Fonseca lasciato solo anche a comunicare il suo esonero: peggio di così non si poteva. Eppure, quella dei commiati crudeli non è una novità in casa rossonera. Vi ricordate come se ne sono andati Kakà, Maldini (da giocatore), Ambrosini? E Inzaghi e Gattuso da allenatori? Facciamo un ripasso insieme
La scena di Paulo Fonseca che si autoesonera o, più propriamente, che nella notte fra domenica e lunedì comunica il suo avvenuto esonero (“Sì, è vero, sono uscito dal Milan”) è un passaggio davvero triste nella storia del nostro amato club. Fonseca ha le sue colpe, ma certo il suo commiato riassume alla perfezione il vuoto pneumatico in cui è stato lasciato in questo semestre da ogni punto di vista, primo fra tutti quello della comunicazione. Senza far nomi, nessuno ha trovato un minuto del suo tempo per comunicare ai media e ai tifosi quello che evidentemente si era deciso poco prima nel ventre ormai semideserto di San Siro.
I commiati in pessimo stile, tuttavia, non sono una prerogativa “degli americani”: per quanto possa sembrare assurdo, anche il Milan di Berlusconi ha trattato molto male i suoi allenatori, i giocatori, noi tifosi. Non vi ricordate? Merito forse del prestigio che la società si era guadagnata sul campo, di una stampa molto indulgente, forse anche della minore presenza dei social media. Non vi vedo convinti. E allora fatevi un giro con me lungo il viale della memoria.
“Non si vende Kakà” (e invece sì)
Siamo nel 2009. Alla fine di quell’anno sono tre i nomi in uscita, e che nomi: Ancelotti, Kakà, Maldini. Ancelotti lascia dopo un ciclo di nove anni, eccezionale per il calcio italiano; la sensazione è che, al di là delle dichiarazioni di rito, il suo addio costituisca quasi una liberazione: saluti, grazie, auguri, poca emozione vera. Ma passi. Ben più dolorosa la vicenda di Kakà: a gennaio del 2009 viene ceduto al Manchester City per – si dice – 100 milioni. Il City, però, non è ancora quello di adesso (la proprietà è ricca, ma il blasone è povero) e Ricky non ci vuole andare nell’Inghilterra del nord a prendere freddo e mangiare fish and chips: nel frattempo parte una vera sommossa popolare, con cori (“Non si vende Kakà…”: c’eravate?) sotto la sede del Milan – allora in via Turati – prima e sotto casa di Kakà – nella lussuosa via Aurelio Saffi – dopo. A quel punto Berlusconi si supera: lui, che ha deciso di venderlo, finge di voler convincere Kakà a rimanere, e nel corso di una lunga diretta su Telelombardia annuncia di avercela fatta. In realtà, con fine intuito politico, ha capito che per varie ragioni la cosa non s’ha da fare, almeno per ora: Kakà andrà al Real Madrid in estate. Qui non viene maltrattato un giocatore o un allenatore, ma l’intero popolo rossonero, frastornato da voci di segno opposto: al punto che il numero di abbonati passa da oltre 41mila a meno di 26mila. Sarà Adriano Galliani, guardando sconsolato le tribune mezze vuote, a coniare il fortunato termine “orfani di Kakà”.
Manca un nome, di quel 2009. Un nome che da solo vale mezza storia del Milan. Quello di Paolo Maldini, che il giorno della sua ultima partita casalinga, il 24 maggio contro la Roma, viene fischiato della Curva Sud (magari gli stessi che adesso lo rimpiangono?), in un clima surreale, senza che la società faccia o dica praticamente niente. Gli applausi Maldini li riceverà all’ultima di campionato, a Firenze, pensate un po’.
Maldini. Il capitano. 902 partite in una sola squadra. Fischi.
Gli Anni ’10 e la “banter era”
Nel 2013 Massimo Ambrosini, divenuto capitano dopo l’addio di Maldini, lascia il Milan dopo 18 anni e una sfilza di titoli che vi risparmio. La decisione viene presa unilateralmente dalla società e comunicata da Galliani ai media, a campionato finito, durante una crociera con gli sponsor (la location ideale per un gesto così elegante), senza che il giocatore abbia potuto salutare il pubblico a San Siro: Ambrosini ci rimane talmente male che qualche giorno dopo viene frettolosamente organizzata a San Siro una conferenza stampa piuttosto dimessa, durante la quale il giocatore si commuove e non riesce a nascondere l’amarezza per un commiato così triste e ingiusto. Un’altra gloria rossonera bruciata sull’altare di non si sa bene cosa: la passione per crociere?
