C’era una volta un ragazzo nato il primo giorno di primavera del 1980…
Nel 2006 la Germania ospitò la XVIII edizione dei Campionati del Mondo di calcio. Come sono andati, è noto a tutti: Italia campione per la quarta volta sconfiggendo in finale, dopo i calci di rigore, la Francia. L’ultimo calcio di rigore di Fabio Grosso ha portato nelle piazze di tutto il Paese milioni di tifosi a festeggiare con caroselli che sono duranti tutta notte, con il clou della festa al Circo Massimo, il 10 luglio, quando i 23 azzurri ed il CT Lippi sono stati festeggiati da oltre 700mila persone. Eppure l’Italia non era tra le favorite per la vittoria finale. O meglio, le quote che la davano vincitrice, prima dell’inizio del torneo, non erano altissime: favorita sì, ma non favoritissima.
Ma, come tante volte succede, a vincere i Mondiali non è la squadra più forte o quella più bella, ma la più concreta: leggasi Ungheria 1954, Olanda 1974, Brasile 1982, Italia 1990, squadre che partivano già tutte campioni del Mondo ma che poi non hanno alzato al cielo la Coppa Rimet o la Coppa del Mondo. E Germania 2006 non è stata da meno: la squadra più forte era il Brasile, che però si fermò nei quarti perdendo contro la Francia.
Perché quel Brasile era il favorito numero 1? Era campione del Mondo in carica, vincitore dell’ultima Confederations Cup ed era una squadra forte e completa in tutti i settori del campo: da Dida a Cafù, da Juninho Pernambucano a Lucio, da Fred a Gilberto Silva, da Emerson a Roberto Carlos. Ma il top era l’attacco: il Ct Carlos Alberto Parreira poteva contare sull’apporto di Ronaldo, Ronaldinho, Kakà, Adriano e Robinho. Eppure questa squadra uscì “solo” ai quarti di finale, schiantata da Henry e da uno Zidane in formato “mondiale”.
Quando si parla di Brasile ai Mondiali, tra i convocati si cerca sempre di scoprire che indosserà la maglia numero 10, il numero magico del calcio. Il numero del Brasiliano più forte. E subito si pensa a Pelé: se oggi il numero 10 è il numero del calcio per antonomasia lo si deve proprio a O Rei a partire dal Mondiale svedese del 1958.
Altri numero 10 brasiliani di grandissimo livello sono stati Rivelino, Zico, Raì e Rivaldo. E anche a Germania 2006, la maglia numero 10 andò sulle spalle del giocatore brasiliano allora più forte, nonché un’icona del joga bonito. Il numero 10 brasileiro in Germania era Ronaldo de Assis Moreira meglio noto come Ronaldinho.
Con Ronaldinho si sono toccate cime fantastiche di grande calcio. Anzi, futebol. E l’asso di Porto Alegre è anche transitato nella nostra Serie A nel periodo 2008-2011 militando nel Milan, con cui, nonostante fosse in fase discendente di carriera, fece nel complesso bene. Dopodiché salutò l’Europa e tornò in Brasile giocando con Flamengo, Atletico Mineiro e Fluminense, con una breve capatina in Messico con il Querétaro Fútbol Club di Santiago de Querétaro.
Oggi, 21 marzo 2025, Ronaldo de Assis Moreira compie 45 anni ed è ancora ricordato come uno dei calciatori più forti (ed iconici) di sempre. Un giocatore che ha fatto della velocità e della tecnica le sue armi migliori. Uno che ha preso il calcio con leggerezza e grazie alla leggerezza (e ai suoi scatti) ha scritto una grande pagina di calcio. Vediamo la sua storia.
