ARPAD WEISZ, IL MAESTRO DEL “SISTEMA” RELEGATO NELL’OBLIO

La Treccani definisce «oblio» il “processo naturale di perdita dei ricordi per attenuazione, modificazione o cancellazione delle tracce mnemoniche, causato dal passare del tempo tra l’esperienza vissuta, o meglio tra ciò che ha avuto luogo a livello psichico in relazione a tale esperienza, e l’atto del ricordo”.

Quando non si parla di una persona per tanto tempo ci si dimentica della stessa perché di questa non si hanno più notizie. In pratica, questa persona finisce nel dimenticatoio e solo per un istante ci si ricorda di lei, magari dopo anni. La cosa più brutta che possa accadere ad un individuo è l’essere dimenticato, cadere nell’oblio.

Il protagonista della nostra storia è finito nell’oblio per 69 anni. Una vita. Per anni nessuno si è mai chiesto che fine avesse fatto, dove vivesse, se fosse ancora vivo. Questa persona è stata un ex giocatore e soprattutto un allenatore che ha scritto una grande pagina di calcio tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta: Arpad Weisz.

Gli anni da calciatore. La chiamata in guerra. L’esperienza in Nazionale

Arpad Weisz nacque il 16 aprile 1896 a Solt, un paesino a ottanta chilometri da Budapest, allora facente parte dell’Impero austro-ungarico. Figlio di Lazzaro e Sofia, è chiamato così in onore di “Arpad”, capostipite degli Arpadi principe degli Ungari, la famiglia regnante in Ungheria tra l’896 ed il 1301.

Sin da subito, Arpad Weisz si appassiona al gioco del football. Di calcio allora non si viveva nell’Impero austro-ungarico ed il giovane Arpad si iscrisse, dopo il diploma liceale, a giurisprudenza: lo scoppio della Prima guerra mondiale lo portò all’arruolamento e partì volontario dove venne catturato dai soldati italiani nel corso della IV battaglia dell’Isonzo sul Monte Mrzli, nei pressi di Tolmino (oggi in Slovenia).

Tornato a casa, si diede ancora al calcio ma nel suo “nuovo” Paese, l’Ungheria.

Tra il 1919 ed il 1923, Weisz giocò nel Törekvés Budapest e l’anno dopo con i cecoslovacchi del Maccabi Brno, una squadra cecoslovacca. Nel 1924 Weisz prese parte alle Olimpiadi di Parigi dove i magiari superarono la Polonia (5-0) nel turno di qualificazione perdendo poi negli ottavi contro l’Egitto (3-0). In Nazionale Arpad Weisz giocò complessivamente sei partite, tra cui l’amichevole contro l’Italia il 4 marzo 1923 a Genova e terminata 0-0.

L’arrivo in Italia da calciatore: Alessandria e Inter

Erano gli anni in cui il cosiddetto “Calcio danubiano” (giocato tra Germania, Austria, Cecoslovacchia e Ungheria) era il modello e lo stile di gioco più innovativo, copiato ed ammirato. Tutti si appassionarono a quel tipo di calcio praticato in quella parte di Europa, cercando di carpirne i segreti tecnico-tattici.

Weisz, cresciuto a pane e “Calcio danubiano”, arrivò in Italia nella stagione 1924/1925 acquistato dall’Alessandria allora militante nel girone B di Lega Nord della Prima divisione, la “nonna” dell’odierna Serie A. Anche il Padova aveva in squadra un altro “Weisz”, ma questo si chiamava Dionisio ed era rumeno (anche se quando lui nacque la Romania non esisteva e faceva parte dell’Austria-Ungheria). Dopo l’anno alessandrino, Weisz passò all’Inter dove disputò undici gare nel torneo di Prima divisione 1925/1926, segnando tre reti. Weisz però si infortunò al ginocchio, riuscì a tornare in campo, ma poi si dovette ritirare: se si fosse infortunato oggi, magari dopo poche settimane o pochi mesi sarebbe potuto tornare in campo, ma la chirurgia della fine degli anni Venti non era come quella di oggi.

La carriera da allenatore: Alessandria, Inter (tre volte) e Novara

Uno come lui, un appassionato, un perfezionista, non poteva rimanere fuori dal mondo del calcio e decise di fare l’allenatore.

