Quando in quella notte di primavera del 1965 Mario Corso posò il pallone poco fuori dal vertice destro dell’area di rigore, non è difficile immaginare come gran parte dei tifosi interisti possa aver cominciato a percepire una viscerale sensazione positiva.
La “foglia morta”, questo il nome apparentemente malinconico, ma in realtà terribilmente letale, affibbiato al modo di calciare le punizioni del grande Mariolino. Una traiettoria che passava melliflua sopra le teste dei giocatori in barriera e che ricadeva rapidamente per infilarsi all’angolo sinistro del portiere.
Quel modo di colpire il pallone rappresentava perfettamente lo stile di gioco del numero 11 neroazzurro, che lasciava sempre trasparire la sensazione di uno minimo sforzo profuso; nella stessa maniera la sfera che lui calciava sorpassava i giocatori in barriera quasi spettinandoli leggermente, alzandosi soltanto un po’ di più…ma con il massimo risultato.
Dopo quel goal fatto nella semifinale di coppa dei campioni contro il grande Liverpool di Billy Shankly, Corso esultò ma con una certa fretta, perché la sua squadra doveva ancora recuperare due goal. Si diresse verso il centrocampo levando il pugno sinistro in aria, con la sua silhouette non asciuttissima e… i calzettoni abbassati.
Ma perché i giocatori decidono di portarli così? Di lasciarli tutti arrotolati vicino allo scarpino. Li mettono in quel modo dall’inizio o gli si abbassano involontariamente nel corso della partita?
Proviamo a dare fiducia a quest’ultima ipotesi, immaginiamo un calciatore che abbia dato tutto durante i 90 minuti a cui anche il disordine della mise comincia a ricordare la stanchezza: la maglia esce dai pantaloncini, le maniche vengono tirate su, i calzettoni cedono alla forza di gravità, tutto indica un burnout energetico.
Se pensiamo alle origini del calcio non facciamo nemmeno troppa difficoltà ad attribuire qualche responsabilità anche ai materiali di cui erano fatte le divise e gli strumenti del gioco: lane che parevano appartenere ad un copro militare da sbarco, finiture degne di una uniforme gladiatoria, palloni pesanti come macigni…diciamo che qualche segno di fatica poteva essere concesso.
Siamo implicitamente arrivati ad ipotizzare che la fatica possa essere stata una delle ragioni primarie dei “calzettoni abbassati”.
Quindi potrebbero essere i calciatori che corrono di più, che si stancano fino a stremarsi, ad essere i più soggetti a questo dettaglio estetico? Un dettaglio estetico… Quest’altra osservazione invece tradisce il fatto che possa esserci stato uno slittamento di significato, dallo stigma della stanchezza ad un vezzo dell’eccentricità.
Ripensando proprio al grande Mariolino Corso appare difficile incasellarlo nella categoria dei maratoneti del campo, piuttosto ci viene da metterlo nella teca degli artisti del piede, nel club dei giocatori che possono concedersi di approcciare il gioco in maniera diversa, vedendo soluzioni che noi possiamo solo immaginare.
A questo punto abbiamo praticamente definito due macrocategorie che potrebbero rappresentare e racchiudere in maniera esaustiva gli aventi diritto ai calzettoni cadenti: i martiri del campo e gli artisti della palla, fatica ed estro, creatività e sacrificio…il tormento e l’estasi.
Citando il titolo del bellissimo libro di Irving Stone ci ritroviamo inevitabilmente ad evocare il genio di Michelangelo Buonarroti che, se avesse giocato a pallone, probabilmente avrebbe tenuto i calzettoni abbassati e sarebbe riuscito a rappresentare entrambe le categorie a cui abbiamo fatto appena riferimento.
Chi ricorderà l’epica trasposizione cinematografica del libro avrà sicuramente sotto gli occhi il volto stremato di Charlton Heston mentre dipinge da sdraiato il capolavoro della cappella Sistina, incarnando perfettamente la predisposizione alla fatica e il talento immenso di uno dei più grandi geni della storia dell’umanità.
Tornando nel mondo calcistico ci ricordiamo come a metà degli anni 80 ci fu una squadra di cui tanti di noi appassionati di calcio si innamorarono, la scintillante nazionale danese conosciuta con il perfettamente evocativo soprannome di Danish Dynamite.
Un gruppo nato e, per certi versi, rimasto con un’anima dilettantistica, dall’ entusiasmo tanto travolgente quanto ingenuo, la dinamite sempre e comunque!
Il baricentro, il cuore e le gambe di quella squadra erano rappresentati da Søren Lerby, granitico centrocampista centrale che riusciva a correre e pensare con la stessa intensità.
Il biondo calciatore danese, oltre a rientrare per diritto nella categoria dei faticatori, rappresenta uno di quei atleti che nel tempo hanno allargato i confini della definizione di “giocatore di fatica” o, come si dice adesso, “giocatore di gamba”, portandola fino alconcetto di superomismo.
Chiaramente anche in questo caso potremmo trovare dei riferimenti più nobili, soprattutto nei concetti nietzschiani, ma il grado di fisicità dell’argomento trattato ci porta a tornare rapidamente su un piano strettamente muscolare.
Un giorno Lerby si rese protagonista di una prova di resistenza calcistica praticamente impensabile per il calcio contemporaneo. Giocò due partite ufficiali nello stesso giorno! Durante il pomeriggio guidò la sua nazionale contro l’Irlanda nella vittoria per 4-1 che garantì, per la prima volta nella sua storia calcistica, la qualificazione ad un mondiale. Nel pomeriggio dello stesso giorno, poi, giocò una partita di coppa di Germania con la sua squadra di club, il Bayern Monaco…probabilmente fu il suo defaticamento.