Il 12 gennaio 2014 il Milan perde 4-3 con il Sassuolo e Allegri è arrivato al capolinea. Ma mentre tutti si aspettano che la panchina passi a Pippo Inzaghi, che sta facendo molto bene con la Primavera dopo avere allenato gli Allievi, sulla panchina della prima squadra viene chiamato nientemeno che Clarence Seedorf, che nemmeno fa l’allenatore, bensì gioca ancora, in Brasile. Si dice che sia un capriccio personale di Berlusconi. Seedorf arriva, sfoggia la sua intelligenza brillante e cita Phil Jackson, quello dei Chicago Bulls. Nel girone di ritorno avrà una media punti più alta di quella di Allegri (anche se mancherà per un soffio la qualificazione all’Europa League), ma non verrà riconfermato, malgrado altri due anni di lauto contratto. Non solo: del suo esonero a fine stagione si parla praticamente da marzo. Che cosa sia successo, non si sa. “Cattiva gestione dello spogliatoio”, si mormora. Fatto sta che Clarence Seedorf, 300 partite nel Milan, unico calciatore ad avere vinto la Champions League con tre squadre diverse, se ne va dal Milan come un appestato. E sono quattro.
Chi arriva al suo posto? Naturalmente Pippo Inzaghi, leggendario cuore rossonero, che nel frattempo ha proseguito la sua stagione alla Primavera del Milan respingendo le avances proprio del Sassuolo, quello costato l’esonero ad Allegri.
Pippo parte benino e a fine 2014 si congeda battendo 2-0 il Napoli. Alla ripresa, purtroppo, la squadra inizierà a giocare inspiegabilmente male, al di sotto di ogni aspettativa, e si qualificherà decima, mancando la qualificazione a qualsiasi coppa europea. Inzaghi viene esonerato il 12 giugno 2015. Ma, come già Seedorf, Pippo era un dead man walking da mesi, abbandonato dalla società al tiro a segno dei media: esce da questa vicenda con un post su Facebook nel quale si professa milanista a vita e parla (strano!) di amarezza e delusione. E cinque.
E così, mentre Inzaghi vive giorni tristi, ad allenare il Milan arriva uno che ha dichiarato letteralmente che non avrebbe mai potuto allenare il Milan, “a costo di morire di fame”: è Sinisa Mihajlović, già all’Inter e alla Lazio, proprio le squadre che ci sono più simpatiche. Ma calma: noi Casciavit siamo così romantici che ci affezioneremo anche a lui, ne apprezzeremo il carattere schietto e deciso, una specie di Fonseca burbero che dice quello che pensa.
Ci sarebbe anche la breve parentesi Brocchi, anch’egli promosso dalla Primavera con contemporaneo esonero del suddetto Mihajlović a sei giornate dalla fine, con tanto di video di rivendicazione del presidente in persona: il Milan era sesto, arriverà settimo, fuori dalle coppe. A fine stagione Cristian Brocchi lascerà il club e proseguirà la sua carriera passando anche per il Monza. Brocchi non può essere definito un’icona rossonera (tranne che per il presidente, evidentemente), ma nel dubbio ha assaggiato anche lui la crudele “macchina degli addii”.
