Sono giornate particolari a Milanello e non tanto per l’impatto con un clima meno rigido di altri inverni. Quello che desta pensieri e preoccupazioni ai tanti tifosi che seguono le vicende della loro squadra del cuore, è l’aspetto che sovrasta il finora deludente risultato del campo.
In qualche precedente occasione ho fatto riferimento alle “cose intangibili” di maldiniana memoria, quelle cose“che fanno le fortune dei club. E le cose non tangibili, difficilmente si possono spiegare in un foglio Excel, sono fuori dalla portata o dalla possibilità di controllo” di qualcuno.
Con i calciatori con cui lavoro, sensibilizzo l’attenzione sulle situazioni che essi hanno la facoltà di condizionare o di influenzare, consapevoli dell’idea di fare del proprio meglio per mettere in difficoltà il Mister o il Direttore di turno. Ma l’impegno sul condizionare le scelte altrui, ha per definizione il limite riguardante il controllo sulle decisioni rivenienti dall’esterno: a scrivere chi va in campo è l’allenatore, a fare la squadra è il direttore, a decidere il mercato è la società. Il calciatore per ottenere qualcosa deve prima centrarsi su quello che fa, su come si allena e su come si comporta. E prima ancora sull’identità di atleta e di uomo, a partire dalle proprie capacità e dai punti di forza, guardando alle aree di miglioramento, proseguendo sui propri valori e sulla propria missione. Già, la missione…
Ricordate la prima volta in cui questa parola era stata “scomodata” in ambito rossonero? Era il 1986, buona parte di chi legge adesso nemmeno era nata. Eppure, a distanza di decenni, quelle parole così rassicuranti e visionarie risuonano ancora e lo fanno attraverso video YouTube o reels nostalgici, in cui il Padre del grande Milan affermava nello stupore generale che la Sua finalità sarebbe stata quella di far salire “il Milan sul tetto del mondo, essendo padrone del campo e comandando il giuoco”.
Ai giorni nostri, passati quindi – lo ribadisco – quasi quarant’anni, molti tifosi vedono in quelle parole così coinvolgenti la bellezza e la centralità della “questione identitaria” che nelle sue diverse sfaccettature parte dal comune concetto di preservarla nella cattiva sorte e di “indossarla” nella buona. Non solo: l’essenza della priorità del percorso, rispetto alla performance, si muove da un’idea di gioco propositivo capace di valorizzare le caratteristiche degli uomini in campo, nella condivisione di un progetto societario di medio–lungo periodo, inossidabile rispetto agli agenti atmosferici rappresentati da detrattori e scettici, resiliente circa le difficoltà, accompagnato dalla visione tecnica di una guida sapiente e sensibile, attorniato infine da un tifo presente e caloroso. In questo schema tutte le parti ricevono coinvolgimento, prima di ogni altro risvolto successivo basato su numeri e algoritmi.
In questo blog si sono evidenziate anche di recente le conseguenze delle interazioni fra le parti, spesso imprevedibili e non riconducibili a schemi prefissati o predefiniti, proprio perché anche la complessità identitaria non si gestisce con regole fisse ma richiede lungimiranza e fiducia, attraverso gli ingredienti della flessibilità e della capacità di adattamento alle situazioni esterne.
Non è un caso che il “collante” identitario stia rallentando non poco anche un progetto interessante come quello della squadra B, che pure non dovrebbe mettere al centro l’idea del risultato ma rappresenterebbe la piattaforma propedeutica al lancio di prospetti divenuti pronti per la prima squadra. Le logiche esasperate ed esasperanti invece hanno minato quest’ultimo lodevole progetto che va preservato ancora di più se la rigidità del clima (e questa volta non parlo più a livello atmosferico) impone un’attenzione maggiore al rimanere uniti. Il posizionamento della missione in maniera prioritaria rispetto ad ogni altra dinamica, compresa ovviamente quella immediatamente economica, impone una domanda “scomoda” su cui riflettere. In effetti, prima di ogni dettaglio di campo, ci si deve chiedere come l’identità del Milan sia stata costruita e modellata rispetto alla stagione in corso, considerando che si debba comunque provare a rimediare agli errori che sono stati commessi nel cammino. Dopo tutto non ci insegnano fin da tenera età che è grazie agli errori che si cresce e si deve ripartire?

Bio: Francesco Borrelli è un Mental Coach certificato Acsi – CONI. Oltre alla Laurea in legge presso l’Università degli Studi di Genova, si è formato in PNL attraverso corsi e Master conseguiti nell’ambito di aziende private di cui ha fatto parte. Negli anni ha coltivato la sua passione per lo sport scrivendo per testate giornalistiche liguri, oltre a svolgere il proprio lavoro di consulente d’azienda in ambito bancario. L’attività di Mental Coach lo porta da diverse stagioni ad accompagnare sportivi impegnati a preparare Olimpiadi e Mondiali, oltre a calciatori di tutte le età, agevolandone i rispettivi percorsi e seguendone tutta la trafila giovanile fino all’approdo in prima squadra. Il suo sogno è continuare ad aiutare i giovani calciatori, anche rossoneri, dal suo ufficio a Milanello, di fianco alla “palestra delle leggende” Contacts: fraborrelli40@gmail.com / IG. fraborre24_ / https://www.facebook.com/healthybrainnutrition / 0039 328 621259
2 risposte
Nel calcio le stagioni negative possono sempre capitare. Quando tutto sempre andare storto. Un concentrato di errori e sfortuna. In questi casi serve dare serenità al gruppo e riscoprire la propria identità. Tuttavia nel Milan attuale, data la società attuale, questo non è possibile. Da quando è arrivato Cardinale si è fatto di tutto per dare discontinuità, come a voler cambiare pelle. Via Maldini, che aveva rifondato il Milan, via Massara, tra i migliori nel suo ruolo, via Tonali, cuore rossonero, via Pioli, via Isma, Calabria. E chi è rimasto? A turno sembrano essere tutti i colpevoli di questa stagione. A turno sono tutti in vendita. Per Theo si è cercata addirittura una cessione al
Como, Leao sempre additato come un colpevole, Tomori hanno provato a venderlo a chiunque, Pavlovic pure, Emerson è rimasto solo per l infortunio. Conceiçao ha un contratto di 6 mesi e già oggi leggo di un interesse per Fabregas. Per chiudere accenno solo velocemente alla indecente vicenda che ha riguardato Luca Serafini. In questo clima di epurazione chi potrebbe ridare il senso di identità al Gruppo? Chi potrebbe avere gli stimoli giusti per ripartire ?
Giuseppe, hai detto tutto. Rispondo alle tue domande citando nuovamente la parola: complessità
Laddove si sottovaluta, o comunque si subordinano le componenti analogiche all’ “algoritmo” il rischio reale è che il valore aggiunto dato da un’identità chiara, diventi zavorra per il fatto di non averne proprio una…
Grazie per l’attenzione