Dal barrio di Vila Nova al Grêmio: Ronaldo de Assis Moreira “Gaucho” in rampa di lancio
Ronaldinho nasce a Porto Alegre, ultimo genito di Joao da Silva Moreira, un fattorino prima ed un metalmeccanico poi, e Miguelina Elói Assis dos Santos, rappresentante di cosmetici prima e infermiera poi, e fratello minore di Roberto e Deisy. Babbo Joao ha inculcato nei figli maschi l’amore per il futebol e Roberto sembrava bravo: lui ha giocato nell’Esporte Cruzeiro ed è un tifoso del Grêmio. Peccato che Roberto si fece male gravemente al ginocchio e addio sogni di gloria. Eppure già a otto anni il piccolo di casa de Assis Moreira, Ronaldo, aveva un qualcosa in più, sembrava avere il diavolo (del calcio) in corpo e stupiva tutti nel barrio di Vila Nova.
Ronaldo a sette anni entra nelle giovanili del Grêmio. Grêmio che però puntava sul fratello Roberto, tanto che i de Assis Moreira si trasferirono nel quartiere di Guaruja in una nuova casa con piscina: è un giocatore del Grêmio, è nel giro delle Nazionali giovanili verde-oro, c’è hype su di lui. E purtroppo nel 1988 il padre Joao in quella piscina, a soli 42 anni, perse la vita. Un trauma incredibile per tutti. Pochi anni dopo morirà anche mamma Miguelina e quindi i loro tre figli si ritrovano soli e devono aiutarsi da soli. Cambiano i ruoli in famiglia: Roberto diventa un padre “bis” per Ronaldo che diventa la speranza calcistica della famiglia. Ronaldo ricambia la fiducia datagli grazie anche a due suoi allenatori “in casa”: Roberto ed il loro cane Bombom. Il giovane Ronaldo è calcisticamente brasiliano: è veloce, molto tecnico e con la palla fa ciò che vuole. È difficile portargliela via.
In tre campionati con il Grêmio, Ronaldo segna con continuità e vince un campionato diventando capocannoniere. Siamo tra due millenni ed il calcio brasiliano, sempre prodigo di giovani talenti, ha un nuovo cavallo su cui puntare. Tra l’altro Ronaldo de Assis cambia nome: un “Ronaldo” c’era già nel calcio e quindi lui, più giovane di quattro anni del “fenomeno”, diventa prima “Ronaldinho Gaucho” (dal nome dei primi abitanti dello stato di Rio Grande do Sul) e poi “Ronaldinho”, piccolo Ronaldo.
Nel 1999 Ronaldinho debuttò con la maglia del Grêmio in Copa Libertadores e l’anno dopo debutta in Nazionale maggiore il 26 giugno 1999 a Curitiba contro la Lettonia. Quattro giorni dopo, nella prima partita del girone B di Copa America, Ronaldinho segnò un bellissimo gol (quello del momentaneo 5-0) contro il Venezuela. Era nata una stella.
L’approdo alla corte del Paris Saint Germain: troppo forte per tutto e tutti
Il futuro è tutto del ragazzo di Vila Nova. Ovviamente non sarà in Brasile ma in Europa. Il campionato brasiliano (come tutti quelli sudamericani, a dirla tutta) è una rampa di lancio: non si fa carriera laggiù e per farla c’è da prendere un aereo con destinazione “Europa”. Ronaldinho non è da meno e anche lui atterra in Europa. Lo vogliono in tanti, in primis il PSV Eindhoven che tra il 1988 e 1996 ha avuto tra le sue fila i giovani Romario e Ronaldo e poi il Real Madrid ed il Leeds, pronto a fare follie per avere il ventenne attaccante del Rio Grande do Sul. Invece, nell’estate 2001, Ronaldinho firma un quinquennale con il Paris Saint Germain con lo scopo di vincere il più possibile. Tra l’altro Parigi, fino a quel momento, non aveva mai avuto una grande tradizione calcistica e la Ligue 1 era lontana dai grandi campionati europei. Il club parigino allora era un club medio con in bacheca due titoli nazionali, cinque Coppe di Francia, due Coppe di Lega, due Supercoppe francesi, una Coppa delle Coppe ed una Coppa Intertoto.
Ronaldinho si “attiva” di più di notte che durante gli allenamenti, il PSG non decolla ma nelle due stagioni a Parigi è il miglior marcatore della squadra.