La prima esperienza su una panchina Arpad Weisz la fece in Italia, diventando il vice- di Augusto Rangone (Commissario tecnico della Nazionale italiana tra il 1925 ed il 1928) nell’Alessandria nella stagione 1925/1926 dove conquistò il 10° posto nel suo girone.

Il salto di qualità Weisz lo fece la stagione successiva (la 1926/1927), quando lo chiamò l’Inter del presidente Senatore Borletti dove sarebbe stato primo allenatore e non più un vice-. Weisz, ad appena 30 anni, si dimostrò un innovatore e non solo perché usava il Sistema, ma anche perché cambiò i metodi di allenamento e la preparazione fisica e mentale dei suoi giocatori. Per intenderci: entrava in campo durante gli allenamenti, urlava, spronava, consigliava, indossava tuta e scarpini e giocava anche lui.

Nelle due stagioni interiste (1926/1927 e 1927/1928), l’Inter di Arpad Weisz chiuse al quinto e al settimo posto nella Divisione nazionale, la “mamma” dell’odierna Serie A. L’Inter nel 1928 si fuse con la US Milanese diventando “Ambrosiana”. Il motivo era dovuto al fatto che il regime fascista, allora al potere in Italia, non tollerava nomi stranieri o che potessero richiamare al comunismo e al socialismo e quindi la squadra prese quel nome. Anche per quel motivo il suo cognome mutò in “Veisz” perché la “W” era una lettera straniera.

Nella stagione 1928/1929 Weisz tornò in Ungheria per allenare l’Haladás di Szombathely, il paese della compagna Ilona. Soggiornò anche in Sudamerica: si stabilì in Uruguay che aveva la Nazionale di calcio più forte del Mondo del tempo (la Celeste) in quanto aveva vinto due ori olimpici consecutivi (Parigi 1924 e Amsterdam 1928) e la prima edizione della Coppa Rimet (l’attuale Campionato del Mondo di calcio) nel 1930.

Gli anni Trenta in Italia furono il periodo in cui il calcio uscì dal pionierismo per diventare lo sport più seguito: gli italiani, anche grazie ad un interesse maggiore da parte di giornali e radio, si innamorarono follemente di questo sport nato meno di un secolo prima in Inghilterra. Anche grazie al fascismo nacquero stadi ed impianti che servirono ad unire l’attività sportiva alla parata di regime. “Uno stadio in ogni città” era (in pratica) il claim del partito fascista in quel periodo ed in ogni città si costruirono in tempi brevi impianti molto grandi. La propaganda poi fece il resto.

Il calcio italiano abbracciò il professionismo: non era più un hobby, non più una cosa da pionieri, ma diventava serio e portava società, allenatori e giocatori a guadagnare diverse migliaia di lire. Cambiava tutto: schemi, tecnica, approccio.

Nella stagione 1929/1930 si disputò il primo campionato di Serie A (il trentesimo in totale) a girone unico, dove in un solo girone erano comprese diciotto squadre di tutta Italia da Nord a Sud. A vincere fu l’Ambrosiana Inter guidata in attacco da un ventenne che si diceva essere un predestinato del calcio, Giuseppe Meazza. E proprio Weisz lo “tolse” dalla formazione giovanile e lo fece giocare stabilmente in prima squadra: 31 gol e vittoria della classifica marcatori.

Weisz rimase all’Ambrosiana tra il 1929/1930 ed il 1930/1931, vincendo uno scudetto (il terzo della sua storia dopo quello del 1908 e del 1920) ed ottenendo un quinto posto. Durante gli anni interisti, Weisz sposò, il 24 settembre 1929, a Szombathy, la connazionale Ilona “Elena” Rechnitzer. Il 7 luglio 1930 a Milano nacque il loro primogenito, Roberto.

Nel 1930, in collaborazione con Aldo Molinari, allora dirigente nerazzurro, Weisz diede alle stampe “Il giuoco del calcio”, un manuale calcistico che ebbe la prefazione di Vittorio Pozzo: Molinari trattò la parte regolamentaria, Weisz quella sui principi di gioco, le basi tecniche, i metodi di allenamento e i ruoli in campo.

