PENSIERI SPARSI CHE MI SONO FRULLATI IN MENTE MENTRE ASCOLTAVO MASSIMO RECALCATI PARLARE DI SCUOLA.
Le rare volte che Gian Carlo Pajetta appariva in TV, sempre mia madre richiamava l’ attenzione di me bambina: “Vedi, lo sguardo di un uomo onesto buca lo schermo, è capace di dire tutto”. Questa demarcazione, che rendeva netti i confini del suo mondo duale di sani e corrotti, favoriva in me una curiosa predisposizione all’OSSERVAZIONE.
Gian Carlo Pajetta
Ragionando l’altra mattina con Mister Giacometti sul “COSA POTER FARE” nei settori giovanili del calcio, infatti, ci appariva chiarissima una delle MISSION : INDIVIDUARE le CARATTERISTICHE PROPRIE di un giocatore, VALUTARE LE SUE POTENZIALITÀ, riuscire ad avere la VISIONE ANTICIPATORIA di quello che potrà fare in campo nel MICROCOSMO di una squadra e nel MACROCOSMO di una partita in particolare o del gioco in generale.
Far di tutto per FAVORIRE LO SVILUPPO di queste “promesse in incubazione”, con adeguata reciproca soddisfazione, è quello che si richiede ad un MISTER: PREDISPORRE adeguati SCENARI affinchè ciò possa avvenire. Trasformare il campo ed i suoi spazi in tanti PLATE COUNT AGAR e non in parcheggi scambiatori in cui far transitare giocatori attraverso categorie, dai piccoli amici alla juniores e poi ciao, è stato bello finchè è durato.
Giostrame che non di rado osserviamo. Perché esiste una forza potente nel sistema calcio che destabilizza quel terreno fertile, creando delle spaccature in cui rapidamente si infila una logica finanziaria di scarso profilo etico, in cui il “giocatorino” serve in quella posizione per vincere qui ed ora, nel ruolo UTILE alla società sportiva intendo, imbragato in una divisa lontana anni luce dalla sua taglia potenziale, che lo incastra in un RPG ( Role Playing Game ) e lo costringe a interpretare l’ avatar di un gioco che non gli appartiene per niente. Magari nel fugace spazio dell’essere fuoriquota. Sotto la tutela di uno “special-one de noaltri”, soddisfatto di veder applicate non solo le “proprie” idee ma anche, e alla perfezione, esercizi meccanicamente provati e riprovati, poi nel match rigurgitati precisamente come erano scaturiti nella sua fervida mente di replicante.
Altro che complessità, quella “robaccia” da webinar…in molte delle realtà, “nel transito tra l’insegnamento e l’apprendimento, meno roba c’è e meglio è, meno rumore, deviazione, deformazione, instabilità, variazione, generatività c’è e meglio è”. Altro che DIFFERENTIAL LEARNING….Per il futuro, se la vedranno i Mister che verranno!
E, a distanza siderale dall’ostinazione del buon pastore che le vuole tutte e 100 le pecore e non solo 99, in partenza per cercare caparbiamente quella perduta, una troppo condiscendente FIGC, consapevole dei tritacarne denominati campionati, pur conoscendo i numeri degli abbandoni, delle migliaia di promesse evaporate e rapidamente dimenticate, poco si cura del gap tra i programmi di formazione dei formatori e le richieste della realtà. Pronta sempre però a blastaren(attaccare, deridere…) i Mister delle giovanili con gli stessi toni sorpresi e amareggiati di un amante tradito, addossando loro colpe come “ la carenza di attaccanti di talento, totalmente incapaci di vedere, di attaccare la profondità di calciare di potenza o di azzardare il colpo di testa.” ( Vado citando a memoria )
ESSERE MISTER non è cosa facile. Arduo certamente riuscire ad acquisire tutti i SAPERI necessari, nel breve spazio di un percorso formativo. ESSERE MISTER necessita di un grande sforzo di studio e formazione per scorporarsi dalla logica del pensiero unico ed allontanarsi dal proprio punto di vista. Per poi tornarci. Forse. E man mano che gli anni ed i campionati si accumulano provare a non paralizzare le competenze acquisite in un “VADEMECUM di ESERCITAZIONI CHE HANNO FUNZIONATO”, rendendole così immutabili e imperiture.
