Quando si pensa all’Argentina, due cose vengono in mente all’uomo della strada: calcio e tango. E quando si pensa a queste due “arti” vengono in mente i due maggiori interpreti a livello mondiale: Diego Armando Maradona e Miguel Angel Zotto. Per non parlare dei musicisti di una delle danze più famose, iconiche e sensuali del Mondo come Astor Piazzolla e Carlos Gardel, oppure calciatori come Alfredo di Stefano, Mario Kempes, Gabriel Omar Batistuta e Lionel Messi.
Il calcio è uno sport mentre il tango è una danza e di primo acchito non avrebbero nulla in comune. Eppure è esistita una persona che ha unito le cose più argentine al Mondo: Fernando Redondo. Redondo è considerato come uno dei giocatori più eleganti della storia del calcio (il suo apodo era “el principe”, non a caso) unito ad una fisiognomia da tanguero: alto, magro, prestante, capello lungo ingellato. Un uomo che ha fatto innamorare uomini quanto donne. La miglior interpretazione negli anni Novanta del ruolo del “volante”, il regista, quello da cui passano tutte le palle e che lui deve indirizzarle al compagno che dovrà poi insaccare in porta.
Un calciatore che con il suo piede mancino ha fatto partire azioni clamorose e che con lo stesso piede avrebbe potuto anche dare il via all’otto, il movimento più noto del tango argentino. Non sappiamo se Fernando Redondo abbia mai ballato il tango o la “cugina” milonga, ma certamente prendeva la palla come il tanguero abbraccia la compagna: il tanguero guida mentre Redondo prendeva la squadra in spalla e la portava alla vittoria.
Dall’inizio con il futsala fino l’esplosione nell’Argentinos Juniors
Fernando Redondo (all’anagrafe Fernando Carlos Redondo Neri) cresce ad Adrogué, cittadina ad una trentina di chilometri a sud dalla capitale Buenos Aires, quindi a trenta chilometri dall’estuario del Rio de la Plata, il confine marittimo tra Argentina e Uruguay, due Stati accomunati dalla passione per il calcio ed il tango.
A Fernando piace il fútbol, la versione argentina del football importato dai marinai inglesi di stanza tra Brasile, Argentina e Uruguay. Muove i suoi primi…calci nel Club Social y Deportivo di Rafael Calzada ma gli piace il calcetto (anzi, il futsala). Il padre però non voleva che giocasse “a cinque” ma che dovesse giocare a calcio come Dio comanda, quindi “a undici”. Per questo motivo dal Club Atlético Talleres di Remedios de Escalada va a giocare nell’Argentinos Juniors, una delle tante squadre di Buenos Aires ma caratterizzata da sempre dall’avere un ottimo settore giovanile. E con i bichos colorados si sta manifestando proprio in quel periodo un giocatore argentino su cui c’è tantissima hype, Diego Armando Maradona, diciannovenne pronto al grande salto mondiale.
Se Maradona lascia l’Argentinos Juniors nel 1981 per andare a giocare con il Boca Juniors, Redondo rimarrà con la squadra biancorossa fino al 1990, debuttando nel 1985 in prima squadra a sedici anni: era troppo fuori categoria per la “Primavera” dei bichos colorados e passò in prima squadra dove rimase in pianta stabile fino alla stagione 1989/1990, quella che avrebbe portato il calcio mondiale ad Italia ’90.
Il nome di Fernando Redondo iniziò a girare tra gli addetti ai lavori: a 21 anni era pronto per il grande salto, ovvero salire su un aereo e andare in Europa a fare vedere di cosa era capace. Metronomo con i piedi educati, per lui si fecero sotto tante squadre ma nel 1990 il ragazzo firmò un contratto con una squadra spagnola lontana non solo dalla terra ferma ma anche dalle posizioni di vertice della Liga, il Tenerife.
Tenerife val bene…farsi conoscere al Mondo intero.
