Non ho avuto supereroi da giovane, nel senso che non ho avuto il tempo di occuparmene e di amarli perché i miei erano in carne e ossa. I miei supereroi erano i calciatori, tutti, poi grazie al cugino Antonio lo diventarono solo quelli del Milan (ma qualcuno di altre squadre l’ho sempre avuto nel cuore).
Quando le formazioni si pronunciavano a memoria, perché ogni domenica giocavano sempre gli stessi, la filastrocca dei miei supermen era Cudicini Anquilletti Zignoli Rosato Schnellinger Biasiolo Sogliano Benetti Bigon Rivera Prati e poi Chiarugi. Punto. Loro undici, fine.
I miei primi San Siro, le mie prime Domeniche Sportive, le mie prime gioie e le mie prime sofferenze. All’oratorio e a casa recitavo Cudicini Anquilletti Zignoli…Fabio Cudicini era il mio Spider-Man, il ragno nero: arrivava volando in ogni angolo della porta tutto vestito di nero, maglione calzoncini e calzettoni con i risvolti rossi. Uno dei più grandi portieri nella storia del calcio italiano, senza aver mai indossato la maglia della Nazionale se non allenandosi per qualche convocazione.
Il calcio nel destino: suo padre era un difensore, suo figlio Carlo un portiere. Alto 191 centimetri che alla Roma gli erano valsi il soprannome di “Pennellone”, elegante come un fenicottero alla ricerca della posizione che non sbagliava mai, spietato come un’aquila nelle uscite alte, vinse scudetto, Coppa dei Campioni e Intercontinentale con il Milan, una Coppa delle Fiere (poi Coppa delle Coppe) con la Roma, una Coppa Italia con entrambe le squadre. Pacato, freddo, lucido in campo, era espansivo, gentile e cordiale fuori.
Raccontava i suoi ricordi con serenità, direi quasi con gioia, senza malinconia e senza astio, mai. Conobbi Fabio a metà anni Settanta. Io ero uno studente alle scuole medie al Gonzaga di Milano, con cui partecipavamo al torneo delle scuole cristiane. Fabio venne ad arbitrare la finale contro il Leone XIII, l’istituto dove aveva studiato da ragazzo. Ero il capitano del Gonzaga, gli diedi la mano prima del calcio d’inizio e gli dissi: “Lei è il mio idolo, ma non voglio favoritismi, voglio solo che lo sappia”.
Lo intervistai quando ero ancora studente, grazie a quell’incontro. Ci incontrammo di nuovo in qualche studio tv e a San Siro quando diventai giornalista, ci salutavamo e quando potevamo scambiavamo due chiacchiere: la tribuna d’onore e la tribuna stampa erano appiccicate, una volta. Lo intervistai di nuovo, stavolta da professionista, su incarico di Maurizio Mosca che stravedeva per Fabio Cudicini, “il portiere con la più grande classe che abbia mai visto”. Maurizio aveva un concetto di “classe” molto personale e che ho sempre condiviso: secondo lui non indicava il grado di ricchezza, o di cultura, o di eleganza, o di stile, ma semplicemente di un modo di fare.
Per lui un clochard poteva avere più classe di un nobile. Cudicini però aveva classe nell’educazione, nei modi, nel linguaggio, in campo come fuori. Prendemmo lo stesso volo da Dubai a Milano, una volta, e ci sedemmo fianco a fianco a chiacchierare. Suo figlio Carlo era al Chelsea e mi raccontò che stava facendo qualche investimento negli Emirati: era lui stesso ad occuparsene, nonostante il suo lavoro dopo il pallone fosse diventato nel settore dell’arredamento e – se non erro – specificamente nella moquette, una volta.
Parlammo di Sebastiano Rossi e Albertosi, di Zoff e di Taffarel, dei portieri di una volta e di quelli del futuro. Lui era della generazione che parava a mani nude o al massimo con un paio di guanti di lana come ce li avevano i bambini. Non amava i palloni di nuova produzione ed era d’accordo con me che complicassero assai il mestiere dei numeri 1, perché ai suoi (e ai miei) tempi il portiere aveva quello sulla schiena, l’uno.
Fa effetto diventare, se non proprio amici, stretti conoscenti di persone che erano i tuoi idoli da ragazzo, ma fa ancora più effetto scoprirli normali. Ogni bambino spera di incontrare Spider-Man e di conoscere i segreti dei suoi superpoteri: io non ho mai chiesto a un mago quali siano i suoi trucchi e sono sempre stato felice di scoprire che molti supereroi del calcio fossero invece, e per l’appunto, persone normali.
Fabio Cudicini era uno di questi, forse il più normale, sicuramente il mio primo supereroe. Ho amato vederlo sulle figurine, poi dal secondo anello e infine da vicino. Ti abbraccio, superportiere. Ti saluto, bella persona. Vola in cielo, ci sei abituato.
BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.
5 risposte
Una delle prime litanie che ho recitato faceva pressappoco così: Cudicini, Anquiletti, Schnellinger, Rosato, Malatrasi, Trapattoni, Hamrin,Lodetti, Sormani,Rivera, Prati.
Vuoto immenso.. per il nostro primo portiere… del nostro primo Milan♥️🖤
Luca sei splendido nei tuoi racconti, colgo un velo di tristezza nel tuo “romanzo” per una grande persona prima che un grandissimo portiere, questo portiere mi evoca grandi meravigliosi ricordi ❤️🖤❤️🖤❤️🖤
Grazie di cuore per questa testimonianza! Ora vola nei cieli del Paradiso Fabio, cuore rossonero!
…un saluto, Amos
Gran giocatore e grande uomo. L’ho visto varie volte da ragazzo quando difendeva la porta all’Olimpico negli anni in cui milito’alla Roma e poi “Il ragno nero” arrivò al nostro Milan vincendo ancor di piú!
R.i.P. Fabio!
Massimo 48