Agli antipodi di Diego.
Allievo modello della Hanley’s Wellington Road School, di buona famiglia, lungimirante, longevo, facoltoso assertore del valore individuale da tutelare e sostenere ben oltre i limiti di prassi prestabilite e talentuose grazie divine.
Nacque quando il mondo divenne palcoscenico del più disumano e dunque maggiormente discutibile approdo di dialettica storica: era il 1915, ancorché solo preludio ai totalitarismi, alle farneticazioni, al disastro etico.
Stanley Matthews perse 6 anni di professionismo (dai 24 ai 30) a causa della seconda guerra. Si arruolò nella Royal Air Force e fu di base a Blackpool (la squadra della sua seconda vita calcistica, con cui, di fatto, vinse l’unico trofeo della carriera prima di riapprodare allo Stoke, vale a dire la FA Cup del 1953, ribattezzata “la finale di Matthews) arrivando al ruolo di caporale, nonostante ammise di essere indulgente e permissivo coi suoi sottoposti.
Venne lui meno, ergo, il periodo più fulgido per un atleta e calciatore.
Il meglio, però, no: “molte persone pensano che io sia pazzo, ma anche se hai 37 anni, credo che il tuo miglior calcio debba ancora venire”.
Profetico.
Nel 1956 vinse la prima edizione del “Pallone d’oro” lasciandosi alle spalle Alfredo Di Stefano.
Non propriamente una quisquilia.
Fu il giocatore più anziano(grazie ad una dieta vegetariana protrasse l’adeguatezza delle sue prestazioni agonistiche fino ai 50 anni) a giocare nel massimo livello della divisione calcistica inglese e a rappresentare il suo paese.
Testimonianza del suo complessivo spessore è la parentesi in Sudafrica, ove, nonostante le dure leggi sull’apartheid, istituì, da allenatore, una squadra composta esclusivamente da giocatori neri (nota come Stan’s Men) a Soweto nel 1975.
Giocò la sua ultima partita nel 1985, all’età di 70 anni, un’amichevole tra vecchie glorie di Inghilterra e Brasile.
Un aneddoto su tutti, come consuetudine fra i tanti che si mescolano e decantano le curiosità appartenenti alle figure mitologiche e pionieristiche, esaltandone sfumature leggendarie, quasi a fare divenire inevitabilmente e poeticamente mito le gesta della realtà: durante una partita della nazionale inglese contro i nostri azzurri, in quel di Torino, nel dopoguerra, Mortensen e Finney si resero protagonisti della vittoria dei “ tre leoni” con due marcature del primo a sancire la superiorità anglosassone.
Sul primo dei due colpi di testa vincenti Mortensen realizza su traversone di Matthews e ringrazia l’illustre compagno con il pollice in alto; sulla seconda incornata l’assist è di Finney.
Questa volta, però, Mortensen il pollice lo tiene ben al di sotto del gesto universalmente inteso quale approvazione.
A fine gara la spiegazione :“ Stanley ha crossato e la palla mi è arrivata sulla testa con le cuciture del cuoio dall’altra parte rispetto alla mia fronte…”.
Ca va sans dire.
Chapeau.
Esterno destro .
Era “il mago del dribbling e degli assist”.
BIO: ANDREA FIORE, con DIEGO DE ROSIS, gestisce la pagina INSTAGRAM @viaggionelcalcio.
3 risposte
Altra perla di calcio ben descritta e ai più sconosciuta. Tanti anzianotti ricordano le gesta del grande Di Stefano ma molto meno di questo primo pallone d’oro britannico e della sua longeva e giustamente premiata carriera.
A presto e buona giornata.
Massimo 48
Pare gli chiesero: “Ma come fa a giocare ancora alla sua età?”
Lui candidamente rispose:
“Ora forse è ancora più facile, del calcio ormai conosco quasi tutto…”
Of course…😁👍🏻👏🏻Sir Stanley
Geniale! Grazie Lele.