E ci sarebbe, ancora, quello che forse è il più milanista di tutti, quello che rinuncia ai soldi purché venga pagato il suo staff, quello che dovunque è andato ha pagato di tasca propria stipendi arretrati, ha comprato l’acqua, i palloni, ha noleggiato i pullman: segno, certo, di una carriera non sempre al servizio di proprietà solidissime, ma anche di un cuore (rossonero) più grande del nuovo stadio che (non) si costruirà a San Donato: parliamo di Gennaro Gattuso, anch’egli prelevato dalla Primavera a novembre del 2016 ed esonerato al termine della stagione successiva, senza che abbia fatto peggio dei suoi predecessori e forse dei suoi successori; qui come ricorderete, siamo già sotto la spettacolare gestione Yonghong Li-Mirabelli-Fassone, di cui tante cose non si sono mai capite, ma il trattamento “vecchie glorie” è ancora perfettamente in funzione. Attenzione: non voglio, con questo, dire che tutti i giocatori e gli allenatori che abbiano vestito la maglia rossonera meritino contratti a vita. Forse il problema, all’opposto, è che molti di quei giocatori divenuti allenatori sono stati “bruciati” con troppa disinvoltura, essendo privi di quella gavetta che salvo rari casi risulta necessaria per imporsi ad alti livelli: le chiamate in prima squadra di alcuni di loro risultano ancora oggi, a distanza di anni, incomprensibili e ingiustificabili. I licenziamenti, a volte, anche. Di certo, tutto si poteva fare con più riguardo e più attenzione.
Quello che voglio dire, insomma, è che la sgradevolezza dei commiati non nasce oggi con Paulo Fonseca, bensì ha riguardato personaggi cui dovremmo essere legati da amore e riconoscenza sempiterni. La gestione Redbird ha tanti difetti, sui quali mi piacerebbe tornare, ma non ha inventato la freddezza e le cattive maniere. Non ha impedito (o almeno condannato) che Maldini venisse fischiato il giorno del suo addio, non ha congedato Ambrosini senza dirglielo, non ha umiliato Inzaghi, non ha mandato a casa Gattuso per sostituirlo con uno che è stato esonerato a ottobre. Tutte cose, queste, che abbiamo saputo fare benissimo da soli noi italiani.
BIO: Luca Villani è nato a Milano il 31 gennaio 1965. Giornalista professionista, oggi si occupa di comunicazione aziendale e insegna all’Università del Piemonte Orientale. Tifoso milanista da sempre, ha sviluppato negli anni una inspiegabile passione per il calcio giovanile e in particolare per la Primavera rossonera. Una volta Kakà lo ha citato in un suo post su Instagram e da quel momento non è più lo stesso.
6 risposte
Tutto vero, il calcio ha la memoria corta. Ma fa una grandissima differenza il fatto che al tempo da noi c’erano palloni d’oro, giocatori che all’Inter non rendevano, al Milan diventavano bandiere e vincevano Champions. Una società sempre presente, che difendeva in diretta TV la squadra e aveva una signora comunicazione alle spalle. Anche solo per fare scena, ma sicuramente qualcuno c’era… Inoltre le contestazioni alla società le ricordo bene, ci sono sempre state, perché la mediocrità non è mai stata accettata. E che piaccia o no, quel Maldini in rotta con la curva, a 12 anni di distanza ci aveva ridato una dignità e il tifoso milanista che non è stupido ha “perdonato” e reso merito a lui. Ringraziandolo per il presente e per il passato!
Gran bell’articolo Luca,
complimenti! Soprattutto per la certosina ricerca di tutti gli accadimenti elencati. Felice anno nuovo!
Massimo 48
Buongiorno.
È vero qiello che scrive però credo che le differenze siano nella comunicazione; il Milan di Berlusconi era comunicazione, il calcio italiano è alimentato dalle dichiarazioni (più o meno opportune) dei dirigenti che servono a dare vita alla piazza; senza questo, agli appassionati non resta che la voce della stampa. Credonche sia questo silenzio ad indispettire perché chi ama il Milano è passato attraverso tante tempeste seguendo “la voce del padrone”, voce che ora non si sente più.
Buon anno
Andrea Moro
Si Andrea, concordo anche se a quei tempi (!) non c’erano i social media e tutto era più controllabile.
Grazie per il tuo contributo e Buon Anno!
Bellissimo nei contenuti (ineccepibili), e allo stesso tempo bruttisdimo (perché ci ricorda momenti molti tristi a tutti coloro che amiamo il Milan).
Qualcosa successe dal 2009 in poi fino alla fine della gestiobe Berlusconi…L’ingresso dei figli nell’azienda Milan? Ma lui cambiò, e in peggio. E da allora, il fantomatico Mr Li, e questi impresentabili che ci troviamo adesso…
“brutissimi”
“momenti molto tristi”