Il Milan è a un bivio. Con le possibilità di riconferma di Sérgio Conceição sempre più remote, il club rossonero deve scegliere con attenzione il tecnico della prossima stagione. Tra i nomi che circolano, uno spicca per il lavoro svolto negli ultimi anni: Vincenzo Italiano.
Dopo aver fatto crescere la Fiorentina e aver dato una nuova identità al Bologna in pochi mesi, Italiano ha dimostrato di saper valorizzare il gioco offensivo e la costruzione dal basso, principi che ben si sposano con la filosofia milanista. Ma il suo legame con il Milan ha radici più profonde: nel 2021, alla guida dello Spezia, inflisse ai rossoneri una clamorosa sconfitta per 2-0 al Picco, mettendo in crisi la corsa scudetto di Pioli con una prestazione tatticamente perfetta.
Ora, con Conceição in difficoltà e il Milan alla ricerca di un’identità chiara per il futuro, la domanda è inevitabile: non sarebbe Italiano il profilo ideale per la panchina rossonera? Paradossalmente, il tecnico portoghese -sempre che arrivi fino in fondo – potrebbe congedarsi dal Milan con due trofei in bacheca. Dopo la Supercoppa, l’ex Porto ha ancora nel mirino la Coppa Italia. E in fondo, perché no? L’Inter, quest’anno, non ha mai battuto i rossoneri e, tra Champions e campionato, avrà un calendario da girone dantesco. Ma si sa, a certi livelli i trofei contano fino a un certo punto. Qui si giudica il percorso, non solo il traguardo. E la domanda resta: basterà per guadagnarsi la riconferma?
In caso contrario, sarà tempo di ripartire e pianificare un nuovo Milan. E allora, perché Vincenzo Italiano? Perché ai rossoneri serve un allenatore con idee chiare, uno che conosca la Serie A come le sue tasche, ma che al contempo sappia interpretare il calcio moderno con coraggio e visione. Un tecnico con esperienza nelle coppe, capace di plasmare squadre che giocano, osano, e si fanno rispettare.
Devo ammetterlo: inizialmente non ero un grande estimatore di Italiano. Le sue squadre, quando la condizione fisica latitava, incassavano qualche imbarcata di troppo, e questo mi lasciava perplesso. Ma poi, salvezza dopo salvezza con lo Spezia, ho dovuto rivedere il mio giudizio. Certo, i difetti c’erano, ma erano spesso figli di rose non all’altezza. Anche i centrali della Fiorentina non erano fenomeni, e non lo sono quelli del Bologna. Eppure, oggi, la difesa rossoblù ha incassato 32 reti: un numero non trascurabile, ma comprensibile se si pensa che i suoi interpreti non sono costati neanche lontanamente quanto quelli di Milano o Roma.
E in Europa? Qui sta il punto. Il Bologna ha subito appena 9 gol in Champions, senza però riuscire a qualificarsi ai play-off. Nona miglior difesa su trentasei squadre. Non male per un club alla prima vera esperienza nella competizione regina. Certo, l’attacco non ha brillato, ma più che di limiti strutturali si è trattato di inesperienza. Eppure, se parliamo di qualità del gioco, di identità, di coraggio, quella squadra avrebbe meritato di proseguire il cammino. Nessuno, e ripeto nessuno, ha messo in difficoltà il Liverpool nei primi 45 minuti ad Anfield come ha fatto il Bologna di Italiano. Una squadra che gioca così non può essere frutto del caso. È il segno di un’idea. Di un progetto. E, forse, proprio dell’allenatore che il Milan sta cercando.
Quello che mi ha colpito del gioco di Italiano è la sua sfrontatezza, che però non sfocia in incoscienza. Il presidio ferreo della metà campo avversaria in fase di transizione passiva è sigillo e blasone del gioco di Vincenzo Italiano. Indipendentemente dagli attori che il fato gli ha affidato, il tecnico di Karlsruhe non ha mai deflesso dal pressing uomo su uomo, marchio d’una fede calcistica incrollabile. Le sue squadre si dispongono in ordine serrato, alte sul campo come falchi in picchiata, pronte a ghermire il pallone alla prima esitazione nemica. L’avversario, appena sfiorato dalla sfera, si ritrova braccato da maglie affamate che comprimono lo spazio vitale, lo soffocano, lo costringono al respiro corto.
Un’istantanea dell’ultima sfida contro il Milan ne è epitome luminosa: sei giocatori felsinei serrano la fascia destra in un fazzoletto, precludendo ai rossoneri ogni sbocco, ogni alito di libertà. Non resta che un’unica, mesta via di fuga: arretrare, ricominciare da dietro, come un esercito in rotta dinanzi a un assedio implacabile.
