“Tutti nella vita hanno diritto alla stessa quantità di ghiaccio:
l’unica differenza è che i ricchi ce l’hanno d’estate e i poveri d’inverno”
(R. Tommasi)
C’è molto di Salvatore (detto Rino) Tommasi in questa frase caratterizzata da schiettezza, ironia, profondità di pensiero, sottinteso e verità.
Tutte qualità appartenenti ad un uomo, capace di illustrarsi da solo nel corso di una carriera nel giornalismo sportivo di cui, non solo in Italia, è risultato uno dei più grandi esponenti.
Tommasi è stato telecronista, conduttore televisivo, opinionista, direttore di testata e scrittore, personificando in maniera eccelsa il concetto di competenza quale somma di due addendi: la conoscenza e l’esperienza. Quest’ultima plasmata, rimanendo alle discipline che lo hanno fattto conoscere al grande pubblico, dagli anni da tennista e dall’essere stato il più giovane organizzatore di un match di pugilato valevole per il campionato del mondo oltre che di inumerevoli altre riunioni di livello internazionale.
Ridurre la competenza del giornalista originario di Verona al tennis ed al pugilato sarebbe peccato imperdonabile tanta era la preparazione che poteva esibire in merito ad ogni disciplina.
Appassionato di sport a stelle e strisce con all’attivo il commento di sette Super Bowl, era un grande estimatore del sistema sportivo universitario staunitense del quale ha sempre auspicato l’applicazione nei nostri istituti scolastici.
Lo stile descrittivo di Tommasi, sia alla TV che vergando mirabili pezzi su carta stampata, rappresenta quanto di più esaustivo si possa desiderare. Esplicativo senza risultare prolisso, ricorreva all’inciso per ottimizzare i tempi e le battute. Attentissimo al dettaglio, nel momento in cui esponeva una tesi si premurava di confutare preventivamente la possibile obiezione.
Non era uomo da mezzi termini.
Non gli piaceva essere “terzo” in seno alle dispute.
Per lui era giusto, se non doveroso, prendere sempre una posizione e motivarla.
Perchè il non schierarsi può portare dei vantaggi sul breve ma, a lungo andare, rischia di immergerci nell’ipocrisia.
Ha dato prova di come si possa essere schietti senza scadere nel volgare, di come sia possibile rimanere entro i confini della disputa pur osteggiando la controparte con tutte le proprie forze (in Federtennis ne sanno qualcosa), di come la competenza risulti l’arma migliore davanti a tutti: al ricco e al povero, al campione e al gregario, al potente e al nullatenente, al presidente federale e al semplice appassionato e di come il giudizio, anche il più severo, non debba mai essere frutto di pregiudizio né mirato a secondi fini.
Tommasi, anche nel confronto (che con lui era aspro solo nei contenuti e mai nei modi), si è sempre dimostrato leale.
La mancanza di diplomazia lo ha accompagnato per l’intera esistenza privandolo di onoreficenze e tributi che avrebbe meritato in numero maggiore di quanto ricevuto.
Diretto ma educato.
Non ci teneva ad apparire simpatico; gli interessava piuttosto rimanere coerente senza oltrepassare il limite che separa il convincimento dall’ottusità.
Amava i pronostici e le previsioni ma quando ne sbagliava una (gli capitò con Sampras che aveva pronosticato mai vincente a Wimbledon) era il primo a fare ammenda.
La modestia non faceva per lui perchè se sai di valere e ti presenti per meno di quello che sei stai mentendo a te stesso e agli altri.
Non per questo, tuttavia, ha mai peccato di arroganza e/o superbia.
Si è sentito definire “antiitaliano” per aver rivendicato l’esaltazione dei gesti sportivi con la medesima enfasi sia che fossero compiuti da suoi connazionali sia da atleti stranieri.
Chi lo conosce può invece testimoniare che nessuno meglio di lui avrebbe voluto celebrare un italiano in finale a Wimbledon o a Parigi, circostanze impossibili a verificarsi negli anni del suo operato professionale.
A corredo di quanto sopra la sua incredibile passione per lo sport e l’amore per il proprio lavoro.
“Ci pagano per svolgere un lavoro per cui pagheremmo noi.
Forse sarebbe meglio non lo sapessero”.
