MOU SULTANO A ISTANBUL

Diavolo di un Mourinho: non fa in tempo a smaltire la rabbia dell’esonero di Roma che strappa un altro ingaggio. In Turchia, al Fenerbahce, con un arrivo da star in elicottero, l’immancabile bagno di folla allo stadio Sukru Saracoglu di Istanbul, e le solite dichiarazioni al miele, di quelle che fanno innamorare i tifosi: “Questa è la mia nuova casa, e questa maglia sarà la mia pelle”.

Un film già visto, che cancella l’amarezza per il quinto licenziamento in carriera (Chelsea due volte, poi Manchester United e Tottenham prima della Roma), probabilmente il più amaro e dal suo punto di vista il più inspiegabile. Lo disse lui stesso, mescolando incredulità e disappunto: “Mandare via un allenatore che ha conquistato due finali europee consecutive e vincendone una? Non capisco, giudicate voi”.

Ma come è andato Mourinho con la Roma? Ha riportato entusiasmo in un ambiente un po’ depresso, con lo stadio sempre esaurito. Ha vinto la Conference League 2022 (gol di Zaniolo in finale al Feyenoord) riportando nella bacheca giallorossa un trofeo internazionale: l’ultimo, la Coppa delle Fiere, era datato 1961.

Ha perso la finale di Europa League 2023 contro il Siviglia: un po’ per un rigore negato dall’arbitro Taylor, un po’ per non aver saputo amministrare il vantaggio del primo tempo (gol di Dybala) con sostituzioni molto discutibili, gli esangui Wijnaldum e Belotti in luogo dei più vispi El Shaarawy e Bove, entrambi entrati solo nei supplementari.

In campionato non si è mai discostato dalla mediocrità: due sesti posti e un nono (parziale) al momento della sostituzione con De Rossi, con un gioco troppo “di conserva” e mai di iniziativa, ed esibizioni via via sempre più imbarazzanti, fra cui quella di San Siro con l’Inter o il derby di Coppa Italia perso in malo modo con la Lazio a gennaio.

Restano sullo sfondo anche le esagerate e stucchevoli polemiche contro gli arbitri (con tante, troppe espulsioni), scelte e cambi singolari, le dichiarazioni su una rosa limitata che col tempo hanno alimentato frizioni se non proprio fratture fra il tecnico e buona parte della squadra.

Adesso Josè deve riportare il “Fener” a vincere uno scudetto che manca dal 2014 e a seppellire dieci anni di amarezze, compresa l’ultima, un secondo posto dietro all’eterno nemico, il Galatasaray, con la bellezza di 99 punti contro 102 e una sola sconfitta. Ma la sua grande ambizione è fare strada anche in Europa: “Per la Champions è dura perchè ci saranno tre turni di qualificazione e avremo otto giocatori agli Europei, quindi non disponibili per il primo turno. E’dura ma mi piacciono le sfide”. A scanso di equivoci, però, nel contratto biennale si è tenuto una clausola di uscita in caso di chiamata della nazionale portoghese. 

Ha tenuto banco anche nell’ultima finale Champions: un minuto dopo la fine era lì, sul prato di Wembley, a consolare in un abbraccio lunghissimo e commovente Terzic, il suo collega sconfitto, e ad accontentare la mamma di Bellingham che gli chiedeva una foto-ricordo.

Resta sempre un istrione, per dirla con Aznavour. Ma per la prima volta in vent’anni (nel 2004 lasciò il Porto per il Chelsea) non andrà più in scena in uno dei 5 principali campionati europei. I grandi club a caccia di allenatori hanno fatto altre scelte.

MASSIMO TECCA

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