Nella stagione 1931/1932, Weisz allenò il Bari alla prima stagione in massima serie: fu un campionato difficile che vide i pugliesi lottare tutta la stagione per non retrocedere. Il Bari si salvò tramite la vittoria nello spareggio salvezza del 16 giugno 1932 contro il Brescia: “galletti” salvi e Weisz che divenne l’idolo (calcistico) della città di San Nicola.

Weisz tornò poi ancora una volta all’Inter nel biennio 1932-1934, chiamato da Ferdinando Pozzani dove raggiunse due volte il posto in classifica dietro alla Juventus e perdendo la finale di Coppa dell’Europa centrale del 1933 contro l’Austria Vienna di Matthias Sindelar, il giocatore europeo più forte del tempo. Quella fu la sua ultima stagione sulla riva interista del Naviglio.

Nell’estate 1934 Arpad Weis si spostò di 50 chilometri verso ovest dalla “sua” Milano ed accettò l’offerta del Novara, in Serie B, conducendo la squadra al secondo posto in classifica a tre punti dal Genoa. Rimase in Piemonte fino al gennaio 1935. L’anno dopo il Novara, con mister Imre Bekey, sulla base di quanto impostato dallo stesso Weisz, arrivò secondo in campionato dietro la Lucchese (a pari punti) e venne promosso per la prima volta nella sua storia. in Serie A.

Il 2 ottobre 1934 nacque a Milano la secondogenita di Arpad e “Elena” Weisz, Clara.

Gli anni sotto le Due Torri: ”lo squadrone che tremare il Mondo fa”

Nel gennaio 1935 Arpad Weisz passò al Bologna del presidente Renato dall’Ara
Nel club felsineo l’allenatore ungherese prese il posto del connazionale Lajos Kovács. Nella città di San Petronio nacque il mito di Arpad Weisz.

La Bologna del 1935 era una Bologna ricca e sportivamente avanzata: l’impianto principale era lo stadio “Littoriale” (inaugurato il 31 ottobre 1926 alla presenza di Benito Mussolini) con oltre 50mila spettatori, fiore all’occhiello dell’architettura fascista locale e nazionale. Il Bologna, nato nel 1909, fino alla stagione 1933/1934 aveva vinto due titoli nazionali e due volte consecutive la Coppa dell’Europa Centrale. Con la nascita della Serie A, il massimo raggiunto dalla squadra fu un secondo posto e due terzi posti. La prima metà stagione di Weisz sotto le due Torri vide la squadra arrivare sesta in campionato.

Weisz allenò il Bologna per tre stagioni e mezzo portandolo a vincere due scudetti consecutivi (1935/1936 e 1936/1937) ed interrompendo il dominio juventino di cinque scudetti consecutivi. Il Bologna venne definito “lo squadrone che tremare il Mondo fa”. Weisz portò il Bologna anche sul tetto d’Europa vincendo, il 6 giugno 1937, il Torneo dell’Esposizione internazionale di Parigi sconfiggendo in finale il Chelsea. Era il Bologna di Andreolo, Biavati, Sansone, Reguzzoni e Schiavio.

Bologna capitale del calcio italiano ed europeo? Assolutamente sì. La fama di Weisz superò i confini nazionali, anche perché il suo Bologna si era “permesso” di battere una squadra inglese, loro che non volevano giocare contro le squadre europee “continentali” perché si ritenevano i “maestri” e i “maestri” non giocavano contro gli “allievi”. Il Bologna, dopo quell’importante vittoria, ricevette anche un encomio dal parte di Benito Mussolini, contento (forse) più del fatto che una squadra italiana avesse sconfitto una inglese.

Weisz divenne il porta-bandiera del Sistema, l’innovativo modulo inventato dall’inglese Herbert Chapman che faceva proseliti in tutta Europa e che si opponeva al “rivale” Metodo. Era anche la golden age del “calcio danubiano” che tra il 1934 ed il 1938 vide le Nazionali dei Paesi bagnati dal Danubio raggiungere risultati importanti: Cecoslovacchia seconda, Germania terza e Austria quarta ai Mondiali del 1934; Austria medaglia argento alle Olimpiadi di Berlino; Ungheria finalista di Francia ’38. Tutte manifestazioni vinte dall’Italia di Vittorio Pozzo, fautore del “Metodo”. Ben otto giocatori della Nazionale campione del Mondo nel 1934 e nel 1938 erano “allievi” di Weisz: Meazza, Allemandi, Castellazzi, Demaria, Schiavio, Andreolo, Biavati e Ceresoli.

