L’edizione del campionato europeo di calcio per nazioni che prenderà il via a Monaco di Baviera il prossimo 14 giugno si caratterizza per alcuni aspetti che la renderanno, giocoforza, particolare rispetto alla consueta ritualità della manifestazione continentale.
Gli sconvolgimenti che il calendario degli eventi sportivi ha patito, causa pandemia, nel biennio 2020-2022 fan si che l’edizione che sta per inziare si svolga dopo tre anni dalla precedente anziché a distanza quadriennale come da consuetudine.
A ciò si aggiunga l’ulteriore particolarità secondo cui, essendosi concluso il mondiale in Qatar a metà del mese di dicembre 2022, l’europeo avrà luogo a soli 18 mesi di distanza dall’ultimo grande evento calcistico per nazionali.
E’ evidente come il restringimento delle tempistiche, che ha compresso anche le qualificazioni e i tempi dei ritiri delle nazionali, non abbia concesso molto tempo per il lavoro “di campo” con la conseguenza che nelle squadre più accreditate si potranno ravvisare ben poche novità.
Soprattutto chi ha deluso negli ultimi appuntamenti non ha potuto dare avvio alle cosidette rivoluzioni “post fallimento”, non godendo di un lasso di tempo sufficiente ad innestare nuove forze e nuovi concetti di gioco.
Dal punto di vista calcistico dovrebbe trattarsi di un’edizione estremamente credibile.
Non vi saranno eccessive diversità di trattamento tra le compagini come accaduto nel 2021, quando il format “itinerante” ha costretto alcune squadre e delegazioni a continui viaggi continentali dal Portogallo all’Azerbaijan, senza la possibilità di individuare un quartier generale prossimo alle sedi delle gare.
Se l’Italia, ad esempio, ha potuto contare sulle prime tre gare giocate a Roma con ritiro nella vicina Coverciano, non può essere tralasciata la circostanza secondo cui, nello stesso girone, la nazionale svizzera sia stata chiamata a disputare tre partite in otto giorni facendo la spola tra Roma e Baku con quasi ventimila km di trasferimenti.
La location tedesca, inoltre, garantisce serietà ed efficienza dal punto di vista organizzativo, strutturale e dell’ordine pubblico.
Gli stadi impiegati nell’europeo sono tutti di livello medio-alto con alcune eccellenze a livello mondiale.
I supporter che invaderanno la Germania non dovrebbero patire problematiche legate all’accoglienza o ai trasporti.
Da ultimo, ma non per importanza, i match sono tutti collocati in orari “decenti” il che favorisce lo spettacolo a beneficio di chi assiste e la qualità della prestazione di chi è chiamato a scendere in campo.
Interessante sarà comprendere come verrà utilizzato il VAR, se nella versione più estensiva atta a “cercare” l’irregolarità o in maniera più limitata, lasciando al direttore di gara il potere decisionale.
Se Euro 2020 (tenutosi nel 2021) è stato (per alcune compagini più negli intenti che nei fatti) l’edizione del possesso palla e del controllo del gioco, quello del 2024 si presenta come il campionato europeo del recupero alto della sfera e delle seconde palle.
Ad osservare alcune tra le compagini più accreditate, pare che il punto nevralgico della squadra sia la zona della trequarti offensiva dove molti commissari tecnici tendono a far confluire il maggior numero di talento, con il rischio di attribuire ad alcuni dei loro calciatori funzioni a cui non sono abituati ad adempiere.
Se nel calcio di qualche anno fa si tendeva a strutturare l’undici di base scegliendo una spina dorsale, o un blocco di una squadra di club, negli ultimi anni si tende a schierare il maggior numero possibile di piedi buoni anche se non sempre coesi e tra loro funzionali.
A questa linea di pensiero non appartiene il CT francese Didier Deschamps da sempre attento all’equilibrio di una squadra che delega ai suoi fenomenali solisti la fase offensiva ma che sa essere particolarmente equilibrata nelle situazioni di non possesso.