Molti non capirono come mai uno dei talenti più puri del calcio sudamericano potesse iniziare la sua carriera europea in un club di medio-bassa classifica che nella stagione 1990/1991 avrebbe disputato la sua quarta stagione in Primera Division. Molti intendono la sua volontà di voler partire a fari spenti, capire prima come “funziona” il calcio europeo e poi firmare con club con un pedigree migliore.
Redondo rimase sull’isola quattro stagioni e la stagione migliore fu la 1992/1993 che vide la squadra arrivare quinta in classifica e qualificarsi per la successiva Coppa Uefa. Alla prima esperienza europea, il Tenerife si spinse fino agli ottavi di finale, dopo aver eliminato Auxerre e Olympiakos, per poi fermarsi contro la Juventus. Si parlò di “Euro-Tenerife” e Fernando Redondo nelle partite europee fece vedere la sua classe e la sua intelligenza tecnica.
Artefice in panchina di quel miracolo fu Jorge Valdano, argentino di Las Parejas, campione de Mondo nel 1986 e sulla panchina del club canaro dal 1992 al 1994 subentrando a Jorge Solari. L’ultima stagione di Redondo a Tenerife coincise con la miglior posizione della storia del club in Copa del Rey: semifinale dopo aver eliminato negli ottavi il Valencia e nei quarti il Real Madrid, ma perdendo nel penultimo atto contro il Celta Vigo. Il Tenerife da squadra poco abituata ai grandi palcoscenici, con l’arrivo di Valdano cambiò la sua dimensione e giocare allo stadio “Rodríguez López” era difficile per tutti. Chiedere al Real Madrid che perse due Liga proprio contro la squadra di un’isola più vicina all’Africa che alla Spagna.
Redondo, il giocatore più talentuoso e forte dell’intera rosa del club chicharrero, era il direttore d’orchestra ed i tifosi erano in visibilio. Valdano fin da subito rimase estasiato dalle sue giocate e gli diede i galloni di regista. Era il più forte di tutta la squadra, da lui ripartivano tutte le azioni ed era di un altro livello rispetto non solo ai compagni ma anche a tanti altri giocatori della Liga del tempo. E quando si è a questi livelli, c’è solo una cosa da fare: guardarsi in giro, ringraziare chi ti ha cresciuto e partire per altri lidi. E così fa Fernando Redondo nell’estate 1994: da Santa Cruz di Tenerife approda alla volta di Madrid, sponda Real. Il grande passo è fatto: il “principe” era pronto a portare il suo carisma, la sua tecnica ed il suo fisico al “Bernabeu”.
Gli anni madrileni: Redondo padrone del centrocampo
Nell’estate 1994 Fernando Redondo è un giocatore del Real Madrid: le merengues avevano superato tante pretendenti per il bel Fernando che con il suo fisico da corazziere, l’aria aristocratica ed i capelli al collo pieni di gel aveva fatto breccia nel cuore delle tifose spagnole. Il centrocampista di Adrogué accettò l’offerta del club più titolato di Spagna perché proprio da quell’estate Jorge Valdano era diventato il nuovo allenatore del club, un club che non vinceva il campionato da quattro stagioni ed un trofeo europeo da otto.
Con il Real Madrid, Fernando Redondo divenne…Fernando Redondo: sei stagioni, 213 partite, quattro reti, due titoli nazionali, una supercoppa ed il ritorno del club ai vertici del calcio europeo e mondiale. Con il numero 6 in campo, le merengues vinsero la Champions League nel 1998 (in finale contro la Juventus, che riportò la “coppa dalle grandi orecchie” a Madrid dopo 32 anni di attesa) e nel 2000, con l’aggiunta della vittoria della Coppa Intercontinentale nel 1998. Gli anni madridisti furono entusiasmanti, con alti e bassi (al termine della stagione 1995/1996 la squadra non si qualificò per le coppe europee e nel 2000, se non avesse vinto la Champions avrebbe disputato la Coppa Uefa), tanti allenatori cambiati (ben sette diversi in sei stagioni) e altrettanti trofei alzati al cielo. E il ragazzo argentino, che si pensava potesse subire il passaggio dalla provinciale alla grande del campionato spagnolo, fu il fulcro ed il distributore di gioco.
