TRASFERIRE L’ALLENAMENTO ALLA PARTITA – 2/3

 “Tutto dipende

 dal tirarsi su per i capelli

rivoltare sè stessi da dentro a fuori

e vedere tutto con occhi nuovi.”  PETER WEISS

Imparare a giocare e a giocare bene a calcio non è cosa semplice. DON’T PANIC. Sempre citando VELASCO, se in un anno allenatore e staff metteranno in grado ogni giocatore di compiere un piccolo step, in una rosa media di un club i gradini saliti nella scala saranno almeno 20. Senza dimenticare che il nuovo apprendimento avverrà sullo sfondo dell’apprendimento precedente senza il quale il TRANSFER non potrà avvenire e di conseguenza il passaggio allo step successivo. I giocatori si muovono attraverso il proprio originalissimo stile nell’ affrontare la competizione, in collegamento con le proprie esperienze pregresse, ma anche con la fluidità della propria vita e quella dei compagni di squadra che nel frattempo sta cambiando. Far sì che i giocatori siano consapevoli di questi aspetti favorirà un clima di crescita utile per tutti e FAVORIRÀ IL TRANSFER. Dettaglio che discutevo qualche giorno fa con un saggio amico allenatore in un supermercato vicino al banco delle carni: per le giovani squadre in crescita, mix di personaggi diversi che si sviluppano a ritmi difformi, creare un clima divertente, piacevole, diventa sempre più importante al fine di creare una CULTURA DELL’APPRENDIMENTO, BASE ESSENZIALE PER IL TRANSFER.

Se infatti la pratica si trasferirà alla competizione, dipenderà da molto più del saper colpire la palla di controbalzo o avere un discreto dribbling. E poiché è auspicabile che tutti possano migliorare, un ambiente favorevole predisporrà i giocatori ad una certa apertura, utile per apprendere meglio e TRASFERIRE L’APPRESO. Non avranno paura di una dura reprimenda in caso di errore e quindi saranno in grado di correre e affrontare quei rischi sempre presenti in partita perché sapranno di poter contare su di un allenatore e uno staff che apprezzano lo sforzo e il coraggio, piattaforma di lancio dell’INTRAPRENDENZA.

ANDARE AL DUNQUE

“Nessun uomo entra mai due volte nello stesso fiume, perché il fiume non è mai lo stesso, ed egli non è lo stesso uomo” Eraclito

Altrove ( Al-trò-ve ) e in diversi tempi ci siamo soffermati sugli indispensabili percorsi che allenatore e staff  dovrebbero intraprendere verso una propria expertise, una cassetta degli attrezzi professionale, percorsi che vanno dall’APPROCCIO GUIDATO DA VINCOLI alla PNL ( pedagogia non lineare ), dal TGFU ( teaching games for understanding) alla PRATICA DELIBERATA. Proposte utili perché il transfer e di conseguenza l’apprendimento richiedono un ricco humus per stabilizzarsi e permettere di riversare nel gioco tutto ciò che si è acquisito con l’esperienza in allenamento.

Il vate, professor Dr. Wolfgang Schollhorn creatore del SISTEMA DI APPRENDIMENTO DIFFERENZIALE intorno al 2006, per esempio, ci ricorda che “se vogliamo avere prestazioni straordinarie dobbiamo allenarci in modo straordinario”. Trafughiamo l’idea alla base della sua metodologia apparentemente lontana da quanto affermato finora relativamente alla RICERCA DELLA SPECIFICITÀ: “Si impara solo dalle differenze, l’unica costante è la varietà e anche quando ripetiamo non ripetiamo mai in modo identico.” Non più la ripetizione del movimento, dunque, ma la sua continua variazione. Quando un giocatore commette un errore di qualsiasi genere nel gioco, molto spesso l’allenatore è pronto a riprenderlo, a dirgli cosa è sbagliato, a dare consigli.

Quindi in realtà L’ALLENATORE VEDE UNA DIFFERENZA, un margine che si discosta da quella che lui reputa la best practise. Secondo Schollhorn invece di dire al giocatore: “Non dovresti fare così,” l’allenatore dovrebbe essere in grado di AMPLIFICARE QUESTA DIFFERENZA, questo errore e non aspettare che le variazioni si verifichino per coincidenza. Perché L’APPRENDIMENTO HA proprio BISOGNO DI VARIAZIONE se si vuol raggiungere LIVELLI DI PRESTAZIONE MOLTO PIÙ ALTI. Senza addentrarci in questioni come risonanza stocastica, rumore, fluttuazioni e amenità del genere, ben note ai frequentatori di questo blog, Schollhorn riporta l’esempio calcistico del sistema 442 che prevede la distribuzione dei calciatori nelle quattro classiche corsie e propone per esempio, secondo la sua metodologia, di far spostare tutti i giocatori da un lato e provare a risolvere il problema da questa condizione iniziale, riscontrando che molto spesso o a volte per coincidenza questo può accadere anche in competizione quando ad esempio, specialmente nelle giovanili, la difesa non sa come rispondere perché non si è mai allenata su questo aspetto.