La stagione 1937/1938 vide il Bologna arrivare quinto in classifica ed in quella successiva Weisz, che rifiutò un’offerta da parte della Lazio, guidò la prima squadra fino al 16 ottobre 1938, dopodiché lasciò la panchina felsinea all’austriaco Hermann Felsner, già allenatore del felsinei tra il 1920 ed il 1931. A fine campionato, il Bologna vinse il suo quinto titolo nazionale.

L’addio al Bologna. 1938-1939, Italia e Europa cambiano. La Seconda guerra mondiale

L’ultima partita di Arpad Weisz sulla panchina del Bologna è stata la vittoria casalinga contro la Lazio alla quinta giornata vinta per 2-0 con i gol di Puricelli ed Andreolo. Era il 16 ottobre 1938: Weisz si dimise il 22 ottobre 1938.

Il 27 ottobre 1938, sulle colonne del “Il Resto del Carlino”, si comunicò che Weisz non era più il tecnico del Bologna: poche righe per liquidare l’allenatore che aveva portato una squadra italiana a vincere in Europa e a far “tremare” il Mondo.

Nel 1938 il clima politico e le relazioni internazionali in Europa erano molto tese e complicate. La Germania nazista incorporò l’Austria con l’Anschluss il 12 marzo 1938 e a complicare le cose fu la conferenza di Monaco (29-30 ottobre 1938) con cui si decide l’influenza della Germania nazista sui Sudeti, abitati da persone di lingua e cultura tedesca passati alla neonata Cecoslovacchia nel 1918 dopo i trattati di pace di Parigi. Il 15 marzo 1939 Hitler invase la Cecoslovacchia smembrandola in Protettorato di Boemia e Moravia e Slovacchia; il 22 maggio 1939 Italia e Germania stipularono il Patto d’Acciaio, il 23 agosto 1939 fu firmato il patto di non aggressione Ribbentrop-Molotov con cui Germania e Unione Sovietica stabilirono di non aggredirsi, di non coalizzarsi con forze politiche che miravano ad invadere l’una o l’altra e dividersi la Polonia in sfere di influenza. 

Il 1° settembre 1939 la Germania invase la Polonia, il 3 settembre 1939 Francia e Gran Bretagna (“ferme” a Monaco) dichiararono guerra alla Germania. Poi entrarono in guerra l’Italia (10 giugno 1940) e poi gli Stati Uniti d’America dopo il bombardamento di Pearl Harbor da parte del Giappone, alleato di Germania ed Italia. Tutti sanno poi cosa successe da lì all’8 maggio e al 2 settembre 1945. Intanto di Arpad Weisz non si saprà più nulla.

Il libro di Matteo Marani e la scoperta del destino di Arpad Weisz

Di Árpád Weisz non si seppe invece nulla fino al 2007: 69 anni di oblio.

Il giornalista bolognese Matteo Marani, già “penna” de Il Messaggero, Il Corriere dello Sport ed Il Sole 24 ore, pubblicò nel 2007 “Dallo scudetto ad Auschwitz. Vita e morte di Arpad Weisz, allenatore ebreo”. Marani, si incuriosì del fatto che di questo uomo, nonostante la gloria ricevuta a Bologna, si erano perse le tracce. Il giornalista compì un lavoro di ricerca lungo tre anni dove lesse libri, scartabellò documenti su documenti, confrontò vecchi registri delle scuole elementari di Bologna, sentì fonti primarie e fece un’atroce scoperta: Weisz era morto nel campo di concentramento di Auschwitz il 31 gennaio 1944 in una camera a gas. Con lui morirono, ma due anni prima, anche la moglie e i due figli, Roberto e Clara. Prima di allora nessuno si era interessato alla sorte dell’ebreo Weisz, la cui unica colpa (per modo di dire) è stata quella di appartenere alla fede religiosa odiata dai nazisti e poi dagli italiani. Nel luglio 1938 fu edito il “Manifesto della razza” e poi nello stesso autunno furono introdotte le “Leggi razziali fasciste” con cui il nostro Paese si rifaceva alle “Leggi di Norimberga” attuate dal nazismo (che iniziò a perseguire gli ebrei già poco tempo dopo la nomina di Adolf Hitler a Cancelliere nel gennaio 1933). Fu anche fatto un censimento di quanti italiani fossero ebrei e di quanti stranieri che professavano la religione ebraica erano residenti in Italia.