Redondo fu un giocatore prezioso, insostituibile ed ogni stagione migliorava rispetto la stagione precedente tanto che Fabio Capello, entrenador delle merengues nella stagione 1996/1997, lo definì “il giocatore perfetto”: ottima visione di gioco, ottimo in fase di copertura, ottimo in fase di ripartenza dell’azione. E con quel piede sinistro che si pensava avesse il radar vista la precisione nei lanci.
Il “principe” era diventato re, un rivoluzionario in una squadra conservatrice. E tutto era uno spettacolo. Addirittura nella stagione 1999/2000, Redondo vinse il premio di miglior giocatore della Champions League. E proprio in quella stagione nella “coppa dalle grandi orecchie” il centrocampista compì un gesto tecnico, assurdo, pazzo ma che solo uno come lui poteva fare.
19 maggio 2000, Old Trafford: il “taconazo”
Il 4 e 19 aprile 2000 si affrontano nei quarti di finale di Champions League le ultime due vincitrici della “coppa dalle grandi orecchie”, il Manchester United ed il Real Madrid. Obiettivo di entrambe: arrivare il 24 maggio a giocarsi la finale allo “Stade de France”.
Il match di andata è giocato al “Bernabeu” e termina 0-0: si deciderà tutto a Old Trafford, nel “teatro dei sogni”. Vinserogli spagnoli per 3-2 ed in semifinale avrebbero affrontato il Bayern Monaco. Anche i bavaresi persero contro le merengues che arrivarono a Parigi a giocarsi la finale contro il Valencia: per la prima volta la finale si giocò tra due squadre dello stesso Paese.
I madridisti vinsero 3-0 e alzarono al cielo la loro seconda Champions in tre stagioni, l’ottava della loro storia. Redondo era il capitano della squadra e fece alzare la coppa a Manolo Sanchís, dal 1983 in maglia blanca. E proprio Redondo è stato protagonista del match di Old Trafford: non ha segnato, ma ha servito un assist perfetto ed iconico a Raul.
Siamo al minuto 52 ed il Real Madrid è avanti 2-0 grazie alla sfortunata autorete di Keane e al gol di Raul. Redondo ha la palla e si sposta verso la fascia sinistra: una zona di campo che non lo vedeva mai protagonista. Il numero 6 blanco (quella sera in maglia nera) raggiunge il pallone ma era marcato da Berg, terzino destro dei Red devils. Redondo intuì che l’avversario non lo avrebbe mollato e non lo avrebbe fatto andare via: un giocatore normale si sarebbe fermato e portato l’avversario a toccare la palla e a ripartire con una rimessa laterale. Peccato che Fernando Redondo detto “principe” non era un giocatore normale, ma un’altra cosa: riuscì a liberarsi, servì un assist al compagno Raul che, a porta sguarnita, portò van der Gouw a raccogliere per la terza volta la palla dalla rete.
Come aveva fatto il centrocampista argentino a smarcarsi da Berg? Con un colpo di tacco. Ma non un semplice tocco di tacco, ma con IL tocco di tacco per antonomasia: il “taconazo”. Redondo toccò con il tacco sinistro in velocità, la palla si spostò velocemente verso l’out ma lui ancora in velocità superò Berg, riuscì a tenere la palla in campo per pochi centimetri, mise in mezzo per Raul che, di sinistro e senza difficoltà, siglò l gol che (praticamente) spinse la squadra di Vincente del Bosque in semifinale.
Quel geniale colpo di tacco ancora oggi è ciò che più di tutti fa ricordare al Mondo chi era Fernando Carlos Redondo Neri: un gesto da Play Station, un qualcosa che andava oltre lo spiegabile, un qualcosa irripetibile, uno dei miglior assist della storia del calcio.
