contro l’Olanda. La partita, più che per il risultato (0-2 per gli arancioni), sarà ricordata per i fischi all’inno “Hej, Sloveni” e per un atteggiamento ostile nei confronti di Osim e dei suoi calciatori, attoniti e stupiti per quanto stava accadendo. Nonostante questo, al mondiale Osim e i suoi ragazzi furono fermati soltanto ai quarti dall’Argentina, dopo 120 minuti nei quali la Jugoslavia sbagliò tanto. Nonostante l’errore del Pibe de Oro durante la lotteria dei rigori, il cammino di quella grande squadra, che aveva eliminato la Spagna agli ottavi, sbatté contro i guanti di Goygochea. E chissà cosa sarebbe accaduto se la Jugoslavia fosse arrivata tra le prime quattro, forse Ivica sarebbe diventato un Bartali jugoslavo. Ma la storia non si fa con i “se”. Lo sappiamo.
Ciononostante, riuscì a qualificare i plavi ad Euro 92. La vittoria sull’Austria a Vienna decretò la supremazia nel girone e il passaggio del turno. Ma ormai i Balcani erano una polveriera e la risoluzione 757 estromise dal torneo una delle più forti squadre che la Jugoslavia avesse mai avuto. Non mancò la reazione del tecnico di Sarajevo. Il 23 maggio 1992 Osim si dimise dalla carica di capo allenatore della Jugoslavia. In conferenza stampa riferì ai giornalisti che avrebbe lasciato la squadra per motivi personali, che all’epoca erano chiari a tutti. Intanto aveva allenato in contemporanea il Partizan, nella stagione 1991/1992 dove conquistò la Coppa di Jugoslavia. Mentre Sarajevo era tenuta sotto tiro dai cecchini e le bombe cadevano e infierivano sulla città e sul suo passato di città multietnica, che subiva il peggior assedio dai tempi della seconda guerra mondiale, Osim con il cuore spezzato andò prima ad allenare in Grecia, al Panathinaikos, dove vinse due Coppe di Grecia, poi allo Sturm Graz.
Graz divenne la sua seconda casa, il luogo dove il suo calcio veloce e vincente trovò il suo naturale compimento nella vittoria di due campionati, i primi per il club, e di tre Coppe d’Austria, portando la città a vivere stagioni mai vissute prima e potendo vantarsi di giocare la Champions League contro Real Madrid, Inter e Spartak Mosca. Proprio i blancos avevano cercato di portare al Bernabeu Osim, che non se l’era mai sentita di impegnarsi in una sfida così grande. Dopo Graz scelse di andare in Giappone, terra che ha amato anche un altro gitano del calcio, Dragan Stojković. Ivica divenne una star, immortalato persino sulle copertine dei videogiochi. Vinse due coppe Nabisco e conquistò l’amore dei giapponesi.
Osim è stato un personaggio che è andato oltre il calcio, dal peso politico importante. Si ricorda che nel 2011 risolse l’impasse in seno alla federazione bosniaca di calcio, che rispecchia l’impostazione tripartita a livello statale, che non riusciva ad eleggere un presidente unico convincendo persino il presidente della Repubblica Srpska Dodik, considerato dalle parti di Sarajevo un nemico. I problemi a quelle latitudini restano ancora oggi irrisolti…
Se n’è andato il primo maggio di due anni fa, il giorno di una di quelle feste che tanto valore avevano soprattutto al tempo del socialismo e della Jugoslavia, a cui sempre Ivica si è sentito legato. Così l’ha ricordato il suo grande amico Bogdan Tanjević, leggendario tecnico della nazionale di basket jugoslava, su Twitter dopo la sua morte: “Il mio caro amico, tutta la mia vita, il mio vicino, i suoi figli, la sua Asima, tutti noi… Nel dolore più grande…La Sarajevo più grande e migliore ci ha lasciato…Nella foto, dopo che io e Ivica Šarić abbiamo cantato ‘Konjuh Planina’ in suo onore…”
Osim si è spento a Graz e i suoi resti mortali riposano nel centralissimo cimitero di Bare, a Sarajevo. Ivica Osim è stato una leggenda, un uomo umile ma dalla grande intelligenza, prestato dalla matematica al mondo del calcio. Un giocatore elegante, dal dribbling efficace e dal tiro formidabile che ha militato nella grande squadra che sfiorò, e forse avrebbe meritato, il successo all’Europeo italiano del 1968. Un allenatore arguto e vincente che ha guidato la più grande sfornata di talenti che la Jugoslavia abbia mai avuto e che a Euro ‘92 avrebbe probabilmente avuto un ruolo da protagonista. Si trovò, suo malgrado, ad essere protagonista nel momento sbagliato, commissario tecnico di una Jugoslavia oltraggiata e sbeffeggiata dai suoi stessi tifosi, al comando nella notte più buia, ma capace di regalare al calcio una delle migliori prestazioni dei plavi.
BIO: VINCENZO PASTORE
Pugliese di nascita, belgradese d’adozione, mi sento cittadino di un’Europa senza confini e senza trattati.
Ho due grandi passioni: il Milan, da quando ero bambino, e la scrittura, che ho scoperto da pochi anni.
Seguire lo sport in generale mi ha insegnato tante cose e ho sperimentato ciò che Nick Hornby riferisce in Febbre a 90°: ”Ho imparato alcune cose dal calcio. Buona parte delle mie conoscenze dei luoghi in Gran Bretagna e in Europa non deriva dalla scuola, ma dalle partite fuori casa o dalle pagine sportive[…]”
Insegno nella scuola primaria, nel tempo libero leggo e scrivo.