Erano in tantissimi quel giorno all’Arena Civica in Milano.
Erano in tantissimi a sentire i rumori delle pale agitate dagli I-AGUV di Augusta Elicotteri che da lontano arrivavano per condurre come “Valchirie” i futuri campioni d’Italia, d’Europa e del Mondo, sulle note di Wagner. Si parlò di stupore, di scena da film, anche di megalomania.
Qualcuno affermò, qualche giorno dopo, che gli elicotteri sarebbero serviti a scappare dopo la prima sconfitta; a pensarci, Maurizio Mosca, grandissimo quanto pittoresco giornalista protagonista delle domeniche a tavola con “Guida al Campionato”, col suo pendolino ne ha sicuramente azzeccate più.
Quel giorno solamente il sole si nascose, quasi come a riposarsi perché di lì a poco, avrebbe illuminato moltissime domeniche pomeriggio, baciando “i belli” della squadra più bella di sempre. Una simbiosi che stava nascendo, quella tra i tifosi Rossoneri, ed il Presidente della nostra squadra: Il MILAN. Quel pomeriggio c’era un enorme “Grazie Silvio” all’Arena Civica: grazie di essere arrivato, grazie di averci acquisito. Semplicemente, grazie di essere te.
Silvio Berlusconi il visionario. Silvio Berlusconi l’utopista Silvio Berlusconi il sognatore.
In tutto. Dall’imprenditoria edile, alle televisioni, e da quel 20 Febbraio 1986, allo sport. Il Presidente concesse un’intervista negli studi dell’allora Fininvest durante la quale parlò subito di concetti, di modus operandi e di obiettivi, principalmente due:
1- “Vorremo fare una squadra che duri nel tempo, che possa ritornare con stile, con classe
e con cuore sulle scene nazionali e internazionali per ridare al Milan la sua tradizione e
dare ai tifosi rossoneri quello che il cuore dei tifosi ha dato al Milan”.
2- “Il mio motto è essere più forti della sfortuna, delle ingiustizie e dell’invidia”.
Sappiamo tutti, di cosa furono capaci quegli uomini scesi dagli I-AGUV in quel pomeriggio tanto uggioso quanto premonitore, non dobbiamo certo raccontarlo, anche se parlandone a distanza di quasi 40 anni, ci verrebbe ancora da stropicciarci gli occhi.
Parlando di quel Milan, in primis cosa ci viene in mente? Beh semplice: le vittorie, le notti Europee, i palloni d’Oro, gli esodi del popolo rossonero con una città (Milano) che si trasferiva in un’altra (Barcellona), le trombette alle 4.30 mattutina di Tokyo a fare da sottofondo alle voci di Bruno Longhi e Roberto Bettega, e tanto, tanto altro. I tre Olandesi, la difesa imperforabile: Tassotti – Costacurta (Filippo Galli) – Baresi – Maldini… ecco. Inizio a stropicciarmi gli occhi. Meglio fermarmi.
Però torniamo un attimo indietro, torniamo a quell’intervista di Berlusconi e soffermiamoci non alle intenzioni di fare del Milan una squadra che duri nel tempo, ma a quella frase che recitava “più forti della sfortuna, delle ingiustizie e dell’invidia”. Possibile che parlando di una squadra tanto forte e tanto bella, che ha vinto tutto ciò che c’era da vincere si possa anche far riferimento a sfortuna, ingiustizia e invidia? Evidentemente, sì. Perché c’è chi (come me) crede nel destino in ogni sua forma, e chi (come il Presidente Berlusconi) possiede la sfera di cristallo. O semplicemente, chi deve arrivare ad un obiettivo, è scritto che talvolta lo debba fare dimostrando tutta la sua forza e tutta la sua superiorità dribblando oltre che gli avversari, anche la sfortuna, l’ingiustizia e l’invidia. Come è successo a quel Milan, in quella stagione culminata il 24 Maggio 1989 quando una città si trasferisce in un’altra. Andiamo con ordine.