Il Bologna di Italiano si affida meno al palleggio rispetto alla sua Fiorentina, ma conserva un tratto distintivo: la difesa alta, feroce nel mordere il campo, sorretta da una cura quasi ossessiva nella copertura degli spazi. I suoi giocatori leggono il gioco con tempismo, perché la squadra è un blocco unico, corta come una fisarmonica che si chiude e si apre a comando, con tutti che remano nella stessa direzione. Se a Firenze dominavano i palleggiatori, a Bologna regna la sostanza, inizialmente evanescente nel primo scorcio della gestione Italiano, ma consolidata col tempo come calcestruzzo colato.
L’efficacia offensiva è salita di livello: Ndoye e Castro hanno affinato i loro strumenti, mentre la rosa è stata coinvolta in modo più armonico. Contro il Milan, ad esempio, è stato Cambiaghi, ex Empoli, a far saltare il banco. L’arte del turnover, che Italiano governa con la perizia di un direttore d’orchestra, fa vibrare le corde giuste agli occhi dei dirigenti delle grandi squadre. Un pregio che gli ha sempre permesso di brillare nelle coppe, pur senza (ancora) sollevare trofei. Ora, in semifinale di Coppa Italia, l’Empoli gli offre un’occasione dorata per riaffacciarsi a un’altra finale.
A prescindere dagli uomini in campo, Vincenzo Italiano va all’assalto. Sempre. È un tecnico che non aspetta, non subisce, non si rassegna al copione scritto dagli avversari. Il suo calcio è fatto di pressione alta, coraggio e idee chiare. Non è un caso che il Bologna, sotto la sua guida, sia stata la squadra che più ha messo in difficoltà il Liverpool in questa stagione, almeno per un tempo. E allora, cosa aspettarsi da un suo Milan?
Innanzitutto, una squadra più compatta, aggressiva, capace di gestire le energie con intelligenza, tanto nel corso di una partita quanto nell’arco di un’intera stagione. Poi, un calcio bello da vedere, in cui i talenti vengono esaltati, ma senza mai dimenticare il sacrificio collettivo. Perché con Italiano nessuno può nascondersi: ogni giocatore deve sentirsi parte della battaglia. Uno svogliato, uno poco coinvolto, rischia di essere una zavorra per tutta la squadra. E il Milan, proprio contro il Bologna, lo ha sperimentato sulla propria pelle: il gol di Ndoye è nato da un attimo di distrazione, da uomini che hanno perso il riferimento, da dettagli che nel calcio di Italiano non possono essere concessi.
Lui, in panchina, è sempre dentro la partita. Chiede concentrazione, coesione, intensità assoluta. Le sue squadre prendono gol? Sì, ma quasi sempre per errori individuali, perché il suo è un calcio spregiudicato, uomo contro uomo, da guerrieri che marcano ogni centimetro di campo. Ecco perché sarebbe l’allenatore perfetto per riportare il Milan ai fasti di un tempo. Ma attenzione: servirà intervenire sul mercato, più per cedere che per comprare. Non bastano i pezzi da novanta, servono giocatori affamati, pronti a battersi per la maglia. Ben vengano i Pulisic, ma la controfigura di Theo Hernandez non avrebbe diritto di cittadinanza.

BIO: VINCENZO DI MASO
Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.
Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia.
Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.
Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.
Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.
2 risposte
L’allenatore del futuro milanista era lì… In casa. Bastava solo scegliere bene la guida per i 3-4 anni post Pioli… Davi il Milan futuro in mano ad Abate, lo facevi crescere come si deve e quando saliva in prima squadra arrivavano un sacco di giocatori di Milan futuro.. Milanista, persona di valori, allenatore capace (guardate cosa sta facendo con la Ternana)…
Mister Pioli (e la dirigenza del tempo) ci avevano ridato una dignità, un gioco, una identità e ha valorizzato giocatori importanti… Ma serve una dirigenza lungimirante e competente di calcio.
Io da tifoso che ha un livello allenatore da bar, avrei preso Sarri… E continuo a volerlo per giugno. Per De Zerbi non è il suo momento, serve altro adesso. Italiano allenatore un po limitato, troppi alti e bassi, la piazza grande urla forte e ho la convinzione che lui non sarebbe adatto… Poi vabbè, c’è il sogno, ma serve un progetto vero……. Jurgen……
interessante. spunti molto interessanti; da un lato convincono, dall’altro mi lasciano un interrogativo: Italiano come se la caverebbe con uno spogliatoio di ‘presunta nobile’ (per ora non lo siamo più) con giocatori di una certa aurea (supposta) e un ambiente decisamente ambizioso?