ESSERE MISTER significa provare ad acquisire uno sguardo d’insieme, DIVENTARE BRAVI NEL “COMPLESSIFICARE LA VISIONE” ( Domenico Gualtieri in uno dei suoi illuminati interventi, non ricordo neanche più quale, tra i tanti ). Ma allo stesso tempo non demonizzare o dimenticare tutte quelle cose utili e sperimentate che prima si facevano, sacrificandole sull’altare nelle nuove mode. Anzi, prendersene cura, tutelandole come patrimonio da trasmettere, tirandosele dietro come la rete impolverata dei palloni da infilare nel deposito attrezzi a fine allenamento. Perché nell’insegnamento e nell’apprendimento non esistono sensi unici ed ogni giocatore va osservato nei suoi limiti e nei suoi progressi
proprio grazie anche a quel lavoro che, anni fa, un lungimirante Massimo De Paoli aveva classificato con un codice alfanumerico non rigido ma inserito in una complessa narrazione in cui era il giocatore a ricercare con consapevolezza cose utili ed efficaci per sé stesso e per la squadra, a “VEDERE IL VUOTO COME UN PIENO DI POSSIBILI,” sua citazione che risale agli ultimi anni del secolo scorso. No, per dire.
E’ quindi decisamente giunto il momento di tagliare i tempi, di scorporarsi dei binari morti, degli ammennicoli di un apparato autocelebrativo ed affidare ad alcune felici menti e alle chiare indicazioni di chi avanti ci è arrivato per merito e non teme di mostrare ciò che davvero serve, TUTTO IL COMPARTO FORMAZIONE. Non dimenticando mai, come dice Carlo Ancelotti che “ Io NON SONO un allenatore, io sono una persona ( in primis ) che in seconda battuta interpreta il mestiere di allenatore”.
Pep Guardiola e Carlo Ancelotti
La formazione dei formatori è questione complessa, di certo in questo tempo è mancato qualcosa. E quel qualcosa che è mancato, non è neanche facilmente sintetizzabile o prescrivibile come un farmaco e la sua terapia. Fermiamoci un attimo a pensare : quanti concetti siamo stati in grado noi di assimilare dopo anni di webinar, letture, visioni di video, allenamenti, partite, confronti, aggiornamento? Come è cambiata la nostra didattica dopo tutte queste ore di pedagogia sommersa? Quanti metri lineari distano ancora le nostre proposte dal gioco giocato, lacrime e sangue? L’ ACCADERE EDUCATIVO, questo servizio-navetta tra teoria e pratica di campo non è né scontato né tantomeno garantito. Anzi, quando capita ha del MIRACOLOSO, siamo sul terreno minato di un’impresa paradossale: provare a PROGETTARE L’IMPREVEDIBILE. O IL NON PREVEDIBILE DEL TUTTO. Per quanto “l’inimmaginabile, in quanto tale, è per forza anche immaginabile” ( Edoardo Albinati ). O qualcosa di simile.
Perché poi nella complessità bisogna saperci stare. Ci si riesce un po’ dopo che la vita calcistica, e non solo quella, ci ha costretto a ruminare, rimasticare e poi digerire l’elaborato menù scelto. A capire che non tutto e non sempre deve essere immediatamente utile e spendibile. Che la posizione in classifica conta e non conta. Che tutte le parole che escono dalla bocca del Mister ed entrano nell’orecchio del giocatore non serviranno forse a fare goal questo sabato. Passare questo messaggio ai ragazzi delle nostre squadre che sono lì, di fronte a noi, ciascuno con il proprio stile attentivo e di apprendimento non sempre riesce. Eccetto in quei momenti unici che sono appunto momenti. Quei rarissimi effetti FLOW di un mondo che indica sempre, sempre furbe scorciatoie. Ed una certezza però: che lui, il giocatore, non è solo in questo tragitto, perché l’allenatore c’è e ci sono anche i suoi compagni : nell’immaginario di questi attori da campo l’idea che la squadra stia crescendo e nel frattempo funzioni nerfando (depotenziare) le fragilità private e comuni, non risulta per niente peregrina. E’ quella luce che la radura lascia intravedere.