1° GOL BELGRADO, 10 NOVEMBRE 1988 STELLA ROSSA – MILAN
In questo ottavo di finale, si parla del “Cul de Sac”, perché ciò che viene in mente a tutti è quello che accadde il 9 novembre, il giorno prima: il giorno della nebbia. Partita annullata al 57’ con gli jugoslavi in vantaggio e ripetuta il giorno dopo. D’altronde il regolamento UEFA di quegli anni era questo, partita da ripetere dal 1’ dal punteggio di 0-0. Ma senza Virdis e Ancelotti entrambi squalificati: espulso, senza che nessuno se ne accorga tranne lui e Pauly il primo, ammonito con diffida il secondo.
In quella ripetizione successe di tutto: frattura alla mandibola per Donadoni per il quale si temette il peggio, e ancora l’arbitro teutonico che divenne protagonista della PRIMA GRANDE SFORTUNA ( o la vogliamo chiamare ingiustizia?) sul cammino del diavolo: Un tiro di Evani venne deviato prima da un giocatore della Stella Rossa, poi Vasiljevic nel tentativo di rinviare la svirgola e crea un clamoroso autogol degno della trasmissione della Gialappa’ Band.
Pallone dentro di un metro abbondante, per tutti. Per Bruno Pizzul, per il Marakanà, per i giocatori della Stella Rossa, per i Rossoneri, per i 100 sostenitori del Milan rimasti dal giorno prima. Ma non per Dieter Pauly. Per lui incredibilmente non era successo nulla. Si andò avanti, più forti della sfortuna, delle ingiustizie e dell’invidia.
Ci pensarono i rigori e Giovanni Galli. Ma anche Rijkaard che vide il giovane 17enne Cappellini designato come 4° rigorista che stava letteralmente tremando. “Mister il bimbo trema se vuole tiro prima io”. ”Sì, ma solo se lo segni”. I retroscena di qualche giorno prima li tralasciamo, ma non tralasciamo Gullit che a fine partita cacciò i dirigenti della Stella Rossa che salirono sul pullman per scusarsi dell’accaduto prima che il Sindaco ed il Presidente fecero lo stesso per salutare i futuri Campioni d’Europa.
2° GOL BREMA, 2 MARZO 1989 WERDER BREMA – MILAN
Ancora maltempo sulla strada del Milan in Coppa dei Campioni. L’urna abbina i rossoneri ai campioni di Germania del Werder Brema con l’andata che si sarebbe giocata a Brema, valevole per i quarti di finale. Arbitra il portoghese Rosa Dos Santos. A metà del primo tempo c’è un calcio d’angolo che come sempre, calcia Chicco Evani. Arrigo Sacchi studiò uno schema grazie al quale Il Milan in quegli anni segna tanti gol: palla sul primo palo, un giocatore prolunga di testa e un compagno di squadra entra e colpisce all’altezza del secondo palo.
Batte Evani, prolunga Colombo e irrompe “Uragano” Frank. Colpo di testa che intercetta sulla linea il numero 6 Hermann che poi in maniera sciagurata colpisce la palla di testa rimasta li davanti a lui. Le sue intenzioni sono quelle di metterla fuori, ma la sfera sbatte sull’incrocio dei pali e poi abbondantemente oltre la linea di almeno mezzo metro. Reck, il portiere, la respinge in campo e Dos Santos non vede nulla. Incredibile.
Anche qui hanno visto tutti tranne chi avrebbe dovuto assegnare la rete del vantaggio. Videro anche i tifosi rossoneri, numerosissimi anche per la folta colonia di italiani in Germania e protagonisti dell’abituale coreografia con abbondanza di drappi, stendardi e fumogeni.
E anche a Brema come a Belgrado, si andò avanti più forti della sfortuna, delle ingiustizie e dell’invidia.
3° GOL MADRID, 5 APRILE 1989 REAL MADRID – MILAN
Il Milan nonostante questi episodi, arriva in semifinale e per rendere la sua cavalcata indimenticabile, il destino mette difronte le due squadre che hanno fatto la storia di questa competizione. Quel destino a cui credo ciecamente. Andata a Madrid davanti a 95.000 spettatori. Per la prima volta qualcuno andò a Madrid facendo la partita per vincerla, non per chiudersi con la speranza di pareggiarla o di vincerla in contropiede.