(Rino Tommasi)
Quando si è occupato di football, di cui ne sapeva più dei calciofili di professione, si è visto rimbalzato per i concetti che esprimeva, assolutamente “in progress” all’interno di quel contesto, ancorchè successivamente recepiti sia dal punto di vista regolamentare che organizzativo.
Dalla modifica della regola sul retropassaggio al portiere, all’esigenza di cambiare la formula dei campionato del mondo del 1978 e 1982 per fare spazio all’eliminazione diretta.
Dall’ampliamento del numero di squadre partecipanti alla coppa dei campioni, alla legalizzazione delle scommesse sportive in Italia, sino all’introduzione dei playoff.
E poi la sue grandi battaglie mediatiche: quella atta a far si che tutti i posti negli stadi fossero numerati e quella di introdurre la Tv a pagamento anche in Italia.
Decisione necessaria, a suo dire, per la crescita dello sport in un paese in cui la TV di stato non di rado sospendeva il collegamento prima che avvenimenti di grande interesse si fossero conclusi.
La sua conoscenza, giova ribadirlo, attecchiva in tutti gli sport con l’effetto di risultare sempre credibile, anche nel collocare i campioni di tutti i tempi secondo graduatorie di valore. Perchè, se è vero che non si possono paragonare atleti di epoche differenti, è pur vero che, grazie alla competenza ed alla capacità di interpretare i numeri, è possibile individuare per ognuno di loro la categoria di appartenenza.
Dopo un magistero nelle principali testate sportive e non, unito ad esperienze di campo, organizzative (boxe) e di presidenze regionali (tennis), Tommasi si propone al grande pubblico nel 1981 anno in cui, raccogliendo l’invito di Berlusconi, approda a Canale 5.
Da subito si contrappone ai canoni istituzionali della Rai per il coraggio di osare e di risultare sia telecronista che voce tecnica, facendo leva su un’innata capacità di snocciolare le statistiche che interpreta sempre nel modo corretto.
Sono anni in cui deve scontare, tuttavia, quello che ritiene il più grande difetto in spregio alla trasmissione di un avvenimento sportivo: la trasmissione in differita.
Ciò perchè negli anni 80 il gruppo Fininvest non può trasmettere in diretta se non nella regione Lombardia.
Si consola ideando e conducendo due programmi entrati nella storia: “La Grande Boxe” ed “Il Grande Tennis”; contenitori settimanali con cui offre notizie, risultati, immagini, commenti e servizi su quanto accade nel presente con un occhio ai grandi del passato e uno rivolto alle giovani generazioni.
Si libera dal fardello di non trasmettere in diretta gli eventi sportivi nel momento in cui il gruppo Fininvest acquisisce i diritti dell’iconica Koper Capodistria.
Da lì in poi, con il compianto Gianni Clerici, ma talvolta anche in compagnia di Roberto Lombardi (anch’egli compianto) e di Ubaldo Scannagatta, incanta letteralmente i telespettatori.
La simbiosi che si crea con un gigante come Clerici partorirà la miglior coppia di sempre, munita di un’eleganza verbale prolifera di neologismi ed aforismi.
Prosa e poesia si fondono per il divertimento ma anche per l’apprendimento di chi li ascolta. Non è raro che le persone discutano delle figure retoriche utilizzate in telecronaca da una coppia che entra nelle case con educazione e simpatia arricchendo il vocabolario degli italiani.
“Sono contrario a chiamare le tenniste con il cognome del marito perchè ci costringerebbe ad occuparci delle loro vicende sentimentali ed una cosa che non voglio fare”
(Rino Tommasi)
Ironico, Rino, ma mai sarcastico.
Impegnato a scardinare i luoghi comuni e, cosa inusuale per un giornalista sportivo, aperto al cambiamento.
Refrattario al tradizionalismo fine a se stesso, ha sempre identificato il viaggio come la più grande forma di libertà sino ad affermare che“non c’è nessun ristorante al mondo che valga il prezzo di una corsa in taxi”.
Numerosi i neologismi che portano la sua firma.
Oltre a noti “circoletto rosso”, “sul mio personalissimo cartellino” e “gli ha fatto fare il tergicristallo” val la pena ricordare la genesi del termine “veronica”, coniato per descrivere un colpo di Adriano Panatta con cui il tennista romano annullò un match point al cecoslovacco Hutka in un match di secondo turno del Roland Garros del 1976, conclusosi con il trionfo dell’azzurro.
