L’esperienza delle squadre sportive femminili, e in particolare del calcio, si configura come uno spazio simbolico e reale di resistenza, trasformazione e ricostruzione dell’identità femminile. In un contesto storico e culturale che ha spesso negato alle donne la possibilità di costituirsi come soggetto collettivo, la squadra diventa un microcosmo in cui è possibile ribaltare gerarchie, risignificare ruoli e immaginare nuove forme di convivenza.
Già Simone De Beauvoir ne “Il secondo sesso” (1946) aveva sottolineato come per le donne sia stato storicamente arduo percepirsi come gruppo e porsi, di conseguenza, in una condizione di autentica soggettività. Questo limite deriva in larga parte dalle modalità con cui il femminile è stato socializzato, spesso in direzione di un’identità frammentata e subordinata. In tal senso quindi, il ritrovarsi all’interno di una squadra composta esclusivamente da ragazze può rappresentare un’occasione unica per maturare una dimensione collettiva difficilmente sperimentabile altrove.
Attraverso la condivisione di obiettivi, passioni e sforzi con altre donne, le calciatrici hanno la possibilità di uscire dalla posizione di “alter” – che spesso occupavano negli anni in cui erano le uniche ragazze in mezzo a compagni maschi – per diventare finalmente “ego”. O meglio ancora, possono costruire un “nos”, un senso di appartenenza e identità condivisa.
Questa transizione dalla dimensione individuale a quella collettiva consente alle ragazze di assumere un’identità sociale positiva, legittimando la propria passione per lo sport e rafforzando la percezione del proprio ruolo.
La presenza di altre bambine o ragazze nella squadra attiva riflessioni profonde: non solo sulla legittimità del proprio interesse per il calcio, ma anche sul potenziale trasformativo di questo movimento. Le ragazze non sono più costrette ad adattarsi a spazi “altri” separati dal resto dei compagni di squadra, come lo spogliatoio, ma scoprono l’esistenza di una realtà femminile ampia, accogliente e normalizzante.
In particolare, la condivisione dello spazio dello spogliatoio emerge come elemento chiave per la costruzione di un linguaggio comune e di un’identità condivisa. Dopo anni in contesti dove si sentivano fuori posto, queste giovani atlete trovano finalmente un luogo in cui potersi riconoscere e rispecchiare. Qui si genera un linguaggio comune fatto di gesti, battute, racconti e rituali che rafforzano l’identità collettiva. Questo codice interno crea una barriera simbolica rispetto all’esterno, tutelando l’autenticità dell’esperienza femminile e consentendo un dialogo che parte dalla corporeità ma si estende alla sfera emotiva, culturale, esistenziale.
Il gruppo squadra diventa quindi un ambiente privilegiato di relazione dialogica tra pari. In questo contesto si sviluppa un percorso di autocoscienza che parte dall’individuo, si esprime nel collettivo, si nutre del sostegno reciproco e torna all’individuo, arricchito e rafforzato. Questa dinamica permette alle ragazze di interpretare in modo più consapevole ciò che stanno vivendo, acquisendo strumenti utili per comprendere se stesse e affrontare le sfide della crescita. Come accade nei gruppi di autocoscienza nati negli anni ’70 nei movimenti femministi, anche nelle squadre femminili di calcio si attivano dinamiche in cui le narrazioni personali si intrecciano, si confrontano e si rispecchiano. La rete di relazioni costruita all’interno della squadra fornisce alle ragazze un punto di riferimento stabile, uno spazio sicuro dove sentirsi accolte e sostenute. Qui possono esprimere liberamente emozioni, sentimenti e identità senza la paura del giudizio o del rifiuto.
In questo senso, il gruppo squadra non solo normalizza i vissuti individuali, ma si configura anche come un potente contesto di empowerment, capace di valorizzare le differenze e promuovere una soggettività piena e condivisa. Un empowerment che non riguarda soltanto il rafforzamento individuale, ma anche la capacità di agire collettivamente per trasformare le condizioni sociali. La squadra tutta al femminile è quindi anche uno spazio politico, che produce senso, valore e cambiamento.

BIO: LAURA ZUCCHETTI
Gen Z di nascita ma vintage nei modi, parlerei per ore di sport e questioni di genere. Vivo il calcio femminile da tifosa ma con lo sguardo da psicologa sociale per riflettere sulle sue contraddizioni e opportunità figlie della realtà nella quale siamo immersi.