L’azione del “taconazo” ricordò molto il “genio” di monicelliana memoria: fantasia (un colpo di tacco in velocità), intuizione (la cosa migliore da fare quando si è marcati stretti da un avversario), colpo d’occhio (venti metri a testa alta) e velocità di esecuzione (velocità, recupero sulla linea, tiro in mezzo al compagno libero da marcature).
Ancora oggi il video di quell’assist è cliccatissimo in rete. Redondo vinse il premio di miglior giocatore della Champions League 1999/2000 e quell’anno arrivò diciottesimo (a pari merito con altri tre calciatori) nella classifica del Pallone d’oro.
Estate 2000, Redondo arriva a Milanello: l’ultimo tango (sfortunato) del Principe
Il 24 maggio 2000 il Real Madrid vinse la Champions League. Redondo in quel momento ha 31 anni ed era nel pieno della forma e della carriera. Era al top, ma sapeva che non avrebbe avuto ancora tanti anni davanti a sé di carriera. Ed infatti nell’estate 2000 Redondo lasciò Madrid: il presidente Perez decise di rivoluzionare la squadra. Da lì in avanti nascerà un particolare tipo di Real Madrid, quello dei “Galacticos”: tra il 2000 ed il 2006 vestiranno la camiseta blanca gente come Luis Figo, Zinedine Zidane, Ronaldo Nazario, David Beckham, Michael Owen, Robinho e Sergio Ramos, oltre ad una squadra che in rosa in quegli anni aveva il meglio del calcio mondiale (da Casillas a Hierro, da Roberto Carlos a Morientes, da McManaman a Raul e Guti). Redondo quell’estate lasciò Madrid e arrivò a giocare in Serie A, allora il miglior campionato di calcio del Mondo.
Il capitano del Real Madrid lasciava dopo 228 partite, cinque reti e dopo aver vinto tutto: due campionati, una Supercoppa spagnola, due Champions League ed una Coppa Intercontinentale. Era ora di cercare nuovi stimoli e i nuovi stimoli decise di darglieli il Milan. Per 35 miliardi di lire, Fernando Redondo divenne un giocatore rossonero, il giocatore più atteso della stagione insieme al francese David Trezeguet tesserato per la Juventus. Insieme a lui, tantissimi top player che rendevano il nostro massimo campionato il più bello (e ricco) di tutti. Va da sé che i tifosi del Real Madrid non volevano che venisse ceduto non solo il capitano, ma il più forte di tutta la rosa merengue. Dall’altro lato, i tifosi del Diavolo si fregavano le mani nel vedere con la maglia della loro squadra un giocatore di quel tipo che avrebbe giocato in una squadra che aveva già in rosa i vari Maldini, Albertini, Costacurta, Shevchenko, Leonardo, Bierhoff, Serginho, Boban e Dida, il nuovo portiere brasiliano.
Il 27 luglio Fernando Redondo firma un contratto di tre anni a 8 miliardi a stagione ed il 2 agosto è presentato alla stampa e ai tifosi. Il giocatore rimarrà al Milan per quattro stagioni per un totale di 33 partite senza segnare un gol. Attenzione: 33 partite in quattro anni fanno una media di poco più di otto partite a stagione, partite che una squadra come il Milan ne giocava più di cinquanta in una singola stagione. Per quale motivo? Perché nelle prime due stagioni Fernando Redondo non giocò neanche una partita perché il 19 agosto si fece malissimo sul tapis roulant: rottura del legamento crociato del ginocchio destro, intervento chirurgico e sei mesi di stop. In pratica sarebbe tornato in primavera per il rush finale di campionato. Redondo però debuttò in maglia rossonera addirittura nel dicembre 2002, ventotto mesi dopo l’infortunio. Dopo quell’incidente in allenamento iniziò per lui un calvario di tre interventi chirurgici: ricostruzione del legamento crociato anteriore del ginocchio destro con asportazione di parte del tendine rotuleo; pulizia del tendine rotuleo; ricostruzione del tendine rotuleo affetto da tendosinovite cronica. I primi due non riuscirono bene e per questo tardò con la ribialitazione ed il ritorno in campo.
