Le discussioni sul calciomercato sono un po’ come le notti d’estate: infinite, appassionate e piene di illusioni. E così, nei lunghi scambi di messaggi scritti e vocali su WhatsApp, mi sono ritrovato a dibattere con i miei amici sul mercato di riparazione del Milan. La sentenza altrui, sorprendentemente unanime, era chiara: ottime scelte della società, applausi a scena aperta. Io? Voce fuori dal coro.
Perché, vedete, siamo abituati a un’equazione che ormai è scolpita nella narrazione mediatica: tanti acquisti = mercato di livello. L’idea che una squadra “scatenata sul mercato” abbia automaticamente costruito qualcosa di solido è una delle più grandi bugie del calcio moderno. Per me, il valore di una campagna acquisti non si misura dal numero di titoli sui giornali, ma dalla coerenza della strategia e dal contesto. E spesso, controcorrente, ci sono andato volentieri.
Estate 2020. Dopo un brillante 0-0 in Coppa Italia contro la Juventus e qualche partita di campionato, lanciai un pronostico che all’epoca sembrava follia: “Questo Milan ha cambiato marcia e presto vincerà uno scudetto con Pioli”. Detto, fatto. Il Milan che sembrava destinato a vivacchiare era diventato campione d’Italia.
All’inizio di questa stagione è arrivato Paulo Fonseca, mi spettavo di più dalla sua gestione, certo, ma la sua parabola è stata più una questione di contesto che di capacità. Forse, se fosse rimasto, quella maledetta notte di Zagabria avrebbe avuto un finale diverso. Forse il Milan non sarebbe finito nella roulette dei play-off e magari la storia avrebbe preso un’altra piega. Ma il calcio è complesso. E il mercato, a volte, è solo un’illusione ottica. Per allenatori come Allegri e Sérgio Conceição il calcio è semplice. Al contrario, io sposo la linea di pensiero opposta, condivisa da questo blog, come emerge inequivocabilmente dal titolo: l’arte pedatoria è intrisa di complessità.
Quando mi abbandono a dissertare di contesto situazionale e contingenze, vengo guardato con la diffidenza che si riserva agli alieni o ai ciarlatani. Eppure, non sono il solo a perorare la causa dell’analisi sopra l’istinto: lo stesso Filippo Galli, con il suo senno da uomo di campo, è stato derubricato a velleitario pensatore di un gioco che, per troppi, si riduce a numeretti e figurine. Ma io mi ribello! Il riduzionismo è il rifugio di chi non sa argomentare. E se è dannoso nella vita, nel calcio diventa una sentenza di mediocrità.
Negli anni dell’ubriacatura da nomi, mentre si agitavano le mani per accogliere il campione di turno, sfuggiva il nocciolo della questione: dove sta la squadra? Dov’è il gruppo, la coesione, la cementificazione di un’idea? Nulla. Solo effimere illusioni. Il dopo-2007 è stato amministrato con la leggerezza di chi scivola su una buccia di banana e ride della propria goffaggine. Il dopo-scudetto? Un disegno confuso, un esperimento maldestro in cui si è persa la rotta mentre il pubblico si nutriva di speranze ormai sfilacciate.
Il tempo, si sa, è galantuomo e ora presenta il conto. Bennacer, l’uomo-faro, si è ritrovato spezzato dagli infortuni, e senza di lui il Milan ha perso il suo “cervello”, vagando in un limbo di soluzioni raffazzonate. Tonali? Pilastro in terra inglese, si gioca la Champions con il Newcastle, mostrando l’essenza di un calciatore che non era solo corsa, ma sostanza. E Brahim Diaz? Uno che al Real Madrid non fa tappezzeria, ma entra nelle rotazioni di Ancelotti con la spavalderia di chi sa stare nel calcio che conta.
