Sono passati, in definitiva, pochi giorni dalla meritata vittoria della Supercoppa italiana in quel di Rihad: una vittoria doppia, in un certo senso, per il piacere di essercela giocata in un derby. Un po’ come deve essere stato per il Barcellona, trionfatore in Supercoppa di Spagna sullo storico avversario, il Real Madrid, dopo una partita magnifica, in parte giocata in dieci uomini. Siamo alle solite: l’apparente facilità nel trovarsi è frutto di un lavoro assai complesso, un po’ come l’attore che ha una tecnica talmente sopraffina da farti credere che non stia recitando affatto.
Non sarà – anzi, non è – il trofeo più prestigioso del mondo, ma non si vede perché non avremmo dovuto gioire (gli altri lo fanno, ma poi se ne dimenticano). Passata la sottile ebbrezza – perché non credo si possa parlare di vera e propria sbornia – siamo tornati alla realtà del campionato, con relativi, annosi problemi da risolvere. Come sovente accade, nell’epoca balorda dell’infotainment, il chiacchiericcio – dal decalogo “à la sergente Hartman”, comandante di titanio di kubrickiana memoria, imposto da Conceição, fino alle voci, più o meno fondate, sul calciomercato – ha finito per oscurare la valutazione della performance casalinga contro il Cagliari. Si è trattato di una prestazione insoddisfacente sotto molti aspetti, alcuni connaturati, diciamo così, altri dovuti alla fisiologica necessità di adattamento della squadra ai dettami del nuovo allenatore; altri ancora alla presumibile stanchezza di chi sta giocando da agosto in avanti, talvolta un paio di volte a settimana, senza poter contare su un adeguato back-up in panchina: Fofana, in modo particolare, e Reijnders. Questo a prescindere da qualunque altra valutazione sul nuovo progetto, che dovrà essere fatta e discussa, come già detto, dopo un adeguato numero di mesi e di partite.
Se ogni inciampo (oppure ogni piccola caduta) viene vissuto come un evento fine a sé stesso, non c’è rimedio: ogni volta sarà una tragedia, ogni volta sarà la goccia che fa traboccare il vaso del malcontento… fino alla goccia successiva! Allora forse vale la pena di guardarla da un’altra angolazione e fare un tentativo diverso: sentirsi un po’ come Anteo. Ne parla, in un piccolo libro uscito poco tempo fa per Einaudi, Gianrico Carofiglio. Il titolo del volume è emblematico, sagacemente ironico: Elogio dell’ignoranza e dell’errore. Se l’errore è una pietra tombale, si metta pure fine allo sport, all’arte, e persino alla scienza giacché la scoperta della penicillina, tanto per citare un caso molto noto, nasce da un errore. Se invece lo sbaglio, o in questo caso la caduta, è quello di Anteo, figlio di Gea, si potrà notare come ogni contatto con la Madre Terra sia capace non di fiaccare, ma di rinvigorire lo sforzo, di renderlo più efficace. Sì, è una questione di prospettiva, anche al di là di una facile retorica: ragionare sulle radici, senza lasciarsi scoraggiare e senza voler per forza avere ragione. Anche di questo parla Carofiglio, raccontando l’aneddoto di Bruno Trentin, sindacalista, politico e partigiano, che era solito congedare chiunque acconsentisse per più di tre volte di fila! O tempora, o mores: oggigiorno c’è chi vive per il seguito social e per sentirsi dire che c’ha preso.
Il calciomercato, dicevo poco fa: si parla con insistenza di Marcus Rashford, ex enfant prodige dello United, in seguito sempre più ai margini del progetto, tanto di ten Hag, che pure lo ha molto utilizzato, quanto del nuovo arrivato, Ruben Amorim, che inizialmente aveva fatto ben sperare circa il recupero, soprattutto mentale, del ventisettenne esterno sinistro (come ruolo naturale, ma è un calciatore versatile, in posizione offensiva). Guardiola, pur seduto sulla sponda blu di Manchester, lo ha sempre ammirato, ed è un vero peccato che un simile talento, negli anni, abbia finito per perdersi. Se dovesse arrivare al Milan, pur senza troppe aspettative (lo scorso anno si parla di sette gol e due assist su trentatre presenze, in Premier) e senza immaginarlo come un vero e proprio attaccante d’area, che però è quello che ci serve, sarei curiosa di capire che direzione potrebbe prendere la sua carriera: o una rinascita o una resa definitiva. Tertium non datur.