Non sono pochi per fortuna coloro che sono scesi in campo lanciando sul piatto la propria idea riguardo la spinosa questione. Abbiamo riempito le librerie, è vero, anche di “copie di mille riassunti”, pacchetti preconfezionati da gente che non gli riesce di partorire una propria originale idea neanche sotto tortura, che non cita, non virgoletta, pensando di farla franca; con trepidante entusiasmo, però, ci siamo anche ritrovati a leggere o ad ascoltare contributi decisamente efficaci di giovani menti ( dato non esclusivamente cronologico )…cose utili, magari imperfette, a volte. Ma proprio in quanto incomplete, generative al contempo di ulteriori dubbi, domande, riflessioni, di quell’insopprimibile voglia di andare oltre, di cercare, di rimboccarsi le maniche. Di applicarli, quei concetti lì, proprio nella seduta di questa sera, proponendoli ai ragazzi della squadra, con tutti i dubbi di cui un educatore raramente si libera: “Avrei potuto o dovuto dargli di più? Dovevo dirgli di meno? Quello che è troppo per un giocatore è troppo anche per gli altri? Cosa dimenticare? Cosa mantenere? Quale il necessario e quale il superfluo?”
PARTIAMO. La traccia anticipata lo scorso articolo, si snoda attraverso 4 spunti su cui riflettere. Necessari, forse, per arrivare a quella “radura educativa che rende possibile l’esperienza di un APERTO, di una luce, dell’incontro con l’imprevedibile “, ( metafora scaturita dal geniale pensiero di Massimo Recalcati. )
1. L’ALLENATORE VA PENSATO COME UN GAME-DESIGNER, PROGETTISTA DI EFFICACI VINCOLI. OK. MA BASTA? Quando ancora ero insegnante all’Itis, con gli adolescenti che mi erano toccati in sorte come alunni, ci tuffammo in un Progetto denominato <DESIGN THINKING TRA I BANCHI>, relativo ai SISTEMI APERTI: chiunque o qualunque cosa cioè interagisca e comunichi con l’ambiente comprendendo che per sopravvivere e sviluppare ci si deve ADATTARE CONTINUAMENTE. Per poi GENERARE. In sostanza lo scopo era quello di riuscire a sviluppare un PENSIERO PROGETTUALE, immaginando cose che potevano andare in modo diverso. Un approccio particolare al problem solving centrato sull’utente, in cui l’INNOVAZIONE non scaturisce rigidamente dalle ricerche di mercato bensì dalle PERSONAS, i cui comportamenti vengono esaminati e scandagliati in relazione a bisogni reali, ricercando idee che portino a soluzioni migliori.
Il pensiero integrativo è la chiave di questo percorso, la capacità di scandagliare tutti i diversi aspetti di una questione. Il Design Thinking è quindi la modellizzazione di un processo capace di riattivare, allenare e migliorare capacità che abbiamo sempre avuto ma che abbiamo in parte perso anche per colpa del “si è fatto sempre così”, dimenticando che i modi con cui facciamo qualcosa sono un’invenzione umana e, come tutte le creazioni umane, possono e devono essere migliorati, cambiati e anche, se necessario, abbandonati.
Nel pensare in modalità UNCONVENTIONAL migliora la capacità di prendere decisioni ed anche la qualità e l’efficacia delle decisioni prese abbattendo drasticamente i rischi, favorendo la possibilità di analizzare i problemi anche con la visione creativa, tipica del design strategico, creando una cultura di innovazione. Nel DT si lavora in un processo multifase e non lineare noto come FUZZY FRONT END, con costante interazione e apprendimento. Facile commisurare il processo DT a tutto quanto avviene sul rettangolo verde.
Rimandando ad eventuali momenti altri i dettagli di queste ricerche, vorrei incanalare l’attenzione verso quello che viene chiamato REFRAMING DEL PROBLEMA saltando anche qui a piè pari PNL annessi e connessi e prendendo di tali questioni solo gli aspetti strumentali. Durante una partita od un’azione di gioco il calciatore è chiamato continuamente a “ ricentrare la cornice “ del suo quadro, ricalcolare e rimasticare tutto ciò che sente, osserva e vede non come cose inanimate ma come elementi funzionali al suo gioco, in una tempesta incessante di FEED-FORWARD IN TEMPO REALE ( e non di FEED-BACK, per favore, che rappresentano il THE END di un percorso ). Impatterà ogni istante con differenti, INFINITE AFFORDANCES che si aprono e poi scompaiono rapidamente come le pepite del più avvincente videogame chiamato partita e che, secondo James Jerome Gibson lo vincolano o lo controllano permettendo la fuoriuscita dal pantano di comportamenti inattesi. Indicazioni del tutto private, ad hoc, perché ciascuno, delle offerte del contesto ne vedrà alcune e ne scarterà altre, esattamente come il manico di una tazza ci invita ad afferrarla da lì, la tazza, se vogliamo evitare l’ustione. Come faceva Giacomo Jack Giacchetta quando a 5 anni indicava con il suo ditino ai colleghi seienni della squadra, dove voleva che gli venisse servita la palla.