A centrocampo l’unico vero acquisto di valore assoluto è stato Reijnders, l’olandese volante, un faro nel buio del mercato, già colonna dell’AZ Alkmaar e compagno di crescita di un Kerkez che, manco a dirlo, oggi si fa sentire in Premier. Non che gli altri siano calciatori modesti, ma non è stato creato quel reparto nevralgico competitivo che merita una squadra dello status del Milan. Gennaio è il mese delle correzioni, delle toppe cucite in fretta e furia sul manto lacerato del mercato estivo. È la cosiddetta “campagna di riparazione”, che, nel caso del Milan, ha portato in dote alcuni nomi dal blasone internazionale: João Félix, Walker e Gimenez. Più cerotti che innesti strutturali, però, perché il peccato originale resta: d’estate si è cincischiato, e ora si paga pegno.
Nel valzer degli arrivi e delle partenze, l’epilogo più mesto è quello di Morata, andato a svernare in Turchia con lo sguardo di chi ha capito troppo tardi che certe storie sono scritte con l’inchiostro simpatico. Campione d’Europa da titolare con la Spagna, ha vagato per Milanello come un pellegrino senza meta, sino alla logica separazione. Abraham, dal canto suo, ha promesso fuoco ma portato cenere: il pallottoliere dei gol non si è mai impolverato troppo, ma non solo per colpa sua. Pulisic? Ottimo fante, professionista esemplare, calciatore dotato di una classe decisamente sopra la media, ma non condottiero. L’americano corre, inventa, porta acqua alla squadra, ma quando la temperatura sale, il ghiaccio si scioglie, naturalmente per motivi che esulano in gran parte dal giocatore. Lo statunitense avrebbe potuto essere lo scudiero ideale del fuoriclasse, se solo in rosa ci fosse un fuoriclasse.
E qui veniamo al grande enigma rossonero, quello che grava sulle spalle di Rafael Leão, già imperatore dello scudetto e oggi monarca senza scettro. I numeri dicono che sforna assist a profusione, ma la sensazione è che il suo apogeo sia già alle spalle. Un sole che ha smesso di splendere con l’intensità di un tempo, avviandosi su una traiettoria malinconica. Stessa sorte per Theo Hernández, uomo-ciclone in grado di squassare le partite e ora più noto per le sue scorribande fuori tempo che per le sue cavalcate vincenti.
E allora, sorge il dubbio: perché non si è avuta la fermezza di risolvere i loro casi? Se il rapporto con Fonseca era deteriorato, se l’aria di Milanello era diventata tossica per i due, perché si è rimandata una soluzione? Per Theo, ad esempio, esisteva un’alternativa logica in casa: il giovane Jimenez, che aspetta di spiccare il volo. Che Como non fosse piazza gradita, ci sta, ma perché non cercare una cessione più vantaggiosa? Con diverse decine di milioni cash, il Milan avrebbe potuto puntellare i reparti che davvero necessitavano di rinforzi.
Invece a gennaio non è arrivato né un centrale né un centrocampista titolare. E come se non bastasse, si è scelto di infarcire ulteriormente il reparto avanzato con João Félix, talento indiscutibile ma calciatore che ancora oggi, all’ombra dei 26 anni, sembra una promessa non mantenuta, uno che gioca a calcio come un poeta svagato: belle intuizioni, sprazzi di genio, ma poca sostanza e ancor meno continuità.
Il calcio, però, non vive di nomi, né di suggestioni da album Panini. Conta il gruppo, conta il contesto. E al Milan, oggi, manca l’ossatura per reggere il peso delle proprie ambizioni. E non mi riferisco semplicemente al campo, ma alla gestione dei casi e agli interventi da “pompiere”, per i quali la dirigenza ha colpevolmente latitato.
