EURO ’24 – PRE GARA 2 – GRUPPO A: GERMANIA-UNGHERIA

Letteralmente strapazzata la pur non irreprensibile Scozia all’esordio, annichilita, tramortita e resa verosimilmente meno idonea agli occhi del Continente rispetto al reale potenziale (seppur modesto) di Robertson e compagni, la Germania affronta l’Ungheria per suggellare la oltremodo convincente prestazione sciorinata in quel di Monaco di Baviera contro i malcapitati britannici, rimarcare la supremazia assoluta del girone e altresì porsi quale autorevole candidata alla vittoria del titolo.

Ciò che ha impressionato dei teutonici nell’incontro che ha aperto le danze della più importante manifestazione europea per compagini nazionali non è tanto da ricondursi all’impeto con il quale la più titolata compagine del panorama continentale ( otto finali mondiali e sei europee l’imponente dato nel curriculum, con sette trionfi complessivi ) ha scosso gli equilibri di una partita aprioristicamente già indirizzata, ma la nobiltà delle varianti squisitamente tattiche che gli uomini di Nagelsmann hanno attuato e interpretato alla perfezione: blindata centralmente la retroguardia con Rudiger e Tah, attualmente fra i migliori esponenti del ruolo principalmente per marcatura diretta sull’uomo , fisicità e aggressività, la Germania ha lasciato che Kroos si abbassasse continuamente sulla linea degli appena citati compagni di squadra per attuare una prima costruzione che, va da sè, consegnata ai piedi del mediano del Madrid, non ha potuto che essere sublime e senza alcuna macchia concettuale e di esecuzione.

La leggiadra padronanza della sfera e delle dinamiche del gioco perpetrata dal sei volte campione d’Europa ha facilmente consentito ad Andrich (impreciso nelle mansioni lui affidate, falloso, sideralmente lontano dagli standard ammirati con la casacca del Bayer Leverkusen e conseguentemente sostituito dopo aver altresì incamerato un cartellino giallo) di preoccuparsi di spezzare le rarissime transizioni avversarie nelle infinitamente poche circostanze in cui gli scozzesi, perennemente arroccati a difesa dell’estremo baluardo, riuscivano a riconquistare palla eludendo il primordiale tentativo di riaggressione da parte di Gundogan e compagni: l’alto baricentro e la totale assenza di possibili preoccupazioni derivanti dalla fetta di terreno di gioco da coprire alle spalle della coppia centrale di difesa ha fatto sì che Mittelstadt e soprattutto Kimmich, riconsegnato ad un ruolo ricoperto agli albori e solo saltuariamente rivestito nel corso della recente carriera in maglia bavarese, presidiassero le corsie esterne garantendo quell’ampiezza che Nagelsmann ha studiato a tavolino fosse determinata dagli esterni bassi e determinante per garantire a Musiala e Wirtz ( mostruosi ventunenni il cui potenziale è come minimo accostabile, con caratteristiche differenti, a quello dello straripante Bellingham di questi tempi, oserei dire addirittura superiore da un punto di vista squisitamente tecnico, per purezza di tocco di palla, gestione stilistica e conduzione) di attestarsi in maniera sublime, con giocate sopraffini, nelle zone interne della trequarti, alle spalle del riferimento mobile Havertz, con Gundogan riconsegnato ai compiti ricoperti nel Manchester City, ovvero supremo lettore di spazi e situazioni, con un raggio d’azione variabile dal cerchio di centrocampo all’area avversaria, in base alle dinamiche dell’azione e all’istinto intellettualmente elevato negli inserimenti.

Un sistema che ha posto le basi del netto successo inaugurale, in aggiunta favorito dall’inferiorità numerica dei celtici a gara in corso, con l’ulteriore gratificazione derivante dalle prestazioni sciorinate dai subentrati, in particolar modo Fullkrug ed Emre Can, a cui va il merito di aver certificato numericamente con maggior veridicità l’andamento unilaterale dell’incontro.

Un sistema che ha escluso inevitabilmente Sanè dalla formazione titolare visto e considerato che le caratteristiche dell’esterno del Bayern non avrebbero consentito lo sviluppo dell’impianto di gioco ideato dallo staff teutonico: Leroy avrebbe limitato la giusta occupazione ed il giusto presidio della corsia ai terzini privando la Germania di ciò che ha davvero fatto la differenza, vale a dire le irrefrenabili doti nella zona centrale di Wirtz e Musiala, non a caso entrambi a rete.

Contro la disastrosa Ungheria sconfitta dalla Svizzera parrebbe non essere azzardato supporre un andamento non di molto discostante, nell’interpretazione e nella prestazione, da quello ammirato contro la Scozia:i magiari nutrono però storicamente astio nei confronti dei tedeschi, non avendo mai digerito la sconfitta nell’atto conclusivo del campionato del mondo del 1954, allorquando la favoritissima Ungheria ( che nel corso della manifestazione aveva già avuto la meglio sulla Germania Ovest per 8-3) capitolò inaspettatamente al cospetto dei tedeschi occidentali.

Era il primo mondiale trasmesso dalle televisioni, con la Svizzera ad ospitare la rassegna planetaria: fra le fila degli ungheresi gente del calibro di Ferenc Puskas, Gyula Grosics, Nandor Hidegkuti ( primordiale espressione di “falso nove” nella storia del football), Zoltan Czibor e Sandor Kocsis ( capocannoniere della competizione con undici reti), grazie ai quali l’Ungheria fu la prima nazionale a violare Wembley battendo or dunque l’Inghilterra nel suo teatro domestico.

Quanto alla finale, i tedeschi furono favoriti dal terreno allentato dalla pioggia, facendo prevalere la superiore prestanza atletica, e ribaltarono un incontro che dopo soli otto minuti li vedeva sotto di due marcature.

“Il miracolo di Berna” privò dunque gli ungheresi di una coppa sostanzialmente già in bacheca che, ergo, prese la strada di Berlino e della divisa nazione teutonica reduce dalla sconfitta nel corso della seconda guerra mondiale. Dopo alcune settimane si diffusero però le prime voci relative all’assunzione di sostanze dopanti da parte della Germania: pochi giorni dopo la finale alcuni elementi della nazionale tedesca, in effetti, vennero ricoverati in ospedale per una misteriosa infezione.

I dubbi non vennero mai fugati.

BIO: ANDREA FIORE, con DIEGO DE ROSIS, gestisce la pagina INSTAGRAM @viaggionelcalcio.

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