Nessuno a Bologna mosse un dito per aiutare o difendere i Weisz nonostante tutto quello che aveva dato alla città in quegli anni. Tutti ruppero i rapporti con loro per paura di ritorsioni perché gli ebrei non dovevano avere rapporti con gli “ariani italiani”. 

Il 10 gennaio 1939 i Weisz approdarono a Parigi per poi andare nei Paesi Bassi nella città di Dordrecht, nell’Olanda meridionale. Weisz voleva fare ancora l’allenatore e trovò l’ingaggio con la locale squadra della massima serie olandese, il Football Club Dordrecht, grazie al presidente del club Karel Lotsy, anche lui ungherese.

Weisz capì che la sua carriera avrebbe fatto diversi passi indietro, ma sapeva di non avere altra scelta: allenare il Dordrecht o rimanere senza lavoro con moglie e figli a carico.

Rimase sulla panchina biancoverde per due stagioni conquistando due quinti posti nel raggruppamento territoriale. La realtà olandese era totalmente diversa da quella italiana, in quanto da quelle parti il calcio era totalmente dilettantistico ma, nonostante questo, accettò la panchina portando il club a successi che non raggiunse per tanti anni a venire.

Nel frattempo, la situazione in Europa, dopo la fuga dei Weisz dall’Italia, cambiò radicalmente: con l’ingresso in guerra dell’Italia, il continente era completamente in guerra, la Germania sfondò a nord invadendo Danimarca e Norvegia, a est Berlino puntò ad invadere l’URSS (“operazione Barbarossa”, iniziata il 22 giugno 1941) invadendo, a ovest, Francia, Belgio e Paesi Bassi. I nazisti, in tutti i Paesi invasi, adottarono restrizioni contro gli ebrei locali ed iniziarono le deportazioni di queste persone nei campi di concentramento. Arpad Weisz il 29 settembre 1941 fu allontanato dal Dordrecht. I Weisz riuscirono a vivere a Dordrecht fino al 2 agosto 1942, quando furono arrestati dalla polizia tedesca e portati nel campo di Westerbork, nella provincia di Drenthe, nel nord est del Paese.

Rimasero lì poco più di due mesi ed il 5 ottobre partirono alla volta di Auschwitz dove vi arrivarono dopo due giorni di viaggio in treno, stipati con altre migliaia di persone. Lì i Weisz si divisero per sempre: moglie e figli morirono subito nelle camere a gas a Birkenau, Arpad fu inviato in un campo di lavoro in Alta Slesia, nell’attuale Polonia. Dopo 15 mesi tornò ad Auschwitz, sicuramente con il numero seriale tatuato sull’avambraccio sinistro e sulla “divisa” a righe la stella gialla di David. Weisz morì ad Auschwitz il 31 gennaio 1944, aveva 47 anni. Era morto nella maniera più atroce e cattiva possibile uno dei migliori allenatori degli anni Trenta. Ancora oggi non si sa se il suo cadavere sia stato gettato in un forno crematorio o seppellito in una fossa comune. Sicuramente morì con la consapevolezza che anche la moglie e i figli erano morti come stava morendo lui.

I ricordi delle squadre che ha allenato

L’Assemblea generale ONU, con la risoluzione 60/7 del 1 novembre 2005, ha dichiarato il 27 gennaio di ogni anni la “Giornata del ricordo” in ricordo delle vittime dell’Olocausto, una delle pagine peggiori della storia dell’Umanità. I nomi di tutti i morti nei campi sono conservati presso lo Yad Vashem di Gerusalemme, il memoriale costruito nel 1953 in ricordo perenne dell’Olocausto.