L’altro nome che si è fatto spazio negli ultimi giorni – ma potrebbero rivelarsi solo indiscrezioni – è quello del terzino destro del Manchester City, Kyle Walker. Se il tifoso dovesse ripercorrere con la mente la semifinale contro il Real Madrid dell’annata del Treble, ricorderebbe un Vinicius Jr. annichilito proprio da Walker: persino più veloce, puntuale negli interventi, solido in ogni copertura, praticamente perfetto. Però non è tutto oro quel che luccica o meglio, anche un metallo prezioso può pian piano ossidarsi un po’. Walker, complici i problemi personali che hanno intasato i tabloid britannici più o meno dal Boxing Day del 2024 in poi (ma non è il primo “scandalo” che lo vede coinvolto), non è più quello visto un paio di stagioni fa contro il Real. Anzi, a dirla tutta, le debacle difensive della squadra di Pep sono in certa parte ascrivibili proprio a suoi errori di lettura dell’azione; ultimamente non è più lui, sembra quasi confuso e la fascia da capitano, che porta dall’anno scorso, non deve avergli giovato sul piano psicologico. Certo, cambiare aria potrebbe fargli bene (questa necessità, non altre, la ragione per cui ha chiesto, credo con profondo dispiacere, la cessione), ma non credo ci si possa aspettare, da un terzino che si avvia a compiere trentacinque anni, un ritorno ai vecchi fasti. “If he is mentally fit”, ha precisato il suo ormai ex allenatore che poco più di un anno fa aveva voluto una cena tête-à-tête per convincerlo a non abbandonare il City in favore della Bundesliga. Be’, è ciò che è sembrato anche ai semplici appassionati: fuori focus soprattutto a un livello mentale. Rimane il fatto che stiamo parlando di uno dei più grandi right back della storia della Premier League e anche Giroud è arrivato a fine carriera, dando prova di avere ancora molto da dare. Tutto ciò, si intende, ammesso e non concesso che la cessione, verso il Milan o qualunque altro club – pare che il giocatore abbia rifiutato l’Arabia Saudita, preferendo restare in Europa – sia concretizzata in questa finestra di mercato e non a giugno, ovvero alla scadenza del contratto con il club britannico. La non convocazione contro il Brentford lascia comunque pensare che si voglia fare presto per non perdere il giocatore a zero come fu con il figliol prodigo, Gündoğan.
Se poi il quesito fosse “ma al Milan oggi serve un terzino destro?”, la risposta non potrebbe che essere negativa, date le carenze in altri reparti. Si tratta di priorità, tutto qui, benché uno Walker in discreta forma, in serie A, possa senza dubbio fare la differenza. Allo stesso tempo, e qui parlo da affezionata alla squadra del recente Triplete, mi dispiacerebbe vederlo con la casacca nerazzurra, anche se sospetto che sarà più facilmente questo l’esito a cui assisteremo.
Tra l’altro, ai sensi del nuovo regolamento della FIGC sui giocatori extraUE, l’arrivo di Marcus Rashford dovrebbe escludere l’ingaggio di Walker e viceversa. Il Milan ha infatti, al momento, due delle tre finestre previste, occupate da Pavlović e Emerson Royal. Vedremo nelle prossime ore cosa accadrà.
I rossoneri, ospiti nello stadio sulle sponde del lago, il Giuseppe Sinigaglia, si trovano ad affrontare un Como che sta via via trovando la propria dimensione di squadra, grazie anche alla pazienza di Cesc Fàbregas, intelligente in campo e fuori. Assente, a causa dell’infortunio rimediato contro la Lazio (per fortuna senza lesioni ossee o muscolari, come si temeva, vedendo il fallo in diretta), il gioiellino ispano-argentino, Nico Paz.
Conceição decide di schierare Bennacer, assente contro il Cagliari, al fianco di Fofana, con Reijnders perno libero, a tentare di sfruttare appieno le sue preminenti caratteristiche offensive. Musah parte dalla panchina: entrerà all’inizio del secondo tempo per velocizzare l’azione e spingere la manovra verso la porta avversaria, provando a uscire dal giogo del centrocampo a quattro del Como.
Invero l’olandese numero 14 è apparso abbastanza sottotono, rispetto all’avvio spumeggiante di stagione, non in grado di valorizzare le occasioni – poche – che gli si sono presentate.
Morata è punta centrale del tridente d’attacco, dal primo minuto, nonostante alla vigilia si parlasse di un turn-over con Tammy Abraham che invece subentrerà a partita in corso anche a causa del giallo rimediato dallo spagnolo, inciampo che gli farà saltare la gara contro la Juventus. Torna Emerson Royal sulla destra, mentre resta stabile la coppia di centrali di difesa, che è sembrata quella prediletta dal nuovo mister: Tomori e Thiaw. Quest’ultimo, pare a causa di un piccolo problema fisico da valutare, sarà poi sostituito a metà del secondo tempo da Matteo Gabbia.
Il Milan perde, si spera per un numero limitatissimo di settimane, Christian Pulisic, e questa è decisamente una cattiva notizia.