Il calcio d’oltralpe si è distinto negli ultimi trent’anni per la quantità e la qualità di talenti sfornati. Nessun paese, nemmeno l’Argentina campione del mondo, è in grado oggi di presentare un numero di campioni pari a quello francese.
Qualsiasi scelta dovesse assumere il CT per stabilire gli undici titolari, i calciatori destinati alla panchina potrebbero configurarsi come una squadra di (quasi) pari livello, a sua volta tra le favorite per la vittoria finale.
La dimostrazione di ciò si è avuta al mondiale 2022 quando, pur con cinque titolari assenti per tutta la durata della manifestazione, i blues hanno confermato il proprio valore cedendo lo scettro di campioni del mondo solo dopo i calci di rigore, fallendo peraltro una clamorosa occasione al 120′.
Il cammino dei francesi, sino alla finalissima nel mondiale qatariota, non ha avuto battute d’arresto né partite concluse a supplementari.
La solidità difensiva non dovrebbe risentire dell’assenza di Varane considerato il ritorno in gruppo di Pavard, felice di agire da centrale. Altrettanto probabile che il vecchio Giroud ceda la maglia da titolare al giovane Thuram, reduce da un’ottima stagione in nerazzurro.Trattasi, ad ogni modo, di situazioni di contorno in seno ad una rappresentativa di livello tecnico elevatissimo.
Le chiavi del gioco rimangono in mano ai movimenti di Griezmann che, agendo tra le linee è in grado, anche spalle alla porta, di svolgere la funzione di regista offensivo disegnando con il proprio sinistro le traiettorie grazie alle quali una squadra asimmetrica come quella francese si alza sul lato sinistro cercando di agevolare l’uno contro uno (o l’uno contro tutti) della stella Mbappe.
Quanto sopra dovrebbe spingerci ad indicare la Francia quale favorita assoluta ma l’Europeo è un torneo breve e, come accaduto nel 2021, basta poco per uscire dalla manifestazione. Di sicuro è la nazionale sulla carta più completa mentre le altre compagini scontano qualche difetto.
L’Italia, campione uscente, superato lo choc della seconda mancata qualificazione ai mondiali, rappresenta la mina vagante del torneo. Non è stato fortunato il neo CT Spalletti nel momento cui, rinunciando ai suoi canonici concetti e cercando di innestare il blocco difensivo interista, ha opzionato il sistema difensivo a tre e nel giro di pochi giorni ha perso prima Acerbi e poi Scalvini.
Dei cinque top player del 2021 (Barella, Donnarumma, Chiesa, Jorginho, Verratti) solo il secondo appare in buone condizioni.
La rinuncia a Verratti toglie personalità e fosforo. In attesa che Pellegrini spieghi all’Europa se è solo un “bel giocatore” o può determinare a livello internazionale, sarà Barella, condizioni fisiche permettendo, cresciuto sino a diventare uno dei più completi centrocampisti in circolazione, il faro della squadra.
Poi …se Chiesa torna Chiesa, i discorsi possono cambiare.
Non ci sorprenderemmo di vedere spesso in campo Cristante in ossequio ad un concetto di doppia fase che il CT ripete in continuazione.
Fondamentale per gli azzurri sarà l’approccio che avranno in occasione della prima gara contro l’Albania.
Se le cose andranno bene potranno trarre forza e morale per affrontare le sfide con Spagna e Croazia. Dovessero steccare, si troverebbero da subito con l’acqua alla gola anche perchè, come noto, le squadre balcaniche in più di un’occasione han tirato brutti scherzi agli italiani.
Se L’Italia piange una carenza di talento offensivo, Germania e Portogallo hanno il problema opposto ovvero di far coesistere l’enorme numero di talenti dai piedi buoni.
Martinez, CT del Portogallo, nell’esperienza alla guida del Belgio non è quasi mai riuscito a far giocare bene le sue stelle e i risultati della generazione d’oro non sono stati pari al livello tecnico.
Con il Portogallo ha avuto un percorso netto nelle qualificazioni ma ora è chiamato a “mediare” per mantenere inalterata la posizione di intoccabile di un Cristiano Ronaldo alla soglia dei 40 anni.