Tommasi ha sempre sottolineato come quel gesto non fosse una volee alta di rovescio, come molti si ostinano ancora a definirlo, bensì una sorta di smash di rovescio, eseguito spalle alle rete. Da lì il termine “veronica”; non un omaggio al nome proprio femminile ma un riferimento al termine con cui in Spagna sono soliti descrivere il movimento del torero nel far volteggiare la cappa avanti al toro.
La consacrazione televisiva di Tommasi si completa negli anni 90 quando il gruppo Fininvest dà vita a Tele+, ovvero l’emittenza a pagamento che trasmette solo sport e che il nostro attendeva da anni.
Del tutto naturale ne venga nominato direttore lui che, tra i vari impegni, conduce una rubrica il cui titolo, “Fairplay”, lo rappresenta al meglio.
Meno naturale che, dopo nemmeno due anni, la direzione gli venga tolta in favore di Aldo Biscardi, strappato alla Rai nel momento in cui la Tv satellitare acquisisce i diritti per trasmettere in diretta le parite del massimo campionato di calcio.
Sono anni meravigliosi nonostante il pugilato e il tennis non vedano atleti italiani primeggiare.
Da McEnroe a Wilander, da Sampras ad Agassi, da Becker al suo amato Edberg, transitando per i pugni di Hagler, Mugabi, Duran, Tyson e tanti altri, Tommasi assume il ruolo di cassazione dello sport tanto è lucido e competente nel valutare i protagonisti solo ed esclusivamente per le loro imprese sportive.
Le critiche a giudici ed arbitri, non solo quando sbagliano a danno degli italiani, non hanno mai l’obiettivo di giustificare una sconfitta bensì quello di denunciare scandali ed ingiustizie.
Ad inizio del millennio Tele+ si fonde con Stream dando origine a Sky.
Nonostante la malattia faccia capolino, Tommasi allieta i telespettatori per un ulteriore decennio offrendo loro passaggi in prima classe all’interno dello sport internazionale.
Non sono le condizioni di salute che lo inducono a lasciare Sky quanto piuttosto il nuovo corso aziendale che dispone che gli avvenimenti sportivi vengano commentati con maggior frequenza dagli studi dell’azienda anziché dal luogo in cui si celebrano.
Decisione, quest’ultima, percepita dal nostro come un sacrilegio perchè vi sono circostanze, situazioni, gesti, momenti, fatti che si possono descrivere solo se si è presenti nel luogo dell’evento.
Pur non lesinando critiche a colleghi si è sempre ribellato all’idea che la comunicazione sportiva rappresenti qualcosa di banale o di serie inferiore. Anzi.
Non vi è dubbio, affermava, che in altre branchie del giornalismo operino figure più autorevoli o più preparate ma il compito del giornalista sportivo è più difficile perchè nel caso in cui uno dei colleghi che dibattono di cultura o di politica compia un errore sono in pochi a farglielo notare.
Quando, viceversa, a sbagliare un nome, un risultato o un riferimento è uno sportivo, costui riceve una moltitudine di rimproveri.
Amante del nostro paese ma orgogliosamente lontano dallo stereotipo dell’italiano medio a cui non riesce di ambientarsi all’estero in assenza degli spaghetti, del sole e della mamma, ha sempre stigmatizzato le carenze strutturali di casa nostra.
“Gli americani hanno costruito Flushing Meadow in otto mesi,
nello stesso tempo in Italia una pratica non passa da una scrivania all’altra”.
(Rino Tommasi)
Nel ricordare una memorabile intervista ad Henry Kissinger che gli valse il premio dell’USSI nel 1979, quando ancora le confidenze dell’ex segretario di stato non erano di dominio pubblico, non va dimenticato come Tommasi abbia saputo condensare nella sua atttività sia la parte empirica che quella umana, risultando autorevole ma divertente, schietto ma sempre garbato.
E quando qualcuno lo criticava per l’eccesso di statistiche e di numeri rispondeva che l’intervistato può mentire, che le analisi a caldo posso essere fuorvianti ma che i numeri, loro no, non mentono. A patto che si sappia interpretarli nel modo corretto.
Perchè “chi rifugge dalle statistiche lo fa perchè non ha la pazienza per compilarle, la voglia di studiarle e la capacità di interpretarle”.
(Rino Tommasi)
Game, set and match.
O, se preferite, vittoria per KO tecnico.
BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.