“COSTRUZIONE DAL BASSO”: PER TUTTI O PER POCHI?

Si può ambire ad un’espressione di gioco corale prescindendo dal valore dei singoli calciatori? Ambizione è una parola pericolosa; spesso si tende nella vita a fare scelte irruente o sbagliate dal principio per desiderio di strafare, non avendo sufficientemente misurato le nostre capacità con l’obbiettivo che ci poniamo di fronte.

Relativizzata al contesto sportivo, però, l’ambizione perde ogni sua accezione negativa, divenendo l’elemento cardine che fonda ogni disciplina. In quest’ottica è resa ininfluente la falsa dicotomia tra ”giochismo” e ”risultatismo”: senza l’ambizione di vincere verrebbe meno il concetto stesso di agonismo e competizione, ma quella stessa ambizione è il carburante che alimenta gli sforzi quotidiani e la volontà di miglioramento, senza i quali ogni vittoria risulterebbe vuota; impossibile quindi dirsi totalmente ”giochisti” o totalmente ”risultatisti” poichè il risultato o il gioco fini a sè stessi non significano nulla.

Lo spirito stesso del gioco prevede che l’impegno da parte del partecipante sia totalizzante, prova ne sia che concentrarsi su attività secondarie mentre si sta giocando a qualsiasi cosa sia del tutto impossibile, mentre l’assoluto coinvolgimento che l’agonismo prevede è ciò che lo rende intrattenente sia per chi lo pratica sia per chi ne è spettatore.

La tensione verso un miglioramento costante mal si concilia quindi con l’avversione al rischio, proprio perchè l’ambizione, in un ottica probabilistica, è la volontà di massimizzare le nostre chance di vittoria esplorando il maggior numero di soluzioni possibili, riuscendo magari a concretizzare eventi scarsamente pronosticabili.

Tenendo presenti questi concetti è possibile tornare ora alla domanda di partenza: La ricerca di un gioco piu` ”avanzato” a livello di concetti non può e non deve essere inficiata dai valori di partenza, per quanto scarsi essi siano. Una recente vulgata, più in linea con un approccio conservativo, starebbe invece additando tecnici di squadre non di prima fascia come propugnatori di idee fallaci e non consone alle loro posizioni di classifica.

L’oggetto della disputa è sempre lo stesso: La costruzione dal basso, descritta come troppo rischiosa ed inefficace e chi l’adotta come un ”talebano” o vittima di una inconsistente moda passeggera, mentre un ap- proccio vincente, soprattutto per squadre poco attrezzate, sarebbe quello di mantenere un baricentro basso e conseguenti ripartenze in verticale. Quante volte avete sentito espressioni come: ”a furia di passaggetti si va in serie b”; ”Non ci si salva con il bel gioco” e la sempre più assidua ”Guardiola ha rovinato tutti gli allenatori che volevano imitarlo senza avere i suoi calciatori”.

Proprio quest’ultima affermazione è bene prendere in esame: Se l’approccio di Guardiola è considerato il più efficace non dovrebbe essere condiviso indipendentemente dal valore dei singoli? Certo, se Pep non avesse avuto la fortuna di lavorare fin da subito con calciatori di livello eccelso probabilmente il suo palmares conterebbe qualche coppa di meno, ma non è forse vero che la sua costante ambizione di miglioramento e la ricerca di nuove variabili abbia spalancato a quegli stessi calciatori degli orizzonti forse neppure pensabili, fatta salva un’ottima base di partenza? Togliendo Messi, che quasi mai fa testo se si parla di esseri umani, gli altri ”figli minori” di Guardiola hanno tutti beneficiato di un lavoro che ne valorizzasse le caratteristiche, educandoli prima di tutto alla scelta ragionata e alla comprensione del gioco, senza che nessuno ne risentisse a livello individuale; anzi, i vari De Bruyne, Robben, Dani Alves, Sterling, Aguero, Lewandowski, Alaba, Neuer ecc… sono interpreti che non solo non hanno visto calare le loro prestazioni sotto la guida del tecnico catalano, ma in molti casi il loro apice è coinciso con gli anni di Guardiola in panchina e molti di essi siamo inclini ad inserirli nel novero dei fenomeni proprio grazie a quel lavoro che è stato svolto su di loro e sul contesto intorno.

