IGLI TARE: IL PROFILO GIUSTO PER IL MILAN

Il Milan è un pugile suonato, barcollante sulle corde dopo il colpo del Bologna, finito al tappeto con il montante della Lazio. La sconfitta è maturata al crepuscolo del match, beffa atroce dopo che il gol di Chukwueze aveva acceso un fuoco di speranza. Persino in dieci, i rossoneri hanno provato l’ultimo assalto, generoso quanto disperato, ma il fato aveva già scritto il verdetto.

Ora, il redde rationem incombe. Sono in tanti a rischiare il posto, mentre sulla scrivania della dirigenza si valutano i candidati al ruolo di nuovo DS. Un nome caldissimo è quello di Igli Tare, che attende libero sulla piazza. Il nostro Luca Serafini ha caldeggiato il nome del DS albanese e ha parlato di trattativa reale.

Già, proprio Igli Tare, l’albanese errante che calcò il prato del Rigamonti in un Brescia dai sapori mitologici, fianco a fianco con Filippo Galli, sotto lo sguardo ispirato di Roby Baggio, il genio taciturno. Accanto a lui, il giovane Pirlo, ancora intento a scolpire il suo calcio, e il vecchio bucaniere Dario Hübner, predatore d’area dall’istinto primordiale. In panchina, a dirigere l’orchestra, Carletto Mazzone, il burbero dal cuore d’oro, maestro di uomini prima ancora che di gioco.

Già, Tare. Uno che, appesi gli scarpini al chiodo, si è ritrovato subito una scrivania pronta ad accoglierlo. Non per caso, ma per destino. Perché un uomo così non può che essere direttore sportivo per vocazione. Sei lingue nel bagaglio, una memoria enciclopedica per i talenti nascosti nelle pieghe più remote del pallone, fiuto innato nel trovare il campione da rilanciare nel posto giusto e al momento giusto. Un mercante di sogni, un rabdomante del talento.

Il fiore all’occhiello delle sue sessioni di calciomercato sono stati i giovani. Con un budget non altissimo è riuscito a pescare De Vrij e Milinkovic-Savic, tra gli altri. Per non parlare di calciatori diventati veri e propri fari. Basti pensare a Luis Alberto o a Ciro Immobile. Immaginate Tare con a disposizione un budget ben più elevato rispetto a quello messogli a disposizione da Lotito nelle sue annate biancocelesti. Al Milan si alzerebbe l’asticella, naturalmente anche in termini di esigenze, ma il target sarebbe diverso. D’altronde è facile migliorare quando la squadra è reduce da una stagione decisamente al di sotto delle aspettative, al netto dei trofei conquistati.

I più astiosi tra i detrattori imputano a Igli Tare l’aver lasciato alla Lazio una collezione di esuberi, come relitti arenati dopo la tempesta. Eppure, si sa, senza il placet del patron non si muove foglia. Il DS albanese ha goduto dei pregi e subito i difetti di Claudio Lotito, presidente accentratore per vocazione, uomo dalla parola ultima e definitiva, come una sentenza senza appello.

Quando Tare si muoveva nell’ombra, tessendo trattative silenziose, scovando talenti a prezzo di saldo e affrontando con spalle larghe i tormenti dei rinnovi, Lotito lo lasciava fare, compiaciuto. Ma bastava uno scarto dal seminato, un colpo di testa fuori dal canovaccio presidenziale, ed ecco che l’imperatore biancoceleste calava la scure. Fratture, screzi, ricomposizioni forzate. Fino all’ultima crepa, quella insanabile, che ha portato all’inevitabile divorzio.

Come sembianze, il Milan di oggi è distante anni luce dalla Lazio che Tare ha amministrato con mano ferma. Qui il potere è più frammentato, l’organigramma societario somiglia a un palazzo nobiliare con troppi dignitari, e l’ombra ingombrante di Zlatan Ibrahimovic aleggia su ogni decisione. Ora, mettiamo in scena il duello: da una parte Tare, uomo di rigore e di schiena dritta, dall’altra Ibra, accentratore per vocazione e carisma. Chi comanda chi? La società ha il dovere di chiarirlo prima di aprire le danze per la prossima stagione. Se il dirigente albanese dovesse firmare a stretto giro, avrebbe voce in capitolo sulla scelta del nuovo tecnico — e questo è un punto tutt’altro che secondario.

Parliamo di un DS che il polso non l’ha mai perso. Un uomo d’altri tempi, da “patti chiari e amicizia lunga”, che non si lascia incantare dalle mezze misure. Theo Hernández? Lo prenderebbe di petto, senza giri di parole: “Ci garantisci di tornare quello di un tempo o troviamo subito una via d’uscita?” Semplice, diretto, senza retorica. Tare non transige, non media, non accetta atteggiamenti tiepidi: o sei sulla sua lunghezza d’onda, o diventi un problema. Ed è proprio per questo che l’ambiente avrebbe bisogno di una salutare bonifica.

Il suo compito non sarebbe quello di piazzare il colpo a effetto per accontentare i tifosi o strappare titoli sui giornali. Tare lavora per il gruppo, non per la gloria personale. Uomo concreto, di quelli che non si innamorano delle figurine ma scelgono solo chi serve al momento giusto. E se il Milan vuole ritrovare solidità, potrebbe proprio essere lui l’uomo giusto per completare l’opera di ristrutturazione.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

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