Redondo tornerà a giocare solo il 4 dicembre 2002 in Coppa Italia contro l’Ancona e tre giorni dopo giocò la sua prima partita contro la Roma, entrando al posto di Shevchenko. Debuttò dal 1 in campionato il 2 febbraio 2003 contro il Modena a Milano ed il successivo 25 febbraio da titolare in Champions League a Mosca contro il Lokomotiv. E’ in campo al “Bernabeu” il 12 marzo 2003 quando è tornato per la prima volta da avversario a Madrid: gioca 80 minuti e alla sua uscita lo stadio madridista si alza in piedi per omaggiarlo e lui a fine partita andrà a farsi un giro di campo da brividi.
Nelle quattro stagioni a Milanello, Redondo vinse un campionato, una Champions League, una Supercoppa europea ed una Coppa Italia: di questi, solo la coppa nazionale 2002/2003 si può dire che ha fatto la differenza (contribuendo al ritorno della coccarda tricolore a Milanello dalla stagione 1976/1977), mentre negli altri successi è stato un comprimario.
Eppure Redondo è ricordato con affetto ancora oggi dai tifosi milanisti per un gesto non da tutti: nelle due stagioni dove non giocò nemmeno un minuto, chiese alla dirigenza rossonera di non percepire lo stipendio in quanto (praticamente) non se la sentiva di percepire uno stipendio altissimo senza essere mai sceso in campo. Un gesto nobile, un grande momento di sportività degno di un vero principe.
L’ultima partita di Fernando Redondo con il Milan è stata Milan-Brescia del 16 maggio 2004: in quella partita, l’allora numero 5 rossonero (non poté indossare la maglia numero 6 come aveva al Real in quanto quella maglia era stata ritirata dal Milan il 1º giugno 1997 con il ritiro di Franco Baresi) giocò l’ultima mezzora entrando in campo al posto di Tomasson. Quella contro le “rondinelle” è stata anche la sua ultima partita in carriera. Ed il suo addio al calcio coincise anche con l’addio, nella stessa partita, di Roberto Baggio. Se per il numero 10 bresciano si alzò in piedi tutto lo stadio per una standing ovation da brividi, per l’argentino niente. Un vero peccato e con una domanda, senza una risposta: se non si fosse fatto male quel 19 agosto, cosa avrebbe potuto dare al Milan?
Redondo e la Seleccion: croce e delizia. Per entrambi.
Eppure, nonostante i tanti successi con i club, la carriera di Fernando Redondo è da considerarsi zoppa in quanto non è mai stato decisivo in Nazionale. Anche perché ha giocato solo ventinove partite tra il 1992 ed il 1999, segnando una sola rete, ma contribuendo alla vittoria della Confederations Cup nel 1992 a Ryhad e della Copa America del 1993 in Ecuador.
Redondo ha preso parte solo ad un Campionato del Mondo, quello di Usa ’94, dove è stato uno dei protagonisti della Nazionale albiceleste, finalmente tornata competitiva dopo anni in un cui era Maradona-dipendente. In quel Mondiale, il centrocampista di Adrogué giocò le tre partite della fase a gironi contro Grecia, Nigeria e Bulgaria, uscendo poi agli ottavi di finale contro la sorprendente Romania. Redondo, maglia numero 5 sulle spalle, è sempre in campo ma non riescì a fare la differenza in una Albiceleste che dalla partita contro la Bulgaria ha fatto a meno di capitan Maradona trovato positivo alla efedrina. Redondo servì proprio a Maradona l’assist per il gol nella partita contro la Grecia.