Fu scelta quella data perché il 27 gennaio 1945 l’Armata rossa nel suo viaggio di avvicinamento verso Berlino, si trovò di fronte il campo di concentramento di Auschwitz e si trovò di fronte scene raccapriccianti.

Nessuno era a conoscenza di ciò che veniva fatto lì dentro (o meglio, si sapeva ma nessuno disse mai nulla e tutto fu tenuto nascosto all’opinione pubblica). Si scoprì che il campo era stato abbandonato almeno dieci giorni prima con i nazisti che, capito che avrebbero perso la guerra e che qualcuno avrebbe scoperto prima o poi le loro “macchine della morte”, abbandonarono il campo e lo lasciarono al suo destino dopo averlo distrutto in parte. A scoprire il campo di concentramento fu la 60a armata del generale Kurockin del I° fronte ucraino. Si contò che ad Auschwitz morirono almeno 1,1 milioni di persone delle sei milioni morte complessivamente nei campi di sterminio nazisti.

Trainate dall’uscita del libro di Marani, le squadre dove Árpad Weisz allenò si mossero con alcune celebrazione per ricordare il loro ex tecnico. Iniziò per primo il Bologna.

Nei pressi della torre Maratona del ”dall’Ara” (la particolare torre posizionata nel settore “distinti”) è stata posta una lapide in ricordo del tecnico di Solt. Sempre a Bologna è nato il “Club Internazionale Árpád Weisz”, un’associazione antifascista, antisemita e multiculturale. Dal 2018 la curva ospiti del “Dall’Ara” è intitolata a Weisz. Sono state organizzate mostre e convegni in Emilia Romagna dove si è parlato di lotta al razzismo ed alle discriminazioni. Alla memoria dei figli di Arpad Weisz sono state svelate una targa (a Roberto, nella scuola “Bombicci” nella città felsinea) e l’intitolazione di un campo sportivo (a Clara, lo stadio di Castel Maggiore, a pochi chilometri da Bologna).

Dal 27 gennaio 2012, lo stadio “Meazza” di Milano, intitolato all’ex grande calciatore scoperto proprio da Weisz, vi è una lapide in ricordo del tecnico del primo scudetto dell’era del “girone all’italiana”. Il 15 gennaio 2013, nei quarti di Coppa Italia, Inter e Bologna, le squadre che sotto la guida di Weisz vinsero insieme tre scudetti, entrarono in campo con una maglia celebrativa.

Il 28 ottobre 2013, prima dell’incontro serale di campionato tra Novara e Cesena, anche il “Piola” fu svelata una lapide nei pressi della tribuna dell’impianto. L’esposizione della lapide avrebbe dovuto avere luogo tempo prima e fu unita al ricordo delle vittime della strage di Novara del 24 ottobre 1944 dove morirono, nelle odierne piazza Martiri e Cavour, sette antifascisti.

A Bari dal febbraio 2014 il Comune ha deciso di dedicare al tecnico ungherese una via nei pressi dello stadio “San Nicola”. Lo stadio “Moccagatta” di Alessandria dal 27 gennaio 2020 ha anch’esso una targa in ricordo di Arpad Weisz,

A Budapest dal 29 maggio 2023 c’è una statua in ricordo di Weisz inaugurata prima della finale di Europa League in una cerimonia solenne cui prese parte anche Joey Saputo, il presidente del club felsineo.

BIO Simone Balocco: Novarese del 1981, Simone è laureato in scienze politiche con una tesi sullo sport e le colonie elioterapiche nel Novarese durante il Ventennio. Da oltre dieci anni scrive per siti di carattere sportivo, storico e “varie ed eventuali”. Tifoso del Novara Calcio prima e del Novara Football Club dopo, adora la sua città e non la cambierebbe con nessun altro posto al Mondo. Collabora da tempo con la redazione sportiva di una radio privata locale e ha scritto tre libri, di cui due sul calcio. I suoi fari sono Indro Montanelli e Gianni Brera, ma a lui interessa raccontare storie che possano suscitare interesse (e stupore) tra i lettori. Non invitatelo a teatro ma portatelo in qualunque stadio del Mondo e lo farete felice.

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