Ronaldinho rimase sotto la Tour Eiffel per due stagioni, con la squadra che ottiene un quarto ed un undicesimo posto. Il brasiliano segnò nelle due stagioni 25 reti: il livello allora della Ligue 1 non era altissimo e uno come Ronaldinho spadroneggiava con una squadra tecnicamente non ad alti livelli.
Il primo anno parigino si chiuse con la convocazione per il Mondiale nippo-coreano del 2002: se era troppo giovane per Francia ’98, nel Mondiale 2002 Ronaldinho è stato uno dei protagonisti dell’attacco atomico della Seleçao con Ronaldo e Rivaldo. I verde-oro vinsero il loro quinto titolo mondiale sconfiggendo in finale per 2-0 la Germania 2-0. Il 22enne Ronaldinho, nella competizione, mise a segno due reti da palla inattiva: il gol su rigore del momentaneo 4-0 contro la Cina nella fase a gironi e la pazzesca punizione nei quarti contro l’Inghilterra.
Il PSG (che non aveva nulla a che fare con il PSG odierno come appeal) sapeva che non avrebbe potuto tenere il suo giovane attaccante brasiliano e nell’estate 2003 Ronaldinho passò al Barcellona.
Ronaldinho in blaugrana: il miglior Ronaldinho di sempre. La legacy con Messi
Proprio nel 2002 iniziò il periodo d’oro di Ronaldinho che termina, possiamo dirlo, con il suo addio al Barcellona per giocare con il Milan. Gli anni in azulgrana sono gli anni della consacrazione del talento di Ronaldinho. In Catalogna “Dinho” diventa un fenomeno e vince tutto grazie sì al suo talento ma anche ad una squadra che era fortissima e che farà da apripista al formidabile Barça di Pep Guardiola.
Ronaldinho, come detto, arriva al Barcellona nell’estate 2003. Il nuovo presidente del club azulgrana Joao Laporta staccò un assegno da 32 milioni al PSG per portare nella città di santa Eulalia il talentuoso 23enne brasiliano. Laporta aveva uno scopo: portare in alto un Barcellona in crisi che non vinceva il campionato da quattro anni e che doveva vedersela con il Real Madrid dei “galacticos”. Il Barcellona non tollerava più che a vincere fossero (in Spagna come in Europa) altri club e contava sull’arrivo del “Gaucho” per tornare alla vittoria.
Il Barcellona arrivava da campagne estive mediocri nonostante diversi campioni tesserati. Nel campionato 2002/2003 la squadra era arrivata sesta, qualificandosi, per un punto, in Coppa Uefa e con dodici punti di distacco dal Real Madrid campione.
Il Barça cambi l’allenatore nominando Frank Rijkaard (un azzardo, a dire il vero), non arrivò Beckham (che andò al Real Madrid) ma arrivò Ronaldinho (che sembrava dovesse firmare con il Manchester United). Vennero inoltre promossi in prima squadra da La Masia due giovani che faranno la storia del club, Andrés Iniesta e Victor Valdés. Ronaldinho, numero 10 sulla schiena, partì con il botto: debutto il 3 settembre 2003 contro il Siviglia e subito grande gol. Il Mondo scoprì questo brasiliano: rideva sempre, era felice, piaceva a tutti ed era l’idolo dei ragazzini che cercavano di imitarlo.
Ronaldinho con il Barcellona giocherà cinque stagioni disputando 207 partite e segnando quasi cento reti (94, per la precisione). La bacheca del club si riempì di due titoli nazionali (consecutivi), una Supercoppa spagnola e, soprattutto, la Champions League nella stagione 2005/2006. A livello individuale il triennio 2004-2006 è il prime del talento brasiliano: due titoli di miglior giocatore straniero della Liga, tre volte inserito nel top team annuale della ESM, tre volte inserito nella squadra dell’anno votata dalla UEFA, due volte FIFA World Player e Men’s World Player of the Year da parte della rivista World Soccer.
