SÉRGIO CONCEIÇÃO, UNA PROSPETTIVA DAL PORTOGALLO

Sérgio Conceição ha iniziato la propria avventura alla guida del Milan con il piede giusto. I rossoneri hanno conquistato la Supercoppa italiana, sconfiggendo in rimonta prima la Juve poi l’Inter. L’approdo al Diavolo è il culmine di una carriera iniziata con la fragilità di un ragazzino di paese, costretto a crescere in fretta dal dolore precoce della perdita dei genitori. Si è aggrappato alla Bibbia come unico sostegno e da lì ha forgiato, passo dopo passo, la persona che è diventata: “Istintivo fino al midollo, lascio trasparire il mio umorismo senza filtri”. Con lui, lo spogliatoio è un santuario inviolabile. Nessun intruso osa oltrepassare la soglia, nemmeno durante gli eventi ufficiali.

Coimbra lo emoziona, come se risvegliasse qualcosa di antico e profondo dentro di lui. Sérgio viene da Ribeira de Frades, un villaggio a cinque chilometri dalla famosa città portoghese bagnata dal fiume Mondego. Un posto piccolo e umile, proprio come la sua famiglia, che gli ha regalato un’infanzia fatta di felicità semplice: “Ricca di sentimenti, ma povera in soldi”, raccontava all’Expresso nel 2001. Sérgio è stato felice, grato di ciò che aveva, fino ai suoi 16 anni, quando il padre è morto, e ai 18, quando ha perso anche la madre. Rimasto senza un faro, si è aggrappato alla Bibbia come a un’ancora. Leggeva, interpretava, cercava di crescere con quei valori che illuminavano le sue giornate: “Perché sono attratto dalla pace, dall’amore, dalla serenità dello spirito”.

È lì che ha incontrato Liliana, la donna che avrebbe cambiato per sempre il corso della sua vita. Insieme, hanno attraversato le tempeste e le quieti del destino, sposandosi quando Sérgio aveva appena 20 anni e costruendo una famiglia con cinque figli. È lei, più di chiunque altro, a conoscere l’uomo dietro l’apparenza: “istintivo, spesso capace di sorprendere con un umorismo disarmante”, come ha confessato lui stesso con un sorriso che racconta un mondo.

Sergente di ferro nello spogliatoio, ma anfitrione di momenti di leggerezza nel tempo libero, l’attuale tecnico del Milan sa muoversi con abilità nel delicato equilibrio tra disciplina e spensieratezza. È lui il regista di brindisi conviviali e di attività che rinsaldano il gruppo: uscite a giocare a paintball, sfide di go-kart, o le notti in albergo a ridere di gusto con le performance di stand-up comedy di amici come Fernando Rocha. Questi sono i suoi rituali, momenti sacri dedicati ai giocatori, dove dirigenti e occhi esterni rimangono rigorosamente fuori dallo spogliatoio. Il volto di Sérgio Conceição non mente mai. Ai giornalisti, ai tifosi, ai giocatori e al presidente. Avverso ai bluff, i suoi modi vengono ritenuti talvolta spiccioli ma è un uomo sempre schietto. Avverso, insomma, anche al detto secondo cui “il calcio è una bugia”.

La carriera di Sérgio Conceição, come spesso accade ai personaggi di temperamento, non è stata priva di momenti polemici. Tra tutti, il litigio con António Salvador, presidente dello Sporting Braga, si trasformò in un evento così dirompente da spingere il club ad avviare un procedimento disciplinare nei suoi confronti, preludio al licenziamento. Un episodio che aggiunge una sfumatura fosca al ritratto di un tecnico mai banale. Non è certo la prima volta che un presidente si trova a fronteggiare l’ira funesta di Sérgio Conceição. Si racconta che, ai tempi dell’Académica, il tecnico abbia perso ogni freno, alzando la voce e scandendo a gran furor il suo diritto agli stipendi arretrati, mentre José Eduardo Simões, l’allora presidente, subiva l’onda della sua collera. Una scena da teatro epico, dove l’orgoglio di un uomo si scontra con il silenzio imbarazzato del potere. E, prima d’allora, c’erano stati screzi con Isidoro Sousa, presidente dell’Olhanense, “reo”, a detta del tecnico, di non aver rispettato alcuni patti. L’addio a fine stagione è stato la naturale conseguenza. Il rapporto con i calciatori è stato invece fraterno. Basti pensare che, una volta lasciata la guida della compagine dell’Algarve, il tecnico ha regalato a ciascun giocatore una penna Montblanc personalizzata.

In Portogallo, Conceição è l’emblema di un allenatore che prima di tutto si preoccupa di chiudere la porta, come un usciere diffidente che teme l’ospite indesiderato. Ama un calcio dove ogni pensiero precede l’azione, una danza mentale che anticipa il rischio, un gioco fatto di diffidenze ben calibrate, come se il pallone, tra i piedi avversari, fosse una miccia pronta a esplodere. È l’allenatore che, nella stessa intervista, ha sostenuto che “se subisci tre gol e non ne segni quattro, è una pessima cosa”, perché “l’unico risultato che garantisce i punti è non subire gol”.

