Il linguaggio gioca un ruolo centrale nella rappresentazione delle atlete e del calcio femminile: non serve solo a descrivere la performance di cui si sta narrando ma il discorso è un processo attraverso cui il potere e le egemonie vengono prodotte e riprodotte.
Le categorie sociali non sono fisse ma costruite, mantenute e negoziate nel modo in cui le persone ne parlano e scrivono. Le pratiche discorsive possono però rinforzare sistematicamente le credenze attorno alla superiorità maschile in campo sportivo e creare una resistenza contro l’inclusione femminile.
Analizzando come oggetti, affermazioni e modi di pensare vengono prodotti e acquistano significato nel discorso possiamo dunque arrivare ad una comprensione delle differenze di status tra i generi all’interno dei paradigmi dei media sportivi.
Proviamo ad esempio ad aprire l’app di DAZN e vedremo che tra i possibili sport che possiamo vedere ci sono il “calcio” e il “calcio femminile”. Da un punto di vista puramente linguistico, il termine “calcio” è la categoria inclusiva mentre “calcio maschile” e “calcio femminile” sono le categorie incluse, due specifiche del termine generale. Tuttavia nel parlato cade completamente questa logica: c’è una perfetta sovrapposizione di “calcio” e “calcio maschile” che si contrappone al “calcio femminile” escludendolo dal discorso generale.
Così facendo il gioco maschile diventa primario nella rappresentazione della realtà e reifica l’asimmetria di potere fra i due generi perché rappresenta la vox media e allo stesso tempo qualcosa di superiore (maggiore forza, maggiore agonismo, maggiore intrattenimento); al contrario, quando il femminile viene costruito in opposizione al maschile viene visto come qualcosa di specifico, di connotato di genere.
Spesso inoltre la nostra lingua non prevede nemmeno l’esistenza di forme espressive femminili sottolineando ancora una volta come questo sport sia sempre stato rivolto e formalizzato per un target maschile. Io stessa sul campo da gioco per avvisare la mia compagna dell’arrivo di un’avversaria sono solita urlarle “uomo!”. Un dettaglio, ma pur sempre uno spunto di riflessione che cela pratiche e concezioni precise.
Allo stesso modo durante i mondiali di Francia del 2019, le telecroniste hanno posto l’accento su tale questione interrogandosi sul tipo di termini da utilizzare per riferirsi alle giocatrici. “Portiera”? “Difensora”? Sono solo due dei termini che non sono stati mai pienamente accettati perché ritenuti “cacofonici” o perché stravolgere il linguaggio sembra una forzatura.
Eppure nominare in modo corretto è fondamentale: Bauman, celebre sociologo e filosofo contemporaneo, sostiene che dare il nome a qualcosa descrive un vero e proprio processo culturale e intellettuale di importanza assolutamente primaria perché nel nome si cela l’aspetto ontologico. Mediante le parole si definisce, si conosce e si riconosce, si sceglie e si educa. È proprio grazie a questi i termini “cacofonici” che si legittima l’esistenza delle calciatrici.

BIO: Laura Zucchetti
Gen Z di nascita ma vintage nei modi, parlerei per ore di sport e questioni di genere. Vivo il calcio femminile da tifosa ma con lo sguardo da psicologa sociale per riflettere sulle sue contraddizioni e opportunità figlie della realtà nella quale siamo immersi.
2 risposte
Gran bell’articolo Laura, complimenti! Quello che analizzi lo condivido in pieno. Troppo spesso nella figura femminile si identifica la “donna” nella specificità del mero essere umano destinato all’amore con la sua naturale maternità. Ma la storia, specie nell’ultimo secolo ci dimostra il contrario. Non più tardi di una settimana fa nel fare la revisione alla mia auto ho scoperto che l’operazione è stata effettuata da una giovane donna. Il mondo cambia ed è giusto accettarne i mutamenti.
E di pare passo va il nostro linguaggio con tante terminologie nuove e molto spesso, va così tanto di moda, di derivazione anglosassone. Io personalmente prediligo invece l’evoluzione della nostra bella lingua con le sue infinite sfaccettature ed un grande scrittore di sport di alcuni decenni fa, e vedo che la cosa ti piace parecchio, ne è stato con numerose sostantivazioni onomaturgiche, un innovativo e splendido rappresentante: parlo di Gianni Brera!
Un caro saluto e buona fortuna!
Massimo 48
L’attuale comunicazione è ancora piena di pregiudizi. Ci vuole cultura