Gli stessi Xavi e Iniesta contavano rispettivamente tra le 200 e le 150 presenze nel Barcellona prima dell’arrivo di Pep, ma nessuno dei due aveva fino a quel momento nemmeno sfiorato i picchi prestativi poi raggiunti. Dunque del diffuso senso comune secondo cui il basso livello debba pregiudicare un gioco più elaborato è vero il contrario: Proprio perchè non ho a disposizione del materiale umano di prima classe dovrei ambire a trasferire alla squadra quelle nozioni che aumentino la conoscenza generale del gioco, cosicchè gli ”scarsi” si elevino a gregari, i talenti in dei campioni e i giocatori di classe in dei fenomeni .

Per quanto riguarda la costruzione dal basso, che si voglia ostracizzarla o santificarla, essa rappresenta soltanto uno delle mille variabili inseribili in un contesto tattico, ma è la più essenziale per quanto riguarda l’insegnamento della propensione al rischio e l’educazione alla scelta da parte di ciascuno degli interpreti.

Cade qui anche la contrapposizione spuria tra calcio verticale e gioco di possesso: Anche il gioco lungo è di per sè una costruzione, quella che tipicamente permette di arrivare prima al gol, ma anche la più facile da arginare.

Quando un giocatore non vede o deliberatamente decide di non servire un compagno lanciato in verticale si è tutti concordi nel definire la scelta un errore, perchè invece non si ritiene tale un lancio lungo quando invece si sarebbe dovuto costruire la manovra? Uno degli esempi più immediati di ”calcio verticale” viene dallo stesso Barcellona, quello di Luis Henrique stavolta, una squadra che, dati i suoi innumerevoli fulcri di gioco riusciva spesso a creare ,attirando la pressione sui lati con un movimento ”ad ante” dei giocatori, un corridoio centrale che permetteva al portiere di servire comodamente l’attaccante con un passaggio rasoterra.

Gli azulgrana riuscirono a permettersi questa semplificazione del gioco grazie alla consapevolezza, loro e degli avversari, di potersi rendere pericolosi in mille altre maniere. Partire prevenuti e restringere il proprio ventaglio di possibilità non solo è controproducente ma suona anche molto come volere ”minima spesa e massima resa”, non esattamente lo spirito più ambizioso e vincente che vi sia.

Traendo un paragone dal mondo dei motori una guida alla Senna, sempre alla ricerca del massimo della velocità possibile, si addice molto di più ad un pilota che deve massimizzare l’obbiettivo che non una guida alla Prost, centellinata al punto giusto, più adatta a chi deve gestire posizioni di vantaggio. Meno potente è il mio motore e più mi è richiesta una guida eclettica, aggressiva e pronta ad ogni evenienza. Applicando l’esempio al mondo del calcio, scartare delle ipotesi come la costruzione dal basso o il pressing alto è un lusso che non ci si può permettere tanto più si è svantaggiati, oltre che dimostrare una scarsa concezione di cosa sia ”mentalità vincente”.

2 risposte

  1. Condivido parola per parola e l’esempio delle ultime righe è calzante di come le differenze individuali stabiliscano anche le strade da seguire, altrimenti faremmo e diremmo tutti le stesse cose!!!!! la contrapposizione di cui sopra fa comodo a giornali, radio e tv, altrimenti di cosa dovrebbero parlare coloro che stanno seduti???!!! o meglio, molti ex giocatori saprebbero cosa dire, ma non farebbero ascolti o non avrebbe presa sull’ascoltatore, che è colui che paga il servizio e quindi anche gli stipendi di chi esprime concetti in tv, radio e giornali………..io ho sempre pensato che si chiami gioco del calcio, perchè essenzialmente ci si dovrebbe divertire a fare quello che si fa, io non credo che si provi piacere a stare “volutamente” 90 minuti o 80 minuti in area di rigore a difendere e stare sotto pressione o isolati in avanti ad aspettare un pallone da difendere per far salire la squadra, ma sia più motivante muoversi in modo organizzato all’interno del gioco anche cambiando le posizioni e i compiti di gioco, ovviamente questo richiede tempo, abilità, errori, sconfitte, critiche, frustrazioni……….poi effettivamente ci sono anche giocatori ed allenatori che si esaltano a soffrire per 90 minuti a difendere la propria porta e hanno anche vinto trofei, ma come per Senna e Prost, poi devi anche capire chi hai di fronte e cosa puoi o non puoi chiedergli………….nel libro Herr Pep, dove si parla dell’esperienza di Guardiola al Bayern Monaco, Robben, Ribery, giocatori poliedrici, fuoriclasse, dissero che si divertirono a imparare cose nuove e che dopo anni a fare sempre le stesse cose, fu motivante essere allenati in quel modo e impararono cose nuove in quell’anno ricco di difficoltà e sconfitte, al di là delle vittorie e quello precedente a Guardiola era il Bayern del triplete………un saluto

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