Il clou fu la vittoria nel 2005 del Pallone d’oro. Il trofeo annuale di France Football, che vide dietro a “Dinho” gli inglesi Frank Lampard e Steven Gerrard, “consegnò” al Mondo il miglior Ronaldinho: 25 anni, titolare nel Barcellona e nella Seleçao (con cui aveva vinto la Confederations Cup pre-Germania 2006), incubo di tutti i difensori, il miglior compagno da avere in squadra. Dopo Ronaldo e Rivaldo, Ronaldinho era diventato il terzo brasiliano a vincere il premio, dopo il terzo posto della stagione precedente. E se quel Brasile grandi firme (e grande attacco) non avesse fallito in Germania, magari Ronaldinho avrebbe bissato il premio di France Football (ma, buon per l’Italia, quel Mondiale lo hanno vinto gli azzurri e a vincere il premio è stato Fabio Cannavaro).
Le sue cinque stagioni di Ronaldinho in azulgrana permettono al Barcellona di andare oltre la sua percezione fino a quel tempo: con Ronaldinho, il Barcellona diventava davvero “mes que un club”: un brand riconoscibile e tifato ovunque.
Con gli azulgrana, Ronaldinho affinò il “doppio passo” e l’”elastico”, la sua vera specialità: per i difensori avversari tanti mal di testa.
Sono due le partite e i goal che consegnarono al Mondo del calcio Ronaldinho: il suo secondo gol nella partita del ritorno degli ottavi di finale di Champions League contro il Chelsea a Stamford Bridge e la doppietta contro il Real Madrid al “Bernabeu”.
Nel primo caso, l’8 marzo 2005, il Chelsea al 19’ era già avanti 3-0 e Ronaldinho al 27’ su rigore siglò il 3-1, al 38’ segnò il suo secondo gol trovandosi davanti a sé, nella “lunetta” dell’area di rigore, Ricardo Carvalho, Terry e Gudjohnsen. Il numero 10 brasiliano si ferma, guarda i due difensori, esegue una sorta di “danza”, tira di destro, segna e lascia di marmo il portiere Cech.
La doppietta contro le merengues al “Bernabeu” è datata 19 novembre 2005 e fu una prestazione incredibile: due reti al 60’ e al 77’. Ronaldinho, nel primo gol, si invola da centrocampo saltando prima Ramos e, a ridosso dell’area, Helguera, trafigge Casillas per lo 0-2. Il secondo gol è un’azione simile alla precedente, con Ramos superato come Casillas: 0-3. Al momento dell’uscita dal campo del numero 10 di Porto Alegre, tutto il “Bernabeu” si alzò in piedi per tributargli una standing ovation da brividi. “Standing ovation” da parte dello stadio “nemico” dove giocava la squadra nemica per antonomasia del Real: ladies and gentlemen, Ronaldo de Assis Moreira detto Ronaldinho. Fino a quel momento, i tifosi merengues avevano fatto la standing ovation solo per Maradona nei suoi anni a Barcellona: ora era toccato a Ronaldinho (dopo di lui l’avranno anche del Piero, Totti e Iniesta).
L’ultima stagione di Ronaldinho in azulgrana è la peggiore in terra catalana ma anche da quando è in Europa: serate mondane a base di alcool e donne, prestazioni in allenamento non proprio da professionista ed una squadra che iniziava a contare in attacco gente come Henry, Eto’o ed un promettente argentino di 20 anni che impazzisce per Ronaldinho e che apprende da lui ogni cosa (calcistica): Lionel Messi. L’asso di Porto Alegre era diventato un di più.
Nell’estate 2008 Ronaldinho saluta il Barcellona. Prossima tappa, il Milan.
Gli anni al Milan: gli ultimi lampi, poi il ritorno a casa
Con l’avvento di Josep Guardiola sulla panchina del Barcellona “prima squadra”, cambiò anche la percezione di Ronaldinho sulla sua utilità nel contesto azulgrana: “se vado via, è meglio per tutti”, avrà pensato il ragazzo di Porto Alegre. Per 21 milioni di “motivi”, Ronaldinho divenne un giocatore del Milan. Ronaldinho si presentò a Milanello con in tasca il bronzo olimpico vinto a Pechino. Il suo arrivo all’aeroporto fu da star di Hollywood, la sua presentazione a San Siro da monarca.