In sostanza l’allenatore NON DEVE SOLTANTO progettare, in vista della seduta di allenamento, scenari ricchissimi di AFFORDANCES e opportuni VINCOLI, generatori di VARIABILITÀ, che costringeranno il giocatore a ricercare soluzioni per risolvere i suoi problemi. Negli ambienti allenanti da lui proposti, decisamente replicanti il gioco reale, l’allenatore DEVE CONTEMPORANEAMENTE ED EFFICACEMENTE IMMERGERSI LUI STESSO, ESSERNE PARTE INTEGRANTE. OSSERVARE DA DENTRO LA SITUAZIONE, consapevole che la stessa potrebbe evolvere in maniera imprevedibile, esattamente come inaspettato risulterà il gioco nell’interazione di tutte le sue componenti.
L’ALLENATORE DELLA COMPLESSITÀ non sarà quindi solo l’ ideatore di un Sudoku di cui già conosce le risoluzioni, casella per casella, scritte su un libretto di istruzioni preconfezionato, ma sarà chiamato anche lui a risolvere il problema/i di gioco, scandagliando ogni opportunità. Giudicando fattivamente se la sua proposta è attinente al contesto oppure è scivolato palesemente fuori tema. Il campo non mente. Zaccheroni non si stancava di dirmi che il Mister si gioca tutto nel momento in cui entra ed esce dal tunnel tra primo e secondo tempo. Le decisioni che dovrà prendere in base alle responsabilità del suo ruolo saranno tante e avranno un peso. A queste si dovranno aggiungere anche la capacità di stare sul pezzo ed il saper sostenere i suoi giocatori nel ricercare soluzioni, generandole anche lui in TEMPO REALE. E’ nel RAPPORTO COMPLICE e SCAMBIEVOLE tra allenatore e giocatore quindi che si potrà scoperchiare questa MISTERY BOX denominata gioco: NON È UN GUARDARSI RECIPROCO come spesso si è sostenuto delineando i ruoli educativi ( docente-discente ) ma è un guardare insieme UNA TERZA COSA che avviene in campo e che non sarà neanche la stessa cosa che vedranno entrambi per un’infinita serie di questioni che implicano capacità percettive, esperienza e competenza di gioco, genetica, neurologia e compagnia cantando, capacita’ di problem solving e di decision making, di awareness, in sintesi una DIVERSA ORIGINALISSIMA INTELLIGENZA DI GIOCO.
UNA TERZA COSA. UN’ ULTERIORE COSA. Perché lo spazio-tempo stravolge tutto e tutti. E sebbene il numero 3 contenga anche per me il suo mistero in termini qualitativo-metaforici, il riferimento è davvero casuale.
Non casuale invece dovrà essere la competenza e la consapevolezza dell’allenatore relativa al fatto che mentre lo spazio-tempo si dilata o si restringe, la percezione del/dei giocatori cambia. Yayoi Kusama. Infinito Presente -Bergamo
Quindi in un millimetrico spazio e in un infinitesimale tempo avverranno continui re-framing e inevitabilmente anche la decisione sul “cosa fare” cambierà. Per chiarezza allego un piccolo imperfetto modello che risale ad un lavoro del 2016 in cui tentavo, misera me, di semplificare i pensieri del giocatore nel sensibile momento della cosiddetta transizione ( oggi so, sappiamo, che la transizione non è soltanto una fase, che all’interno della stessa si specificano infiniti dettagli, momenti e alternanze che permettono al giocatore di sfruttare lo spazio nel tempo eccetera eccetera eccetera).
Non mi dilungo neanche sulla percezione di quanto accade e sulla relazione tra attenzione, concentrazione ed elaborazione delle informazioni, felicemente intuita da Robert D. Nideffer , teoria che a lungo mi prese negli anni 2000 e che si può ritrovare nell’articolo INCREDIBILE EQUILIBRIO del 2008 : TEST TAIS ( Test of Attentional and Interpersonal Style ). Onore a Nideffer, ancora attualissimo viste le recenti acquisizioni neuroscientifiche.