Redondo sarebbe stato convocato anche per il Mondiale prima e quello dopo Usa ’94 (Italia ’90 e Francia ’98), ma rifiutò la convocazione per due motivazioni molto particolari: nel primo caso voleva continuare gli studi in economia aziendale in Argentina, nel secondo perché non voleva tagliarsi i capelli come aveva chiesto il Ct Daniel Passarella e come tutti i suoi compagni fecero. Due esclusioni molto discusse in patria (Maradona nel 1990 lo definì “un viziato” ed i due erano la nemesi dell’altro sotto tutti i punti di vista, soprattutto per via della provenienza).
Personalità forte, ma che lo mise in cattiva luce tra i tifosi argentini.
Il “principe” ha smesso di tangare, ma rimarrà indimenticabile
Dopo il ritiro, datato 1° luglio 2004, Fernando Redondo è tornato in Argentina, è uscito dal mondo del calcio e nel frattempo si è goduto il debutto tra i professionisti del primogenito Fernando jr e del terzogenito Federico, entrambi mediani come il padre ma tecnicamente inferiori rispetto a lui anche a livello di carriera.
“The last dance” di Fernando Redondo è datata 16 maggio 2004: quel pomeriggio alla Scala del calcio, il “principe” di Adrogué ha detto addio al calcio e ha smesso di ballare il tango. E come si fa nel tango, Fernando Redondo è stato un ottimo interprete…lento. Lento, ma quando prendeva la palla e la dava al bacio al compagno di turno come se stesse facendo un casqué, il movimento tipico della danza argentina per antonomasia.
Uomo dotato di un carisma e di grande personalità, è stato considerato un pazzo ed un ingrato per le due convocazioni mondiali rifiutate, ma un giocatore che ha portato il ruolo del “volante” ad un livello superiore. E con quel piede sinistro (ma anche con il tacco sinistro), ha fatto quello che voleva, facendosi ammirare da tutti. Oggi è lontano dal calcio e durante gli anni da calciatore non è mai stato paparazzato o immortalato in nessuna uscita: sempre fedele a Natalia, la fidanzatina diventata moglie e madre dei suoi tre figli (la figlia di mezzo si chiama Luciana).
C’è il rimpianto di cosa avrebbe potuto fare in rossonero. Una vera sfortuna, anche se ancora oggi non si sa se l’infortunio è stato dovuto al tapis roulant o all’aver messo male il piede durante un allenamento in campo, anche se lui anni dopo disse che aveva patito la diversità di preparazione fisica tra il Real ed il Milan. Fatto sta che per due stagioni intere il calcio non ha visto giocare il “principe” Redondo. Un uomo vero e professionista esemplare che per rispetto verso tutto e tutti ha deciso di non percepire lo stipendio per due stagioni.
Unica nota “positiva” del suo infortunio è stata la scoperta di Andrea Pirlo che Ancelotti portò da fantasista a mediano, ovvero da “volante”, il ruolo di Fernando Redondo.
Non tutti i mali vengono per nuocere, ma sarebbe stato bello vedere Fernando Carlos Redondo Neri da Adrogué fare il tanguero a pieno regime anche in Serie A.
BIO Simone Balocco: Novarese del 1981, Simone è laureato in scienze politiche con una tesi sullo sport e le colonie elioterapiche nel Novarese durante il Ventennio. Da oltre dieci anni scrive per siti di carattere sportivo, storico e “varie ed eventuali”. Tifoso del Novara Calcio prima e del Novara Football Club dopo, adora la sua città e non la cambierebbe con nessun altro posto al Mondo. Collabora da tempo con la redazione sportiva di una radio privata locale e ha scritto tre libri, di cui due sul calcio. I suoi fari sono Indro Montanelli e Gianni Brera, ma a lui interessa raccontare storie che possano suscitare interesse (e stupore) tra i lettori. Non invitatelo a teatro ma portatelo in qualunque stadio del Mondo e lo farete felice.