L’allenatore portoghese opta di nuovo per un sostanziale 1-4-3-3, trovandosi, soprattutto nel primo tempo, decisamente affrontato sottotono, per dinamismo e atteggiamento complessivo, a confrontarsi con l’1-3-4-2-1 posto in essere da Fàbregas. Come due cubetti di ghiaccio, uno più piccolo e l’altro più grande, che strofinano l’uno sull’altro, i primi problemi si sono notati proprio a causa della superiorità numerica dei comaschi a centrocampo, specie quando, a causa di errori tecnici piuttosto banali, il Milan perdeva palla in quella zona e non riusciva a gestire la transizioni veloci e le relative ripartenze – gli “sgusciamenti” – degli avversari. Un’altra difficoltà è sembrata quella relativa alla gestione dei due trequartisti, Strefezza e il neo-acquisto (e che acquisto!), il diciannovenne spagnolo ex Betis, Assane Diao, autore anche del gol dell’uno a zero (d’accordo il lassismo in copertura di Theo, ma la sfilacciatura è stata generale). Muovendosi in una zona centrale tra il centrocampo e l’attacco, i due hanno saputo sia gestire l’appoggio sulle fasce di Brempt e Fadera, in modo da sfruttare delle linee trasversali verso l’esterno e poi a rientrare, sia – in particolare Strefezza, nella prima frazione – trovare passaggi filtranti a servire, o almeno a cercare di servire, Patrick Cutrone.
In questo senso è sembrato utile, per non dire provvidenziale, il cambio tattico, operato nel secondo tempo, con l’ingresso in campo di Tammy Abraham a mo’ di sottopunta per le incursioni di un più accentrato (così lo avevamo visto anche nella gestione Fonseca) Leão: inutile insistere sulle corsie congestionate. In questo modo, invece di provare ad aggirare il piccolo iceberg, rischiando di infilarsi in un infruttuoso cul-de-sac ovvero di arenarsi, lo si va a colpire con un punteruolo della giusta dimensione. Proprio dalla verticalizzazione sull’asse punteruolo-Abraham – Rafa, nasce infatti l’incursione che porta il Milan al secondo gol, a distanza di una manciata di minuti dal primo, realizzato su una punizione smorzata d’esterno – fortuita? Non so, senz’altro imprendibile per il giro anomalo della palla – di Theo Hernández. Theo raggiunge la trentesima rete in seria A, diventando il terzino più prolifico della storia del Milan.
C’è da dire che l’equilibrio complessivo, una volta che è stato, con fatica, raggiunto, non ha risentito dello spostamento dell’asse in avanti, con Camarda sostituito al diffidato Fofana.
Il risultato che auspicavamo, insomma, alla fine è arrivato in rimonta, ma, in tutta onestà, è difficile potersi dire davvero soddisfatti della prestazione dei nostri. E a giudicare dall’agitazione che si percepiva giungere dalla panchina, è facile che Conceição sia dello stesso avviso!
COMO (1-3-4-2-1): Butez; Goldaniga, Dossena (Gabrielloni dall’85’), Kempf; Van Der Brempt, Engelhardt (Perrone dal 73’), Da Cunha, Fadera; Strefezza (Caqueret dal 46’), Diao (Verdi dal 91’); Cutrone (Belotti dal 90’). A disp.: Audero, Reina; Iovine, Jack; Braunöder, Caqueret, Kone, Mazzitelli, Paz, Perrone, Verdi; Belotti, Chinetti, Gabrielloni, Razi. All.: Fàbregas.
MILAN (1-4-3-3): Maignan; E. Royal, Thiaw (Gabbia dal 66’), Tomori, Hernández; Bennacer (Musah dal 46’), Fofana (Camarda dal 72’), Reijnders; Pulisic (Jiménez dal 46’), Morata (Abraham dal 46’), Leão. A disp.: Sportiello, Torriani; Calabria, Gabbia, Jiménez, Pavlović, Terracciano; Musah; Abraham, Camarda, Omoregbe. All.: Conceição.
Arbitro: Manganiello di Pinerolo.
BIO: ILARIA MAINARDI
Nasco e risiedo a Pisa anche se, per viaggi mentali, mi sento cosmopolita.
Mi nutro da sempre di calcio, grande passione di origine paterna, e di cinema.
Ho pubblicato alcuni volumi di narrativa, anche per bambini, e saggistica. Gli ultimi lavori, in ordine di tempo, sono il romanzo distopico La gestazione degli elefanti, per Les Flaneurs Edizioni, e Milù, la gallina blu, per PubMe – Gli scrittori della porta accanto.
Un sogno (anzi due)? Vincere la Palma d’oro a Cannes per un film sceneggiato a quattro mani con Quentin Tarantino e una chiacchierata con Pep Guardiola!
Una risposta
La metafora tirata in ballo scomodando Anteo e la casuale scoperta della penicillina è semplicemente geniale come del resto è ormai di norma leggere nei tuoi dettagliati e sempre piú veritieri articoli questi raffinati parallelismi, dunque ancora un meritatissimo Chapeau Ilaria!
Sul nostro Milan sono d’accordo con la tua analisi. Concecao sta cercando di comprendere la fase di rodaggio e conquistare una Coppa appena arrivato più 4 punti in 2 gare secondo me basta e avanza!
Buona giornata!
Massimo 48