La grandezza di quest’ultimo è ovviamente fuori discussione ma il rischio di sacrificare giocatori del calibro di Joao Felix, Goncalo Ramos e Diego Jota esiste con Rafa Leao a sua volta desideroso di dimostrare il proprio valore. Toccherà a Bernardo Silva fungere da raccordo e guida tecnica mentre Bruno Fernades dovrà limitare le sue intemperanze e la sua personalità per non irritare CR7.
La convocazione del quarantenne Pepe ci dimostra ancora una volta come sarà un Europeo più conservativo che innovativo.
Siti e organi di informazione non lo indicano tra i titolari? Non credeteci.
La Germania da anni ha lasciato lo status di squadra solida per immergersi nel talento. Gli ultimi europei e mondiali non l’hanno vista protagonista ma l’aria di casa potrebbe rinfrancarla ed anche un attaccante di nome non nobilissimo come Fullkrug, all’esito della stagione “buona”, potrebbe rivelarsi dirimente.
Kross e Gundogan alzano l’età di un gruppo che, nelle posizioni alle spalle del centravanti, ha l’imbarazzo della scelta. Se la loro presenza comporti l’innesto di esperienza positiva per i compagni o tenda alla pretesa di riverenza verso il loro status di senatori sarà il campo a stabilirlo.
Inghilterra ed Olanda, dal canto loro, rivestono il ruolo delle sfortunate croniche che son solite uscire dalle competizioni ai rigori o in maniera rocambolesca.
I leoni di Sua maestà da metà campo in avanti fanno paura ma la mancanza di una gerarchia potrebbe portare il CT Southgate agli equivoci degli ultimi tempi. Per farli giocare tutti, nessuno viene valorizzato al massimo. Un reparto offensivo che si permette di lasciar fuori Rashford non ha bisogno di presentazioni ma a volte anche il troppo talento diventa un problema.
Ci vuole il coraggio delle scelte.
Certo che di coraggio ce ne vuole tanto a lasciare fuori qualcuno tra Foden, Grealish, Saka e Maddison.
A prescindere da chi gli agirà vicino, Kane delizierà come sempre gli appassionati: dentro i sedici metri, fuori area a mandare in porta i compagni, di testa, da regista offensivo o da goleador.
Scopriremo presto se Bellingham gli giocherà vicino o se partirà da una posizione di centrocampista.
Il reparto difensivo, tuttavia, appare ancora carente.
I Paesi Bassi, pur risultando vincitori nel 1988, tendono storicamente a faticare nel campionato europeo.
L’ennesima chiamata di Van Gaal ha portato in dote 20 partite senza sconfitta e un’eliminazione al mondiale contro l’Argentina, come sempre dopo i calci di rigore.
Il santone, che detiene il record di 12 partite alla fase finale dei mondiali senza sconfitta, dopo aver portato la nazionale alle finali di Confederation Cup, ha passato la mano.
Ronald Koeman, di diverse vedute calcistiche, non ha modificato di molto l’undici del predecessore anche se rispetto a quest’ultimo tende a dare maggiore importanza alla fase difensiva. Con il paradosso che il terzetto composto da Van Dick, Ake e De Ligt, incline ai concettti di linea alta, uscita palla e corsa in avanti, non si sposa bene con quelli speculativi del CT.
Non ci sorprenderemmo se, a causa dell’eccessiva voglia di “giocare” dei tre, il pragmatismo di quest’ultimo facesse fuori l’ex juventino per affidarsi all’usato sicuro De Vrij.
De Jong, chiamato ad imporsi in un torneo per nazionali dopo annate da bello senz’anima, potrebbe vedersi affiancato dai due atalantini freschi di trionfo eruropeo come Dumfries e il rigenerato Blind a percorrere le fasce.
Curiosi di comprendere se arriverà il momento della stellina Simmons, teniamo buoni per l’attacco i soliti noti (Gapko, Berghuis, Depay).
In Spagna, a differenza che in altri contesti, sono riusciti a salutare i vecchi Busquets e Jordi Alba.
Squadra giovane, quella spagnola. Forse con meno nomi del passato ma con un’unica ed indistruttibile garanzia: il gioco.