Il Milan dominò quella gara, anche se andò sotto. Ma mai risultato fu più bugiardo di quella volta. I Rossoneri erano un rullo compressore; azioni su azioni, almeno 6/7 occasioni chiarissime per poter segnare. L’ultima portando Baresi e Rijkaard in area delle Merengues, i due centrali difensivi di quella gara. Ma al 62’ l’arbitro Fredriksson, vede qualcosa che nessuno ha mai capito, forse nemmeno lui: Baresi avanza, da la palla a Donadoni che si inserisce e serve a sua volta centralmente per Gullit che arriva da almeno 4 metri dietro la linea del pallone. Gol! Per tutti, ma non per Fredriksson ed il suo guardalinee che alza la bandierina.
Pizzul incredulo “Ma che fuorigioco, ma quale fuorigioco! Eeeeeehhh”
Incredulo Gullit, increduli i 1.000 tifosi rossoneri messi nella piccionaia del 4° anello, increduli anche Butragueno e Michel che lo confessarono poi a Sacchi qualche anno dopo.
Ci pensò poi Mauro Tassotti qualche minuto più tardi con un cross non proprio pennellato, a cui disse a Marco Van Baste “Arrotati”. Lui fece così, e questa volta la terna svedese non potè fare altro che concedere il gol. Fuori dalla portata di tutti. Oltre ogni legge della fisica.
Noi, più forti della sfortuna, delle ingiustizie e dell’invidia andammo poi oltre tutto ciò con una vittoria straripante al ritorno.
4° GOL BARCELLONA, 24 MAGGIO 1989 MILAN – STEAUA DI BUCAREST
Siamo all’epilogo. Alla Finale, all’esodo, alla storia, al momento in cui “Se perdiamo chi glielo dice a tutta questa gente?”. Ma come fai a perdere? Qualcuno disse che avremmo dovuto uccellarli. Ma per favore. Però, ad un certo punto anche in questa partita, oltre ai 90.000 del Bernabeu (compresi i 22 in campo e agli altri 20 in panchina) anche noi 19 milioni e 673 mila davanti alle televisioni fummo colti da un “leggerissimo sospetto”. Palla a Van Basten che gira a Tassotti che vede partire Gullit, sempre lui. L’uomo del 62’ minuto di di Madrid. Tassotti gliela da, lui arrivato sul fondo la mette in mezzo e Van Basten segna l’1-0. Anche qui, la giacchetta nera tedesca Karl-Heinz Tritschle, coadiuvato dai suoi collaboratori, dice che c’è qualcosa che non va. Ruud, come si evince nell’immagine sotto, partì addirittura dietro a due difensori della Steaua.
Il resto è storia, 4-0. Arrivati ad una certa, ce ne siamo fatti una ragione. Ci ha provato il destino, ma noi lo abbiamo beffato. Così come abbiamo beffato poi tante volte chi disse che gli elicotteri, modello I-AGUV ci sarebbero serviti per scappare dalla prima sconfitta. Ci hanno provato eh, qualche entità soprannaturale ha provato ad ostacolarne il cammino.
Ma in campo non c’erano 11 giocatori, ma 11 gladiatori, 11 eroi, guidati in panchina dal “Profeta di Fusignano” e sospinti da un Presidente che a sua volta ne aveva profetizzato i loro destini solo 3 anni prima. Quando Silvio Berlusconi, negli studi Fininvest, disse che avrebbe voluto una squadra più forte della sfortuna, delle ingiustizie e dell’invidia.
BIO: Diego Canavero, classe 1980 di Torino e Milanista prima di nascere.
Esserlo nella città degli juventini è ancora più bello soprattutto dopo il 28 maggio del 2003, devo spiegarne il perché? Sono un progettista nel settore automotive, marito felice di Etta e papà di due splendide bambine, Elisa ed Alessia, Rossonere come me. Ho un debole per la Coppa Intercontinentale, soprattutto per le trombette elettroniche di Tokyo, ma non chiedetemi il perché. Colleziono maglie del Milan che appendo nel mio studio-museo.
Una risposta
Leggo con grande piacere questo articolo ma mai avrei pensato di conoscere l’autore. Sempre preciso nei racconti amarcord! A presto!