Il TAIS è composto da 144 item che descrivono situazioni e 17 scale: 2 sul controllo comportamentale e cognitivo, 9 sullo stile interpersonale e 6 sullo stile attentivo. Sulla base dell’interpretazione del profilo delle Scale Attentive è possibile ricavare 6 stili:
-BET focus attentivo esterno ampio:atleti che si descrivono capaci di integrare efficacemente molti stimoli esterni nello stesso tempo.
–OET sovraccarico di stimoli esterni:più alto è il punteggio più l’atleta compie errori dovuti a confusione e a sovraccarico di stimoli esterni
–BIT focus attentivo interno ampio:un alto punteggio indica che l’individuo si considera capace di integrare efficacemente idee ed informazioni provenienti da aree differenti
–OIT sovraccarico di stimoli interni:più è alto il punteggio, più l’atleta compie errori perché si confonde pensando a troppe cose contemporaneamente
–NAR focus attentivo ristretto:più è alto il punteggio e più l’atleta si percepisce capace di restringere il focus attentivo quando è necessario-RED focus attentivo ridotto:un alto punteggio indica che l’atleta commette errori dovuti ad una restrizione eccessiva del focus attentivo ( E.Macci )
William Turner Tempesta di neve. Battello a vapore al largo di Harbour’s Mouth
“Visto dal fondo il mare non è mai in tempesta”
I primi tempi che nel calcio si sentì parlare di Match Analisys andai in delirio. Presi proprio una gioiosa sbornia per questo mezzo formidabile che permise ai segreti metabolici di disvelarsi, di conoscere esattamente il modello prestativo in partita. Nonostante fossi del tutto convinta che il quid del gioco calcio non potesse confondersi con il numero di ripetute ad alta velocità e con gli spigoli di campo più frequentemente calpestati la ritenni e la ritengo attualmente qualcosa di indispensabile per il giocatore che mette il piede in campo al fine di presentarsi al meglio della cosiddetta “condizione”. I “PREPARATORI” non hanno più scuse insomma. Questo in teoria. Si è ovviamente rivelato un insostituibile strumento per leggere analiticamente l’azione mentre avviene ed anche post. Il tempo però, che ci permette di riflettere sugli avvenimenti, negli anni mi ha indotto a pensare all’effetto rebound di questo mezzo che si basa su dati parcellizzati, estrapolati e categorizzati come infiniti frammenti di un unicum che non deve invece essere vivisezionato, il gioco, e di una totalità di componenti dei quali il giocatore è la sintesi.
Perché insinua in maniera latente una filosofia che stride con la COMPLESSITA’ e che disgiunge ancora una volta le azioni “ fisiche” dal resto. Da tutto il resto. Che si frappone tra l’occhio di chi legge azioni e posizioni ed il naturale fluire del tempo, condizionando anche la più felice delle caratteristiche, quella di osare una giocata, un passaggio coraggioso, concretizzare un’originale intenzione in una presa di decisione ardita. Per paura, da parte del giocatore, che possa concludersi non bene e quindi di conseguenza essere incasellata tra gli ERRORI DI GIOCO. E la paura non fa crescere. Sbilanciarsi fa crescere perché ci fa sentire decentrati, un noi ma in un altro modo. Divertirsi fa crescere. Questo sarà il secondo punto intorno al quale proverò a raccogliere i prossimi pensieri sparsi. STAY TUNED, CONTINUA..
BIO Simonetta Venturi:
- Insegnante di Scienze Motorie.
- Tecnico condi-coordinativo in diverse scuole calcio e prime squadre del proprio territorio ( Marche )
- Ha collaborato con il periodico AIAC L’Allenatore, con le riviste telematiche Alleniamo.com, ALLFOOTBALL.
- Tematiche: Neuroscienze, Neurodidattica
Una risposta
👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏👏sempre bello e interessante leggere e ascoltare….. credo che il calcio è in continuo cambiamento quindi bisogna stare sempre attenti, e ricercare in continuazione con l’aiuto dei ragazzi in campo nuove soluzioni per migliorare sempre il propio lavoro sul campo. Grazie