Ricordano come, quando era giocatore, fosse tra coloro che mettevano in riga i più giovani, come il giorno in cui si recò insieme a Jorge Costa a prendere Mário Jardel in discoteca. In Portogallo si sussurra che Sérgio Conceição sia un uomo di cuore, incapace di contenere l’uragano delle sue emozioni. Si dice anche che questa tempesta, a volte, possa ribaltare il destino. Ma è proprio in quel turbinio che emerge l’anima di un allenatore: competente, ambizioso, capace di dare tutto e di ergersi come un’armatura a protezione della sua squadra, perché per Conceição il calcio non è solo strategia, ma vuol dire gettare costantemente il cuore oltre l’ostacolo.

Rui Jorge, suo compagno di squadra al Porto e in Nazionale, ha ritenuto che il poco self-control è stato il motivo che gli ha impedito finora di affermarsi come allenatore di spessore mondiale. Gli amici ed ex compagni lo descrivono come irascibile, impetuoso, “un testardo senza rimedio”, ma aggiungono che è anche di un’umanità disarmante, capace di gesti generosi che non cerca mai di far notare. Sérgio, dicono, è innamorato del calcio quanto della vita stessa. Con il vino è esigente quanto con l’allenamento – “chi non dà tutto è perduto”, avverte Jorge Costa – ma nei piaceri della tavola si lascia andare, come davanti a una cena tra amici. “Va matto per il mio capretto al forno”, raccontava l’ex centrale della nazionale portoghese, quasi con affetto fraterno. Chi lo conosce ammette che nel calcio ci può essere chi lo ama o lo odia, ma fuori dal rettangolo di gioco è impossibile non amarlo. Come quel giorno in cui Sérgio Conceição, tecnico del Porto, si sedette sugli spalti per assistere a una partita della squadra giovanile dei Dragões contro il Benfica, dove giocava uno dei suoi figli. Il calcio, si sa, accende passioni e disfa le ragioni, e così accadde che un tifoso del Porto si scagliò proprio contro il ragazzo. Ma Conceição, con il cuore di un padre e il sangue caldo di un uomo di campo, si alzò e affrontò quell’ira a muso duro. In quel momento, accadde l’inatteso: il gesto, tanto semplice quanto potente, azzerò le rivalità, mettendo d’accordo tifosi divisi da una vita. Un lampo d’umanità che il calcio, a volte, sa regalare.

In Portogallo, Sérgio Conceição è passato attraverso anni turbolenti, segnati da rapporti spesso conflittuali con i presidenti delle sue prime squadre, faticando a trovare quella continuità che serve per costruire un percorso. Ma nel 2017, quando il Porto – non il club che lo aveva lanciato, bensì quello dove aveva militato per appena due stagioni da giocatore – gli ha offerto la panchina, la sua carriera ha preso il volo. E lo ha fatto in grande stile.

Nonostante il Nantes, squadra francese che aveva condotto con successo alla salvezza in Ligue 1, gli avesse messo sul piatto il doppio dello stipendio, Conceição ha scelto di tornare in patria. La sfida lo intrigava, forse anche perché proposta dal controverso Pinto da Costa, un presidente abituato più a rischiare che a pianificare. I Dragoes, all’epoca, vivevano un periodo di magra: un digiuno da titoli nazionali che durava ormai da quattro anni. Eppure, proprio da quelle ceneri, Conceição ha costruito una dinastia: quattro campionati, successi in Coppa e, non meno importante, prestazioni mai banali anche sui palcoscenici europei. Una scelta di cuore, ma soprattutto una decisione che ha ridisegnato il corso della sua carriera.

Al Milan ha accettato un’altra missione quasi disperata: riportare trofei a una squadra che, in Serie A, faticava a tenere la barra dritta. Il primo sigillo è arrivato quasi subito, a pochi giorni dal suo insediamento, con una Supercoppa italiana che ha il sapore della rivincita: prima una rimonta contro la Juve, poi un derby di finale vinto d’autorità contro l’Inter. Ma del resto, siamo di fronte a un uomo che non conosce la resa, che trasforma ogni sfida in un duello epico, persino una partita a calcio balilla con i nipoti al Café Amoreira.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

2 risposte

  1. Bellissimo articolo Vincenzo!
    Grazie a queste informazioni veniamo a conoscere più da vicino questo eclettico e straripante trainer lusitano, esattamente l’opposto, caratterialmente parlando, del suo conterraneo predecessore.
    Da tifoso rossonero mi auguro che oltre alla Supercoppa appena conquistata possa inanellare altri meritati successi.
    Buona giornata.

    Massimo 48

  2. Adesso tutti cavoli suoi…quel sigaro dopo derby a Ryad e’ una sfida a noi suoi tifosi..ci aspettiamo impegno atteggiamento concentrazione e 0concretezza di Ryad…sia chiaro in Chiampions no ci credo che andremo son troppi davanti noi,il coraggio e la voglia di vincere Sergio c’è l’ha già trasmessa.. Forza Milan

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