Nel suo nuovo ruolo di dirigente, Ibra sembra voler plasmare il Milan a sua immagine e somiglianza, non limitandosi a essere un consulente di prestigio, ma cercando piuttosto di imporsi come figura cardine e imprescindibile. Il suo atteggiamento, spesso carico di sicurezza granitica e toni perentori, suggerisce più la volontà di affermarsi come uomo forte del club, che non quella di operare nell’ombra per il bene collettivo. La sua narrazione personale, da sempre in bilico tra leggenda e autocostruzione, ora si riflette nella sua modalità di gestione delle dinamiche interne: un misto di carisma e imposizione, di fascino e rigidità. Il suo protagonismo sta emergendo come un elemento divisivo, un racconto in cui lo Zlatan dirigente finisce per non fare il bene del Milan.
La storia è maestra severa: chi si ferma ai nomi, ai lustrini, ai colpi di teatro, è destinato a rimanere con un pugno di mosche. Il calcio, quello vero, è altro. E chi lo sa, oggi sorride amaramente, sapendo che aveva visto giusto.

BIO: VINCENZO DI MASO
Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.
Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia.
Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.
Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.
Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.
2 risposte
Articolo veritiero ed armonioso, va giù tutto di un sorso, Chapeau Vincenzo! Sono concorde in tutta la tua analisi a partire dal mercato sino ad arrivare al ruolo
“pro tempore” del falsonueve dirigenziale e pseudoconsulente Zatlan Ibrahimovic. Non si è mai saputo con precisione, e questo in vero già da alcuni anni, quale sia il primo responsabile nella scelta degli uomini da porre nella rosa rossonera. Fatto sta che troppo spesso le debacle cui è incorso il Diavolo vengono attribuite ad una serie di concause, infortuni, squalifiche, precari stati di forma dei singoli lasciando la reale parte negativa al libero commento dei tabloid
sportivi. Ma del senno di poi, recita un detto logoro per l’uso, ne son piene le fosse, ahimè, di Milanello! Scelte di calciatori belli sull’album ma con l’adesivo che non si appiccica al campo! Scelte di doppioni nello stesso ruolo ma visibilmente scarsi (per la massima serie)! Meticolosita’ assoluta nell’osservare il bilancio di cassa e quindi andare al risparmio negli ingaggi, si veda la scelta del coach non di prima fascia (Conte) a beneficio di un doppio e recente cambio attuale con il rischio concreto che si debba poi finire con la scelta di. un terzo! La dipartita di Olivier Giroud è stata rimpiazzata con un puzzle di semimatador: Morata, Abraham, Jovic, Camarda, e recentemente Gimenez. Ma la sommatoria di questi ingaggi avrebbe superato la cifra richiesta per un bomber come il Calcio comanda?
In buona sostanza chi si occupa di reclutare uomini da inserire nel Milan non dovrebbe, a mio avviso, girare per l’Europa come fosse uno Chef con la guida Michelin tra le mani, bensì dovrebbe frequentare le tante osterie nei territori limitrofi a quei rinomati ristoranti. Scoprirebbe che si mangia meglio spendendo meno… e magari avremmo un paio di manciate di punti in più in classifica!
Buona giornata.
Massimo 48
C’è poco da aggiungere ad un articolo ben fatto… La gestione Milan è questa e ormai dobbiamo prenderne atto. Fino a quando ci sarà la co-gestione RedBird Eliott, non credo cambieranno le cose. A meno di profondi ripensamenti da parte delle proprietà; che ,per virare da un disastro annunciato in Agosto, dovrebbero assumere un VERO DS, dargli soldi e libertà di manovra per muoversi nel mercato e costruire una squadra che si chiami squadra… Fra l’altro la squadra c’era, aveva vinto una scudetto, era arrivata in semifinale di champions ; c’erano persone che avevano costruito un gruppo che funzionava e poteva essere migliorato; ed hanno sfasciato tutto….. Nel frattempo teniamoci questi incubi serali/notturni. Con tanto di interviste post partita e conferenze stampa nelle quali si vagheggia di una fine campionato ( Coppa Italia e 4° posto in campionato ) che MOLTO MOLTO difficilmente si realizzerà…..