MILAN, DIFESA A 3: È LA SOLUZIONE? 

Mai stato un tattico, tanto meno uno stratega. Nemmeno nei giochi da tavolo, il Risiko per dire. Forse non sono mai stato nemmeno troppo fortunato nelle attività ludiche, difatti Napoleone – non a caso – preferiva generali di buona sorte piuttosto che abili. Per diventare tattici bisogna comunque studiare, io mi sono limitato a una lunga pratica dilettantistica e un ancor più datata milizia di spettatore e cronista.

Sono un lettore però, un loggionista che ormai crede di saper distinguere la stecca dall’acuto di un tenore, una soprano da una strimpellatrice, un bel film (seppure spesso sia questione di gusti), un bel concerto, da spettacoli modesti. Mi avventuro quindi nella soluzione del modulo adottato da Conceiçao a Udine: la difesa a 3, un concetto eretico al Milan dall’avvento di Berlusconi e Galliani, sdoganato dallo scudetto di Zaccheroni, bandito per molto anni anche nel settore giovanile fino a una rogatoria di tolleranza.

Il bello è che persino Carletto Ancelotti vi ricorreva di nascosto, con Simic o Roque Junior mascherati da terzini ai tempi di Serginho e Cafu che prendevano il volo più spesso di quanto rincasassero là dietro. Si è detto per settimane che ai rossoneri mancasse equilibrio. Al fianco di Fofana non può essere schierato nessun altro frangiflutti: ci aveva pensato Pioli con Loftus Cheek, salvo poi spingere l’inglese in avanti e ottenendo in cambio 10 gol nella stagione scorsa, tra campionato e Champions.

Così aveva dovuto arretrare in mediana Reijnders (vi ricorre anche Conceiçao adesso) senza considerare però che l’olandese da trequartista vale parecchi punti percentuali in più. Musah è un mezzo disastro per i soventi black-out, dunque il centrocampo milanista è ridotto all’osso se parliamo di interpreti di ruolo. Un altro problema è stata la mancanza di una scelta precisa della coppia di centrali difensivi. Thiaw il più gettonato dal tecnico portoghese, che ha messo ai margini – forse non da solo o comunque non soltanto per scelta propria… – Tomori e alternato quindi Gabbia e Pavlovic senza mai ottenere una stabilità di squadra e un rendimento costante dai singoli.

Può darsi, di conseguenza, che le stesse certezze o la sicurezza di Maignan abbiano pagato pegno per questo. Non parliamo poi dello scarso contributo alla causa che là dietro hanno dato Theo e Royal, prima dell’arrivo di Walker (il quale comunque non si è ancora espresso ai suoi livelli reali, se non sporadicamente e adesso starà fuori per qualche tempo).

Così, a Udine ecco il varo del modulo con 3 centrali: Tomori, Gabbia e Pavlovic, triello di dobermann davanti al portiere. Di sicuro quella dei friulani non è stata la gara della vita, ma sappiamo bene che il Milan in questa stagione ha saputo spesso esaltare avversari modesti, mediocri o nettamente più scarsi. Da lettore, ecco cosa ho visto: meno pericoli da parte degli avversari; ottima prestazione individuale del terzetto; più tranquillità e partita importante di Fofana che forse si sentiva più protetto alle spalle, così come gli stessi Hernandez e Jimenez (della cui prova si è parlato poco, ma è stata forse la sua migliore da titolare) liberi di scorrazzare rientrando il minimo sindacale. Della stessa libertà e di spazio hanno potuto godere Leao in primis, Reijnders (più spesso a ridosso dell’area offensiva che quella difensiva) e lo stesso Pulisic, sia pure non ai suoi livelli più alti.

Infine, ma questo con i 3 centrali non ci azzecca molto, Jovic è in questo momento il centravanti più brillante della rosa, posto che Gimenez era indisponibile e Abraham rende di più quando entra in corsa, piuttosto che quando viene schierato dall’inizio. Per farla breve: piazzare quei 3 armadi all’ingresso (gli mancano solo gli auricolari per sembrare buttafuori) ha blindato l’area, sollevato il portiere, liberato i compagni mentalmente.

L’equilibrio. È la soluzione, chiede il titolo? Sì, è la mia risposta. Collaudo di fuoco contro l’Atalanta, poi la partita più importante degli ultimi 2 anni: il derby di ritorno di Coppa Italia. Gli appuntamenti importanti potevano essere altri, ma oggi questo è. Contro l’Inter con i 3 centrali che, come Filippo sa bene, vuol dire difendersi in 5, chiedere a Leao e Pulisic di abbassarsi solo 30-40 metri e non 70-80 per dare una mano là in mezzo, avere un centrocampo stabile a 4 che diventano 6 quando – appunto – i due attaccanti esterni arretrano. Equilibrio, ma anche libertà, più autonomia, più gestione degli spazi e della palla. Per gli orpelli squisitamente tattici legati a questa scelta, rivolgersi cortesemente a Filippo. 

BIO: Luca Serafini è nato a Milano il 12 agosto 1961. Cresciuto nella cronaca nera, si è dedicato per il resto della carriera al calcio grazie a Maurizio Mosca che lo portò prima a “Supergol” poi a SportMediaset dove ha lavorato per 26 anni come autore e inviato. E’ stato caporedattore a Tele+2 (oggi SkySport). Oggi è opinionista di MilanTv e collabora con Sportitalia e 7GoldSport. Ha pubblicato numerosi libri biografici e romanzi.

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