Ma come può solo l’abitudine di tenere i calzettoni abbassati accomunare giocatori così diversi come Corso e Lerby?
La sensazione che si ha sempre, quando si osserva un calciatore che porta i calzettoni abbassati, è che ci stia dicendo qualcosa, che voglia comunicarci il fatto di percepirsi diversamente, non omologato, a prescindere dal tipo di diversità a cui si faccia riferimento.
Non tutti i calciatori “di fatica” portavano i calzettoni abbassati e lo stesso vale per i giocatori di estro, l’elemento in comune è la diversità, l’originalità, la convinzione di poter interpretare certe caratteristiche spesso ritenute come incompatibili ed in un modo unico.
Prima, citando il genio di Michelangelo Buonarroti, abbiamo fatto accenno a come il talento assoluto possa coniugare la propensione alla fatica più estrema con la creatività più originale, l’estro.
Quando questa crasi di talenti avviene su di un campo di calcio, e si manifesta attraverso un calciatore con i calzettoni abbassati, entriamo automaticamente nella leggenda…voliamo da Gigi Meroni in su.
Proviamo a ripensare ad una delle partite più leggendarie della storia del calcio, la drammatica semifinale del campionato del mondo di Spagna 82 tra Francia e Germania, la notte di Siviglia, in cui una quantità spropositata di talento e fatica rimase sul terreno di gioco del Sanchez Pizjun per sempre!
Da una parte i muscoli dei due terzini-corazzieri tedeschi Briegel e Kaltz insieme alla forza di Marius Tresor, mentre dall’altra il talento imprevedibile di Pierre Littbarsky e Didier Six. Praticamente c’era una squadra trasversale che, alla fine di quella incredibile sfida, unì molti dei giocatori di quelle due fantastiche formazioni attraverso un’unica divisa che aveva i calzettoni abbassati!
Prima di arrivare a qualsivoglia conclusione finale sarebbe terribilmente manchevole non citare l’altro lato dei calzettoni, ciò che per certi versi rappresenta un loro alleato ma, allo stesso tempo, la loro nemesi: i parastinchi.
Divenuti obbligatori dal mondiale di Italia 90 in poi, accompagnano immancabilmente i calciatori anche se, dal 2016, hanno ridefinito la loro lunghezza riconcedendo nuovamente ad alcuni giocatori di abbassare leggermente i calzettoni.
Che differenza c’è tra i calzettoni abbassati fino sopra il parastinco di Dybala e quelli arrotolati in fondo alla caviglia di Cerezo? Esteticamente parlando diventa quasi una domanda retorica, ma le sensazioni che percepiamo sono sempre le stesse, un’apparente morbidezza, un ciondolare che al bisogno diventa granitico, il pennello che diventa scalpello e poi mazza.
I giocatori che hanno tenuto, tengono e terranno i calzettoni abbassati reclamano un diritto all’originalità, ci convinceranno sempre che la stanchezza può diventare resistenza e che la creatività può trasformarsi in concretezza.
BIO: Davide Bellini
Sono nato a Sanremo nel 1973 e vivo a Ospedaletti con mia moglie Yerlandys e i nostri due figli, Filippo e Santiago.
Dopo la maturità classica al Cassini di Sanremo, in mancanza di alternative significative, mi iscrivo alla statale di Milano, facoltà di lingue. Galleggio per un quadriennio (in realtà è stata piuttosto un’apnea!) mentre nel frattempo la mia passione per la musica spazza via tutto e mi porta e mettere su una band di glam rock (idea geniale da avere a metà anni 90 mentre il mondo è incantato dal Grunge!). Il tempo e il talento non dirompente (diciamola così per salvaguardare l’autostima…) mi hanno aiutato a capire che il sogno della rockstar sarebbe rimasto tale. In nome di quel sogno ho passato 8 mesi a Londra e in quel periodo ho recuperato l’amore per la lettura, in particolare per la psicologia e la filosofia. Dai sogni infranti rinasce la voglia di studiare e d’iscrivermi alla facoltà di psicologia a Pavia dove mi laureo con una tesi sulla delfino terapia applicata all’autismo. Inizio a lavorare nelle scuole all’interno degli sportelli di ascolto e in centri di aggregazione giovanile. In seguito, per 5 anni, ricopro il ruolo di vice direttore di una comunità educativa per minori. Col tempo mi specializzo in psicoterapia a orientamento sistemico-relazionale. Riesco a mescolare la mia passione per lo sport con la mia professione conseguendo un master in psicologia dello sport. Dal 2011 mi dedico esclusivamente all’attività privata di libero professionista come psicologo psicoterapeuta.
2 risposte
Davvero gradevole la lettura di questo pezzo.
E’ vero, un tempo, in occasione delle gare che finivano ai supplementari, molti calciatori abbassavano i calzettoni.
Tra coloro i qauli li portavano abbassati ricordo, oltre ai citati nel contributo, Laudrup, Bagni, Soren Lerby, Lombardo, Dell’Oglio, Dunga qualche volta anche Beppe Iachini…
Giocatori di classe e di fatica, raffinati o potenti….
Grazie mille Alessandro per i suoi apprezzamenti.
L’idea era proprio quella di recuperare queste due categorie di calciatori con i “calzettoni stanchi”.