L’allenamento basato sulla cognizione incarnata può migliorare le prestazioni sportive e fisiche, enfatizzando l’importanza dell’interazione tra mente, corpo e ambiente.
Questo approccio si giustifica attraverso proposte allenanti fedeli alle situazioni che si verificano durante la gara, costruite sia localmente che globalmente.
Si deve avere la capacità di selezionare solo le sollecitazioni organico-cinestetico- socio-affettive che si trovano in partita.
Ciò mette seriamente in discussione la validità di ricorrere a preparazioni atletiche separate dal contesto del gioco, ai carichi di lavoro frazionati, ai lavori di tecnica individuale, specie quelli proposti con il cosiddetto “ metodo analitico “ che per paradosso non ha nulla a che vedere con “ l’intervento analitico”, che è tutt’altra cosa.Al contrario devono essere proposte attività in cui saranno contenuti situazioni motorie-percettivo-cinestetiche come combinazioni di corse, arresti, salti, cambi di direzione tutto in situazione con lo scopo di riprodurre i medesimi scenari della partita in cui il calciatore sarà costretto non solo ad adattarsi al contesto, ma anche, e aggiungo soprattutto, a essere proattivo.
E ciò è possibile attraverso quella che Berthoz nel libro la Semplessità ha definito l’anticipazione probabilistica, una capacità che il nostro cervello ha acquisito filogeneticamente per affrontare efficacemente la complessità della realtà circostante.
Ciò è confermato da numerose evidenze scientifiche.
Infatti, dal punto di vista neurofisiologico ogni volta che accade qualcosa nell’ambiente circostante il nostro cervello ha imparato ad agire in questo modo:
il sistema specchio ne è informato dopo 50ms;
la risposta motoria incarnata si verifica in 150ms;
il calciatore diventa consapevole dopo 350ms;
il calciatore è in grado di fare valutazioni oggettive dopo 650ms.
Noi crediamo di decidere e agire contemporaneamente, ma non è così. È la mente “enattiva“ che fa in modo che ciò accada.
Il lavoro dell’allenatore è di ridurre i 150ms di cognizione incarnata immergendo il calciatore in diverse, variegate e realistiche esperienze vissute.
Egli deve avere la capacità di selezionare attività pertinenti alla realtà della gara (compresenza spaziale e temporale di tutti i protagonisti della prestazione dove si verificano in maniera non lineare transizioni reversibili e reciproche della disponibilità della palla) piuttosto che alla ripetizione meccanica di schemi (il cosiddetto gioco ad ombra).
Ciò arricchisce la cognizione incarnata, con la quale il calciatore impara ad adattarsi a tutte le circostanze della partita, anche a quelle che si presentano in maniera imprevista.
Le esperienze di apprendimento situato non devono mai essere uguali, modificando gli spazi degli ambienti, si farà in modo che possano emergere comportamenti con tempi differenti.
La scoperta guidata, la libera sperimentazione, la ricerca-azione sono le modalità di apprendimento che vengono sollecitate e sedimentate. La cognizione incarnata consente ai calciatori di agire in maniera intenzionale e condivisa.
Scendiamo in campo con degli esempi concreti:
1) ipotizziamo che si voglia far emergere come necessità di risoluzione dei problemi le giocate a 1/2 tocchi, il passaggio corto e preciso, l’uno-due e terzo uomo, il tiro in porta si può proporre una esperienza situata di 6×6+2P in un ambiente di 40x20m.
2) ipotizziamo che oltre a ciò a cui si è fatto riferimento in precedenza, volessimo che emergessero anche il passaggio lungo e nello spazio, il cambio di campo, il cross e il tiro da fuori, potremmo proporre un 8×8+2P in un ambiente di 60x40m.
3) ipotizziamo invece che volessimo fare emergere tutto questo e altro ancora, organizziamo una partita 10×10+2P area-area, dove a prevalere sarà la non linearità dei comportamenti.
Queste 3 proposte di allenamento, precedute da un 10×10 palla in meta area-area, potrebbe diventare una vera e proprio unità di apprendimento situato.
E qui diviene necessario occuparsi un attimo del “ termine “ ( così viene definita dai più) competenza, rispetto alla quale ( competenza) circolano definizioni che non le fanno sicuramente “ onore “.
Iniziamo col dire cosa non è isolatamente ( motivo di confusione):
– Sapere ( conoscenza)
– Saper fare ( abilità: utilizzare le conoscenze);
ma un costrutto complesso e situato ( ambiente fisico, umano e sociale) emergente dalla relazione dinamica tra Sapere, Saper fare e Saper essere che impegna la persona in quanto sistema integrato di corpomentespirito.
Il termine “Competenza” deriva dal verbo latino competere (da cum e petere: “chiedere, dirigersi a”) che significa: andare insieme, far convergere in un medesimo punto, ossia mirare ad un obiettivo comune, nonché finire insieme, incontrarsi, corrispondere, coincidere e gareggiare.
M. Pellerey, definisce la competenza come “capacità di far fronte ad un compito, o a uninsieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse interne, cognitive, affettive e volitive, e a utilizzare quelle esterne disponibili in modo coerente e fecondo”.
Le Boterf evidenzia tre dimensioni connesse all’ esercizio di una competenza: il saper agire, intesa come capacità di mobilitare il proprio sapere in risposta ad un certo compito, il voler agire, intesa come disponibilità ad investire al meglio le proprie risorse nell’ affrontare il compito, il poter agire, intesa come utilizzo efficace delle risorse in relazione ai vincoli che il contesto operativo inevitabilmente pone. Il passaggio verso compiti di apprendimento che implicano l’esercizio di una competenza si può riconoscere nella transizione da compiti chiusi, caratterizzati dalla riproduzione di determinati apprendimenti e dalla semplicità della situazione problematica posta, a compiti aperti, caratterizzati dalla rielaborazione del proprio sapere e dalla complessità delle situazioni proposte.
Il concetto di competenza fa il suo ingresso ufficiale nel panorama culturale e normativo della scuola italiana grazie al “Documento dei Saggi” del 1997, che affronta il tema dei “saperi essenziali” introducendo una visione di cultura più dinamica e complessa, in cui le tre dimensioni del sapere, saper fare e saper essere contribuiscono alla formazione di menti più flessibili e adeguate a una società plurale, precaria, liquida.
Infine, essa non è valutabile in termini binari ( c’è/non c’è) , ma espressione qualitativa( Esperta, Elevata, Adeguata, Iniziale), rispetto alla quale il docente, a seconda del livello di complessità, adotta un pertinente ruolo di mediazione didattica: Critico, Mentore, Tutor, Guida.
BIO: RAFFAELE DI PASQUALE
2 risposte
complimenti… illuminante… grazie !
Grazie a te