Adriano Galliani, deus ex machina del mercato del Diavolo, impostò la trattativa ed il 15 luglio 2008 “Dinho” firmò con il Milan: contratto di tre anni a 6,5 milioni di euro a stagione.
Indossa la maglia numero 80 (la “10” era di Clarence Seedorf), agli ordini di Carlo Ancelotti. Il tecnico di Reggiolo aveva una squadra che poteva contare su gente del calibro del già citato olandese, di capitan Maldini, Inzaghi, Gattuso, Ambrosini, Nesta, Pirlo, Schevchenko e dei brasiliani Dida, Emerson, Pato, Thiago Silva e Kakà. A 28 anni arriva in Serie A uno dei giocatori più forti di sempre. Purtroppo sarà in parabola discendente. Come nel Barcellona: prima partita, gol. E la partita e il gol non furono in un contesto banale: “derby de la Madunina”, 28 settembre 2008. Gol vittoria di testa da parte del brasiliano su tiro-cross di Kakà. Brividi per tutti.
Ronaldinho rimase a Milanello fino al gennaio 2011, giocando 95 partite e segnando, in totale, ventisei reti. Convinse e non convinse: le serate milanesi erano “toste” e si lasciò sopraffarre da queste. In campo, la tecnica era sempre quella: corsa, doppio passo, elastico, assist al bacio e gol. Ma non era più il Ronaldinho ammirato negli anni precedenti. Eppure consegue altri titoli personali: vince il Golden Foot 2009 e, sempre nel 2009, il World Soccer come miglior Giocatore del Decennio 2000-2009.
A 31 anni, con l’arrivo di Massimiliano Allegri alla guida dei rossoneri, Ronaldinho, ormai lontano parente di quel giocatore che aveva segnato gol incredibili ed estasiato le tifoserie, saluta il Milan, l’Italia e l’Europa e torna a casa in Brasile.
Gli ultimi anni in Brasile. I problemi con la legge
Nei suoi ultimi quattro anni di carriera, Ronaldinho ha vestito i colori di Flamengo, Atletico Mineiro e Fluminense, con una stagione in Messico al Quéretaro, segnando sessantatre gol e facendo ancora vedere sprazzi del miglior Ronaldinho.
L’attaccante di Porto Alegre ha vinto un “Carioca” ed un “Mineiro” con Flamengo e Atletico Mineiro ed una Copa Libertadores il 24 luglio 2013 con il “Galo” (soprannome dell’Atletico Mineiro) un traguardo mai raggiunto dagli alvinegro. Quel giorno Ronaldinho divenne il primo giocatore a vincere in carriera: Campionato del Mondo, Copa America, Champions League, Copa Libertadores e Pallone d’Oro.
“Dinho” in quella Copa Libertadores segnò solo quattro reti, ma fu determinante per la vittoria anche se i bomber furono Jo e Diego Tardelli. Ronaldinho, maglia numero 10, prenderà parte al Mondiale per club FIFA disputato in Marocco. Il club brasiliano partì dalla semifinale e finì lì il torneo perché i marocchini campioni d’Africa del Raja Casablanca surclassarono gli alvinegro 3-1. “Dinho” segnerà il gol del momentaneo pareggio. Sempre nel 2013 arriva il premio che mancava nella bacheca personale di “Dinho”, vale a dire il titolo di miglior giocatore sudamericano dell’anno: cosa chiedere di più una volta tornato a “casa”? Nulla!
Il ritiro dal calcio giocato arriva il 16 gennaio del 2018.
