IL BAYERN MONACO DI VINCENT KOMPANY

In un calcio dove le tattiche si susseguono e l’equilibrio tra presente e tradizione è sempre più difficile da gestire, il Bayern Monaco resta uno dei pochi club in cui vincere non è solo una vocazione, ma un dovere istituzionale. Una macchina culturale e sportiva costruita nel tempo, che in questa stagione si trova a fare i conti con una nuova visione affidata a Vincent Kompany. Un progetto ambizioso, ancora in cerca di piena legittimazione, e ora messo duramente alla prova da una sconfitta interna che rischia di compromettere la corsa alla Champions League.

Un’eredità pesante

Fondato nel 1900 da undici membri guidati da Franz John, il Bayern Monaco è diventato sinonimo di supremazia calcistica. I numeri parlano da soli: 33 titoli di Bundesliga, 6 Coppe dei Campioni/Champions League, 1 Coppa delle Coppe, 1 Coppa UEFA, 20 Coppe di Germania, 10 Supercoppe di Germania, 6 Coppe di Lega tedesca, 2 Supercoppe UEFA, 2 Coppe Intercontinentali e 2 Coppe del Mondo per Club. Ma non è solo questione di palmarès: è la mentalità che ha reso unico questo club. Una cultura della vittoria che si tramanda da generazioni, forgiata da leggende come Franz Beckenbauer, Gerd Müller, Karl-Heinz Rummenigge, Lothar Matthäus, fino ai più recenti Ribéry, Robben, Lahm, Schweinsteiger, Neuer, Müller e Lewandowski.

Ogni epoca ha avuto i suoi simboli. Negli anni ’70 fu il tempo del dominio europeo con Beckenbauer e Gerd Müller. Negli anni 2000, l’identità vincente è stata incarnata da un mix di talento e carattere: il piede educato di Philipp Lahm, la grinta di Bastian Schweinsteiger, le corse incontenibili di Ribéry e Robben. E poi l’era Lewandowski, capace di ridefinire il ruolo del numero 9 con una freddezza implacabile sotto porta.

Questa eredità non lascia spazio a progetti a lungo termine senza risultati immediati. Ed è proprio questo il nodo attorno al quale ruota l’esperienza di Vincent Kompany.

Vincent Kompany e la costruzione dell’identità moderna

Arrivato nel maggio 2024 per sostituire Thomas Tuchel, Kompany è stato scelto per dare al Bayern un nuovo volto. Ex capitano del Manchester City, cresciuto con la filosofia del possesso palla e della costruzione dal basso, il tecnico belga ha portato a Monaco idee moderne: pressing alto, linee corte, uscita ragionata dal basso e valorizzazione dei giovani.

“Voglio che i miei giocatori siano coraggiosi, che abbiano personalità con il pallone”, dichiarò al momento della presentazione. E per un periodo sembrava funzionare: Musiala libero di inventare, Kimmich nel ruolo di regista centrale, Guerreiro trasformato in interno offensivo, Harry Kane trascinatore in zona gol con numeri impressionanti in Bundesliga.

Ma la Champions League è un altro mondo. E il ko per 2-1 contro l’Inter nell’andata dei quarti ha messo a nudo tutti i limiti del progetto: sterilità offensiva, insicurezze difensive e decisioni discutibili in sede di formazione.

San Siro come spartiacque

Le critiche a Kompany non si sono fatte attendere. La stampa tedesca e gran parte della tifoseria hanno puntato il dito contro il tecnico per l’esclusione iniziale di Thomas Müller, lasciato in panchina in favore di Guerreiro. La giustificazione (“Contro il Bochum ha segnato due gol in quella posizione”) è sembrata debole, soprattutto alla luce dell’impatto che Müller ha avuto entrando nella ripresa: ha segnato, creato superiorità e acceso una squadra spenta.

Dietro questa scelta c’è anche una linea societaria: il club sembra intenzionato a non rinnovare il contratto al 25 bavarese, ma il campo, ancora una volta, ha parlato. E ha dato torto alla coerenza granitica di Kompany.

Harry Kane, dal canto suo, ha fallito due occasioni nitide nel primo tempo. A fine partita ha ammesso le sue responsabilità: “Avrei potuto segnare più di un gol. Ma abbiamo creato, e questo ci dà fiducia per il ritorno. A Milano la sfida sarà simile. L’Inter ha ottimi giocatori, ma non è finita. Loro hanno festeggiato come se fossero già in semifinale…”. Una frecciatina che testimonia quanto il Bayern senta il peso di dover reagire.

I giocatori chiave dell’era Kompany

In questo momento di transizione, i volti fondamentali del Bayern sono Jamal Musiala(ora out per infortunio), anima tecnica e creativa del centrocampo; Joshua Kimmich, perno tattico e punto di riferimento dello spogliatoio; e Harry Kane, atteso alla consacrazione anche sul palcoscenico europeo. Accanto a loro, l’incognita Neuer (ancora fermo), il rientro atteso di Coman, e l’importanza di veterani come Goretzka e Davies(anche il canadese fermo ai box).

E poi, ovviamente, Thomas Müller: leggenda vivente che continua a fare la differenza, anche senza più lo status di titolare inamovibile. Il suo carisma e la sua intelligenza calcistica restano un patrimonio che il Bayern non può permettersi di ignorare.

Tradizione contro rivoluzione

Il Bayern Monaco non è una squadra qualsiasi. È una macchina che richiede prestazioni immediate, che mal sopporta le fasi interlocutorie. Kompany, con le sue idee e il suo stile riflessivo, sta cercando di ridefinire l’identità tattica del club. Ma lo scontro tra tradizione e rinnovamento, tra storia e innovazione, è ancora in atto.

Il ritorno a San Siro del 16 aprile non sarà solo un quarto di finale di Champions League. Sarà un verdetto sul presente e, forse, sul futuro del progetto Kompany. Perché per il Bayern, come per i suoi tifosi, il tempo della sperimentazione ha una scadenza breve. E la storia – in Baviera più che altrove – non ammette pazienza senza gloria.

BIO: Federico Locarno, 20 anni, è uno studente di Management dello Sport con una grande passione per il calcio. Scrive articoli circa da due mesi e  si dedica con entusiasmo e curiosità ad esplorare e analizzare il mondo del calcio, sia quello attuale che quello passato. Condividendo quotidianamente i suoi pensieri e approfondimenti sul calcio tramite Instagram e LinkedIn.

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