Quando frequentavo la scuola di specializzazione per diventare psicoterapeuta sperimentai, come spesso succede a chi vive l’eccitazione di un nuovo inizio, la percezione di essere immerso in una bolla di disponibilità assoluta. Sentivo una costante spinta ad apprendere, la voglia di mettere in discussione tutto ciò che, fino a quel momento, avevo dato per certo. Quell’approccio mi permise d’ imparare anche quando non mi accorgevo di farlo e fu proprio in uno di quei momenti meno “istituzionali”, nelle chiacchere tra colleghi, che individuai uno dei requisiti fondamentali della nostra professione: la curiosità.
Spesso, nel lessico quotidiano, tendiamo a dare a questa parola un significato non esclusivamente positivo, come se avesse con sé un rimorchio potenzialmente ambiguo, una deriva morbosa.
La curiosità che ho individuato come il motore della nostra professione è quella disponibilità assoluta ad accogliere completamente le storie delle persone, il coraggio di affrontare i nostri pregiudizi e i nostri limiti per capirne i significati più profondi.
“Siamo tutti titolari” racconta 16 storie verso cui ho provato e provo una curiosità e un rispetto assoluto.
La voglia di ricostruire per capire, di osservare con la pancia e di non precludersi nessuna emozione.
Ho collezionato e connesso vite che mi hanno colpito per i colori della loro disperazione e per quanto possa essere sottile il loro attaccamento alla quotidianità.
Un adolescente arrabbiato con la vita che riesce a dirigere il suo rancore nella direzione giusta, una ragazza che ci svela delle vergogne nascoste da strati infiniti di spazzatura sociale. Il senso di disorientamento che viviamo quando i nostri modelli ci tradiscono, la sorpresa nel ritrovarci dall’altra parte di un’altalena relazionale. Tutto questo con il mio amatissimo calcio sempre presente, che racconta un’infinità di storie, ma che spesso stritola o banalizza. Cercare di recuperare i loro significati, mettendo l’ingombrante sfera sullo sfondo, è stato il mio traguardo nascosto tra queste pagine.
BIO: Davide Bellini
Sono nato a Sanremo nel 1973 e vivo a Ospedaletti con mia moglie Yerlandys e i nostri due figli, Filippo e Santiago. Dopo la maturità classica al Cassini di Sanremo, in mancanza di alternative significative, mi iscrivo alla statale di Milano, facoltà di lingue. Galleggio per un quadriennio (in realtà è stata piuttosto un’apnea!) mentre nel frattempo la mia passione per la musica spazza via tutto e mi porta e mettere su una band di glam rock (idea geniale da avere a metà anni 90 mentre il mondo è incantato dal Grunge!). Il tempo e il talento non dirompente (diciamola così per salvaguardare l’autostima…) mi hanno aiutato a capire che il sogno della rockstar sarebbe rimasto tale. In nome di quel sogno ho passato 8 mesi a Londra e in quel periodo ho recuperato l’amore per la lettura, in particolare per la psicologia e la filosofia. Dai sogni infranti rinasce la voglia di studiare e d’iscrivermi alla facoltà di psicologia a Pavia dove mi laureo con una tesi sulla delfino terapia applicata all’autismo. Inizio a lavorare nelle scuole all’interno degli sportelli di ascolto e in centri di aggregazione giovanile. In seguito, per 5 anni, ricopro il ruolo di vice direttore di una comunità educativa per minori. Col tempo mi specializzo in psicoterapia a orientamento sistemico-relazionale. Riesco a mescolare la mia passione per lo sport con la mia professione conseguendo un master in psicologia dello sport. Dal 2011 mi dedico esclusivamente all’attività privata di libero professionista come psicologo psicoterapeuta