Si tornò a parlare di Ronaldinho nel marzo 2020 per fatti di cronaca non sportiva: il 6 marzo 2020, a ridosso del lock down per il Covid 19, “Dinho” viene arrestato in Paraguay per essere entrato nel Paese con un documento falso e con l’accusa di riciclaggio di denaro insieme al fratello Roberto. Nonostante i suoi guai con la giustizia, il suo conto in banca non ha mai smesso di fermarsi alla voce “entrate”, visto che il brasiliano dopo il suo ritiro calcistico ha investito e ha partecipato a diverse campagne pubblicitarie. Una vera macchina da soldi.
La legacy con Lionel Messi e quanti tifosi ha fatto innamorare
L’addio di Ronaldinho al Barcellona è coinciso con l’esplosione del primissimo Lionel Messi: il lascito di Ronaldinho al Barcellona è il fatto che Guardiola ha potuto schierare sempre di più (nonostante la giovane età) l’attaccante argentino che, a partire dalla stagione 2008/2009, abbandonerà la maglia numero 19 per mettersi sulle spalle quella maglia numero 10 che indosserà, fino al suo addio, giocando in tutto 778 partite segnando 672 reti.
Il passaggio di consegne ha una data ed una partita ben precisa: 1° maggio 2005, Barcellona-Albacete con Messi che segna il gol del 2-0 al minuto 90. Prima rete in carriera della futura “pulce” su assist (uno “scavetto”) di Ronaldinho che prende in spalla il giovane compagno di squadra. Due grandi del calcio mondiale (anche se ancora non spevamo cosa sarebbe diventato Messi), nonché due amici fuori dal campo.
Messi, lo sappiamo, è stato baciato dal “dio del calcio” ma siamo sicuri che il legame con l’asso brasiliano è stato una manna per l’attaccante rosarino. Ed infatti se Messi è, insieme a CR7 considerato tra i fenomeni più recenti, Ronaldinho lo è stato per i primi anni del nuovo millennio. Con “Dinho” il calcio è sinonimo di meraviglia: tocchi veloci, doppi passi, rabone, marcatori lasciati sul posto, assist e goal. Insomma, Ronaldinho è stato il “volto” del joga bonito brasiliano, quel modo di intendere il calcio in maniera felice, spensierata, divertente, uno spettacolo per gli occhi di chi guarda. È stato l’alfiere di questo “stile” di gioco. Meglio anche degli altri giocatori di quel Brasile che partiva con i favori del pronostico in Germania 2006 e che invece è uscito, ai quarti di finale, per mano (anzi per piede) della versione europea del “joga bonito”, ovvero Zinedine Zidane, un altro numero 10 che tanto ha dato al calcio.
Ronaldinho può stare tranquillamente annoverato tra i 50 giocatori più forti della storia del calcio. Lo celebriamo nel giorno del suo compleanno, 21 marzo, del resto uno così non poteva che nascere il primo giorno di primavera, la stagione più bella dell’anno, quella che ci permette di lasciare alle spalle il freddo dell’inverno e di abbracciare il tepore e poi il calore lo stesso che ci trasmette il sorriso di “Dinho”. Tutto dal 21 marzo di ogni anno torna a fiorire, tutto torna a gioire. E noi penseremo sempre a Ronaldo de Assis Moreira, il più brasiliano tra i calciatori brasiliani. Quello che quando segnava rideva e faceva la “haka”. Quello che anche se non segnava rideva. Quello che ci ha fatto innamorare del calcio.

BIO Simone Balocco:
Novarese del 1981, Simone è laureato in scienze politiche con una tesi sullo sport e le colonie elioterapiche nel Novarese durante il Ventennio. Da oltre dieci anni scrive per siti di carattere sportivo, storico e “varie ed eventuali”. Tifoso del Novara Calcio prima e del Novara Football Club dopo, adora la sua città e non la cambierebbe con nessun altro posto al Mondo. Collabora da tempo con la redazione sportiva di una radio privata locale e ha scritto tre libri, di cui due sul calcio. I suoi fari sono Indro Montanelli e Gianni Brera, ma a lui interessa raccontare storie che possano suscitare interesse (e stupore) tra i lettori. Non invitatelo a teatro ma portatelo in qualunque stadio del Mondo e lo farete felice.