CHI LA DURA LA VINCE (MA C’È CHI LA CAMBIA)

Tra Don Fabio e Pep è solo questione di nomignoli.

Don Fabio, incarna l’archetipo del leader tradizionale: serietà granitica, rispetto ferreo per le gerarchie, estetica da “mascellone” autoritario che evoca ordine e controllo. La sua filosofia si basa su ruoli predefiniti, strutture aziendali e pragmatismo che anticipa i risultati. Parla il linguaggio delle istituzioni, dove ogni dettaglio è pianificato e nulla è lasciato al caso…o all’ideologia. 

Pep, è il “vecchio amico”: un creativo, quasi un soggetto stravagante ma carismatico, capace di guidare squadre piene di ragazzini geniali come se fossero una comunità orizzontale. Mescola tattica rivoluzionaria, un’aura da filosofo e un’ideologia autonomista catalana, quella che lo lega a un’identità regionale ribelle e orgogliosa. Per lui, il campo è un laboratorio, non una catena di montaggio. 

Capello è il direttore dei Berliner Philharmoniker, Guardiola è Paul Mc Cartney a 17 anni che suona nel quartiere a luci rosse di Amburgo con altri quattro scappati di casa. (Sì, erano cinque i Beatles, ma questa è un’altra storia..)

Quando Pep inizia a essere venerato e imitato globalmente—anche nei momenti in cui i suoi esperimenti falliscono—Don Fabio fatica a digerire il fenomeno. Come può un allenatore che sfida schemi, ruoli e persino l’idea stessa di “disciplina e tradizione” diventare un modello? Per Don Fabio, è incomprensibile che chi “non porta rispetto” possa essere seguito (addirittura perdendo!) soprattutto se il successo si basa su principi lontani dalla scuola classica. È qui scatta il risentimento: l’innovazione di Pep, unita alla sua popolarità da Beatles in tour negli States, sembra svuotare di senso decenni di approcci collaudati. 

Il punto non è dare ragione a uno dei due, ma osservare la radicalità dello scontro tra due mondi che possiamo vedere un po’ ovunque. Capello difende un sistema in cui l’autorità si esercita dall’alto, attraverso regole chiare. Guardiola costruisce consenso dal basso (se la capite perdonatemela…non ho resistito), trasformando lo spogliatoio in una fucina di idee. Il primo (autoritario) rappresenta un’epoca in cui il calcio era metafora di società verticali; il secondo (autorevole) incarna un presente liquido (molto caro al Presidente Trump…) dove creatività e identità collettiva come quella catalana diventano asset strategici e valore aggiunto.

La frizione, in fondo, nasce dalla paura che la tradizione perda non solo spazio, ma anche legittimità. Se un “sognatore” come Pep vince campionati e fa incetta di cuori senza seguire il copione, cosa resta del valore della serietà old-school? La risposta, forse, sta nell’accettare che il calcio—come la vita—non ha un manuale unico. Ma per chi, come Capello, ha costruito una carriera su quel manuale, è una verità che fa girare i maroni. E non c’è tattica che tenga. Detto questo, Don Fabio mi ha fatto provare gioie quasi inarrivabili ma una pizza la andrei a mangiare con lui, con Pep. E se é vera la risposta che ha dato a Don Fabio <<l’ho sempre detto che non sono così bravo..>> che dire, tanto di …

BIO: MARCO PIEPOLI

DChe lavoro fai?
R: Dipende:

Se sei il Ministero dell’Economia: “Dirigente, laureato in Statistica economica, specializzato in investimenti  e fogli Excel/Slide Power Point di livello.

Se sei mia zia Maria: “Scrivo di calcio perché una volta ho bevuto un caffè con Filippo Galli in albergo”. (Vero, ma fu solo un selfie. Lei pensa fossimo colleghi. Non correggo).

DPerché menti a zia Maria?
R: Perché dopo quell’incontro con Filippo Galli, le dissi: “Zia, ho scritto un articolo su Don Fabio!” (Vero, ma era anche una metafora. Ora, se le dico “lavoro al Ministero”, pensa che organizzo i campionati. Meglio farle credere che Bielsa sia un mio collega…shhhh

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