SFIDARE gli atleti come strategia è tanta roba.  E il trasferimento dell’apprendimento può avvenire attraverso la proposta di giochi di invasione anche molto diversi dal calcio e dalle sue regole che rivelano però, per come sono congegnati, una decisa propensione a principi, concetti, fasi, organizzazioni, transizioni, ricerca visiva dei dettagli determinanti, prontezza esecutiva, anticipazione, timing da poter fluidamente trasferire in partita. Il transfer può verificarsi infatti anche tra competenze relativamente diverse con un minore grado di specificità, SE I PRINCIPI DI BASE TRA IL TRANSFER E L’OBIETTIVO-PARTITA SI SOVRAPPONGONO constatando la sport-specificità di attività solo apparentemente distanti. Cose già dette relativamente al futsal. Nel prossimo articolo, se ritenuto utile, allegherò delle proposte pratiche che riguardano alcuni sport donatori, attività di GAME SENSE proposte da BUNKER & THORPE fin dal 1982 e successivamente da Wayne Harryson nonchè da un folto gruppo di onesti professionisti che hanno dedicato e dedicano le loro ore di vita alla ricerca.  Modi diversi, forse alternativi ma comunque utili per sperimentare rapidità nella coordinazione, l’inscindibile legame tra percezione e azione, acutezza propriocettiva, senso del gioco e anche una sorta di motivazione intrinseca, essenziale per chi si pone obiettivi con determinazione.

Attività che permetteranno comunque di acquisire un potenziale cambio di prospettiva a scansione rapida, partendo da affondi, schivate, frenate e accelerazioni, genius ludi, leadership, lotte, sfide, lanci, vuoti e pieni. Scambiare pensieri su queste proposte ci farà sentire alla stessa stregua di una COMUNITÀ DI PRATICA, ci stimolerà a scartabellare tra le nostre quotidiane consuetudini di campo e pensare a cosa sono, cosa privilegiano, quali valori riflettono. Tuttavia per alcuni allenatori il divario tra idee e pratica si rivela troppo ampio per il poco tempo sacrificato che la vita lascia tra lavoro, famiglia e quotidiane necessità. Le innaturali cose, come direbbe SAM WINEBURG.

Pazienza. Continueremo a esplorare, e alla fine delle nostre esplorazioni ci troveremo al punto da cui siamo partiti e conosceremo il posto per la prima volta. QUATTRO QUARTETTI TOMAS ELIOT

Il riuscire a dipanare la matassa del gioco e mettere a frutto il proprio talento scaturisce proprio da un comportamento mutato: “se vuoi vedere, impara ad agire” scriveva Heinz von Foerster nel 1988. Al calciatore si chiede di essere nello stesso istante NELLE COSE E AL DI FUORI DALLE COSE, come il Barone di Münchhausen che con il suo cavallo sta per sprofondare nella palude ma riesce a sollevarsi dal pantano afferrandosi per il codino: un essere immaginario però, che, grazie alla sua prontezza, alla sua forza e al suo talento scappa dai guai e riesce a salvare anche altri.

Ricreare una palude piena di rischi da cui possa emergere il giocatore indipendente, adattabile e risolutore di problemi è ciò a cui siamo chiamati. Ma come deve essere dunque il contesto adeguato affinché questo sviluppo del talento avvenga? Bateson non ha dubbi: COMPLESSO e SISTEMICO. Nel calcio l’utilizzo dei RONDOS rappresenta la soluzione operativa quotidiana. Ma sono solo squarci, frammenti di partita. Nonostante la verosimiglianza c’è poco in comune con l’ambiente reale del gioco, in cui difensori, avversari e palla si muovono in direzioni diverse a velocità diverse in spazi diversi. Ogni parametro analizzato è solo moderatamente simile alla effettiva realtà. Non esistono in realtà attività che perfettamente riproducono il match se non il match stesso che è poi sempre ovviamente diverso ogni settimana. Nell’impossibilità di una simulazione completa che non potrà neanche essere la cosiddetta partita finale di allenamento per palese mancanza di emozioni, pathos, sfide, staff e allenatori sono chiamati ad individuare, a modificare e proporre attività e vincoli allo scopo di riconnettere giocatore e gioco. Ad estrapolare gli aspetti chiave in primis DA UN PUNTO DI VISTA STRATEGICO, guardando meno all’acquisizione di nuove abilità e al loro perfezionamento ma adattandole invece alla mutevole situazione dinamica competitiva. Modellare quindi vari tipi di giochi alla prontezza dei propri calciatori e alle esigenze della situazione come anche imparare a gestire la pressione della competizione nelle varie parti inscindibili di uno sport open. In fondo è come creare uno SPID DI SQUADRA, una serie di attività di alto livello, accessibile e che tutti riconoscono in quanto struttura ma che poi varia a seconda delle circostanze e dei tempi con tagli e aggiunte che non faranno altro che stratificarsi su competenze ed esperienze pregresse.

“Io guardo il cielo, il cielo che tu guardi
ma io non vedo quello che tu vedi.
Le stelle se ne stanno dove sono,
per me luci confuse senza nome,
per te costellazioni nominate” (PATRIZIA CAVALLI)

STAY TUNED

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