IL CASO GIAMPAOLO

FOTO COPERTINA DA “PianetaGenoa 1893”

Il maestro, il professore, fu osannato come tale da stampa e critici il giorno del suo ingaggio quale allenatore del Milan nel luglio 2019. I violini furono suonati persino da Adriano Galliani e Arrigo Sacchi per complimentarsi della scelta di Paolo Maldini: poiché si tratta di tre persone delle quali mi fido ciecamente, attesi con grande curiosità, convinto che sarebbe stata la grande chance per un allenatore per la verità senza un grande pedigree. 

Marco Giampaolo arrivò anzi a Milanello con un curriculum molto modesto: una promozione dalla B alla A con l’Ascoli, un sorprendente 10° posto in A con l’Empoli 10 anni dopo, 3 discrete stagioni alla Sampdoria con due decimi e un nono posto. Tutti incantati dal suo calcio giovane, propositivo, misto di scuole, culture e apprendimenti capillari. Uno studioso, più che un professore. Aveva già sul groppone, però, 5 esoneri in 13 stagioni più le dimissioni (condite da un mistero) a Brescia nel settembre 2013, solo 3 mesi dopo il suo ingaggio: le presenta al presidente Corioni che gli risponde di aspettare un giorno, ma Giampaolo stacca il telefono e sparisce senza che neanche il fratello e il suo avvocato spieghino dove si sia cacciato. La squadra è allenata dal suo vice e dal suo staff sino alla partita successiva, poi il tecnico riappare e parla di dignità calpestata (era stato costretto dalla Digos a incontrare gli ultras bresciani per spiegare i cattivi risultati). 

Oggi Marco Giampaolo detiene il non invidiabile record di esoneri in serie A (8) e arriva da 4 sconfitte consecutive a Lecce che inchiodano i salentini al quart’ultimo posto con il Parma, sole 3 lunghezze di vantaggio sull’Empoli terzultimo. Era subentrato a novembre a Gotti e in effetti un piccolo miglioramento da allora c’è stato, perché i giallorossi erano terzultimi. 

L’uomo che appare in pubblico è strano, ombroso, sempre un po’ sofferto nell’espressione, un filo trasandato in panchina, il sorriso a tilde anche quando vince, concetti ripetuti quasi ossessivamente quasi a dover convincere anche sé stesso. L’allenatore è un collezionista di fiaschi, però con una società, un presidente, sempre pronti a fargli firmare un contratto, chissà, forse nella speranza che il professore finalmente insegni e faccia crescere, promuovere gli alunni.

Non ho dubbi che le sue teorie di gioco e di allenamento siano valide: Galliani e Sacchi non parlano molto bene di qualcuno tanto per farlo (anche se l’altro maestro secondo Arrigo era Davide Ballardini, il quale a sua volta tra esoneri e dimissioni ha più o meno il ruolino di Giampaolo). Non capisco però quale possa essere l’affidabilità tra una teoria inespressa e una pratica fallimentare. 

Ho avuto un paio di insegnanti e professori, da studente, preparatissimi sulle loro materie, innovativi nei metodi, appassionati del loro mestiere, ma noiosi e logorroici nell’esposizione. Soprattutto incapaci di gestire gli adolescenti come tali. Davano l’apprendimento (e di conseguenza il rendimento) per scontati da parte di tutti gli alunni, che trattavano indistintamente alla stessa maniera: il secchione come il somaro, il diligente come lo sciatto. Nonostante la stima di preside e genitori, non funzionavano. Non ottenevano risultati. 

Tra la teoria e la pratica la differenza è abissale non soltanto per gli scolari chiamati a esporre quanto hanno studiato, ma anche e soprattutto per i maestri che hanno il compito di convincere, entusiasmare, farsi seguire. E farsi capire. 

BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.

2 risposte

  1. Ma infatti
    Aggiungerei però che nel mondo del calcio, sia calciatori che allenatori, sovente contano le amicizie e la buona pubblicità a discapito della meritocrazia

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