IL MILAN E IL LEIT MOTIV NEGLI ERRORI

Il Milan di Fonseca, reduce dalla vittoria al Bernabéu che aveva fatto pensare a un improvviso salto di qualità, si è trovato impantanato in una trappola tutta italiana a Cagliari, terminando 3-3 una partita che ha disvelato con crudezza i nodi irrisolti di questa squadra. Potremmo quasi parlare di uno studio entomologico delle fragilità rossonere: uno spoglio minuzioso di difetti e mancanze che sembrano ormai un retaggio consolidato di questo Milan.

C’è, a cominciare dal primo minuto, un leitmotiv che si ripropone: la chiusura sul secondo palo, dove sembra regnare un’assenza totale di attenzione, disciplina e coordinazione. È un problema di intrecci non risolti, di comunicazioni monche, che in ogni azione pericolosa degli avversari si manifesta con la semplicità di un difetto di fabbrica. Theo Hernandez, per dire, è l’immagine stessa dell’ambiguità di questa squadra. Solido, perfetto in Champions, capace di arabeschi sulla fascia e di una presenza offensiva imponente, si è rivelato, a Cagliari, maldestro e quasi incerto. Sembra a tratti ingannato da un approccio solipsistico che lo porta a pensare al gioco solo per sé, come se dimenticasse di far parte di una difesa che invece necessita di continui ripiegamenti e coperture.

Il retaggio di un Milan che può permettersi simili lacune è, ahinoi, un’illusione pericolosa. In Europa può bastare la notte di ispirazione, la partita secca che esalta i talenti, seppur la nuova formula della Champions la avvicina molto al campionato ma, nel reticolo della serie A italiana, i problemi non risolti si fanno largo come crepe che segnano un muro. Venti gol subiti in quindici partite sono una sentenza impietosa per una squadra che ha ambizioni di vertice. E ciò che è peggio, il Milan perde il 69% dei duelli aerei, sintomo inequivocabile di una carenza nella postura difensiva e di una fragilità nelle letture anticipative.

Ogni intervento che non si concretizza, ogni copertura lasciata al caso, è una matassa che Fonseca dovrà sbrogliare in fretta. Il problema non è solo di uno o due uomini, non è Theo Hernandez da solo a caricarsi il peso di questa incostanza: è la squadra che sembra incapace di difendere con solidità, come un insieme di parti slegate da una visione comune. Il lato sinistro del Cagliari, con Augello e Luvumbo, si è trasformato in un’incudine che ha battuto senza pietà la difesa rossonera. Due gol degli isolani sono arrivati come fotocopie, schemi disegnati a memoria e senza pietà: cross tesi da sinistra e conclusioni velenose sul secondo palo, lì dove i difensori del Milan sembravano non arrivare mai. Theo Hernandez, uomo di forza e corsa, in questa serata è stato fragile e scostante, messo all’angolo dagli attaccanti avversari.

E, come se non bastasse, Fonseca ha riproposto la coppia Pavlovic-Thiaw: due centrali che, più che completarsi, sembrano quasi evitarsi. Una coppia che è andata in crisi di nervi e gambe contro Lukaku, che non sarà nel suo momento migliore, ma che con due spallate sa ancora fare la differenza. Sulla fascia, poi, rivediamo Chukwueze al posto di Musah. L’ex Villarreal è un esterno che crea superiorità ed è particolarmente offensivo, ma è un lusso che costa caro: in fase difensiva, il Milan si è ritrovato scoperto, i raddoppi inceppati come ingranaggi pieni di sabbia.

Errori individuali? Certo, ai difensori non mancano, e Theo sembra sempre più motivato in Champions che in campionato. Ma allora perché, verrebbe da chiedersi, Fonseca ha voluto cambiare ancora? Perché insistere su una difesa lenta contro avversari esplosivi, lasciando in panchina il rapido Tomori? Perché questo divario di velocità? E perché i terzini sono stati lasciati soli, senza l’ombra di un raddoppio?

La partita di Cagliari, nel suo alternarsi di gol e svarioni, è stata un monito: il Milan di Fonseca è pieno di soluzioni offensivi, ha sprazzi di intensità e talento, ma ancora una volta sembra che gli manchi quel pragmatismo difensivo che distingue le grandi squadre. E senza quello, anche la più entusiasmante delle vittorie europee rischia di rimanere solo un’illusione fugace.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

Una risposta

  1. Caro Vincenzo ancora un articolo che analizza perfettamente l’attuale stato dell’arte del nostro malconcio Diavolo, Chapeau! In una sola sostantivazione personalmente oserei definire la squadra rossonera semplicemente come
    “Stevensoniana” travasando in essa il rocambolesco contenuto dell’eclettico scrittore scozzese con il suo celebre “Dr. Jekill e Mr Hyde!”.
    Un caro saluto.
    Massimo 48

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