Uscite senza sconfitta da Euro 2020 e da Qatar 2022, le Furie Rosse non si fanno prendere dal delirio del risultato e continuano il loro percorso affidando alla staripante e mai adeguatamente riconosciuta conoscenza calcistica di Rodri il compito di indicare la via.
Se nel passato la nazionale spagnola viveva sul bagaglio tecnico (e sul dualismo) dei calciatori di Real e Barcellona, quella odierna è una selezione a tutto tondo, allenata con coerenza a prescindere dal cambio di CT e forte delle idee prima ancora che dei protagonisti.
Nell’incertezza di quel che potrà essere la Croazia, spesso protagonista al mondiale e poco brillante all’europeo, in cui i senatori Modric, Perisic, Vida e Brozovic mantengono il comando della truppa, non giureremmo, come fanno altri, sulle possibilità di ben figurare della Serbia il cui talento, a differenza dei cugni di Croazia, non è notoriamente accompagnato da quel senso pratico che ai serbi fa difetto da sempre come la buona sorte.
Vlahovic, al suo primo appuntamento da titolare con la nazionale, dovrà prendersi sulle spalle una squadra che continua a scontare qualche carenza nella guida tecnica.
Rilevato che, come sempre, Svizzera e Danimarca saranno ossi duri da affronatare, nell’indicare una potenziale sorpresa vien facile menzionare la Turchia di Montella, reduce da un girone di qualificazione che l’ha vista vincere in Croazia per poi sublimare un anno di vittorie con lo storico 3-2 rifilato a domicilio alla Germania per il delirio di un popolo intero.
Sarà anche l’europeo dei tecnici italiani (cinque in totale) con Rossi e Calzona a tutti gli effetti eroi nazionali di Ungheria e Slovacchia.
Il primo potrà coccolarsi le giocate di Szoboszlai, il secondo affronterà il torneo sapendo di aver già ottenuto un premio importante qualificandovisi.
A Tedesco, CT del Belgio, viene chiesto di elevare il livello di gioco, mai convincente con Martinez, nella speranza che i suoi big lascino finalmente il segno.
Accogliendo la nazionale georgiana come assoluta novità, ci sia permesso mantenere alcune perplessità in merito alla formula a 24 squadre giunta oramai alla terza edizione.
Così facendo si ottiene di far giocare più partite e di coinvolgere più appassionati ma la credibilità tecnica di alcuni gironi rischa di risentirne come ne risente la competitività nelle qualficazioni.
Il fomat a sedici squadre garantiva incontri più equilibrati, un livello più alto e soprattutto non si prestava a calcoli e ragionamenti sulle migliore terze da portare alla seconda fase.
Far disputare 36 gare per eliminare solo 8 squadre su 24 è una scelta che non condividiamo.
Sembra ieri quando Chiellini alzava la coppa a Wembley ed esultavamo con le mascherine alla bocca tra una dose di vaccino e l’altra.
Sono passati in fretta tre anni e il titolo europeo, arrivato peraltro alla fine di un torneo ben giocato dalla nazionale, ce lo siamo goduti poco.
Stavolta gli stadi saranno pieni e non ci saranno pandemie sullo sfondo ad ammosciare l’entusiasmo degli appassionati.
Che i giochi abbiano inizio.
Che il gioco, quello bello, propositivo ed audace, non abbia mai fine!
BIO: Alessio Rui è nato e vive a San Donà di Piave-VE ove svolge la professione di avvocato. Dal 2005 collabora con la Rivista “Giustizia Sportiva”, pubblicando saggi e commenti inerenti al diritto dello sport. Appassionato e studioso di tutte le discipline sportive, riconosce al calcio una forza divulgativa senza eguali. Auspica che tutti coloro che frequentano gli ambienti calcistici siano posti nella condizione di apprendere principi ed idee che, fatte proprie, possano contribuire ad una formazione basata su metodo e coerenza, senza mai risultare ostili al cambiamento.
Una risposta
Sempre scrittura piacevole e punti di vista interessanti 👏👏👏