Eccoci giunti all’atto conclusivo: quest’oggi, in quel di Berlino, nei meandri della stessa cornice, all’interno dello stesso palcoscenico che ormai diciotto anni or sono fece da sfondo al quarto sigillo iridato dell’Italia, sarà sancito chi, fra Spagna e Inghilterra, innalzerà il proprio vessillo sul Vecchio Continente divenendone calcisticamente padrone.
Le “furie rosse”, sin qui magistralmente resesi protagoniste di un cammino incontaminato ed illibato, felicemente e meritatamente costellato esclusivamente di successi (con altresì il nobile scalpo di Germania e Francia) , puntano al quarto titolo europeo per assurgere a compagine dominante nell’ambito della più importante manifestazione continentale per selezioni nazionali: in caso di trionfo, infatti , la “roja” allungherebbe sulla nazione ospitante , ferma a tre successi (l’ultimo dei quali conquistato ormai ben ventotto anni fa), riconquistando il trono d’Europa a distanza di dodici anni dalla seconda firma della favolosa doppietta fantasticamente perpetrata fra il 2008 e il 2012 da una generazione pressoché irripetibile di fuoriclasse.
A onor del vero Rodri e compagni, per qualità individuale ed espressione collettiva, meriterebbero ampiamente di conseguire il titolo sciorinando una prestazione che possa romanticamente ed inequivocabilmente ribadire la superiorità evidenziata sul terreno di gioco, giudice eternamente supremo, e suggellare l’ultima pagina di una narrazione sostanzialmente perfetta per qualità, proposta, continuità di rendimento, consapevolezza e dominio concettuale.
Da Carvajal a Laporte, da Fabian Ruiz a Dani Olmo, da Nico Williams a Lamine Yamal (il quale, in caso di successo ed eventualmente di prestazione condita da giocate di alto livello e da gol, potrebbe concorrere addirittura da protagonista assoluto all’assegnazione di un pallone d’oro quanto mai senza autorevoli padroni), gli uomini di un impeccabile De la Fuente surclassano gli odierni rivali anglosassoni in un immediato ed improponibile accostamento da circoscrivere naturalmente alle esibizioni appartenenti all’ultimo mese solare: l’Inghilterra ha faticato molto, raccolto esclusivamente tre successi di cui due dopo i tempi supplementari (acciuffati con la Slovacchia ad una manciata di secondi dal termine dei tempi regolamentari nell’ottavo di finale contro i discendenti di Masopust e Panenka e più generalmente di un’espressione calcistica, quella della vecchia e cara Cecoslovacchia, fra le migliori del panorama mondiale con due finali planetarie amaramente perse nel 1938 e nel 1962 e l’apoteosi del trionfo continentale del 1976), battuto soltanto dopo i tiri dal dischetto la Svizzera e sciorinato prestazioni che, eccezion fatta per la semifinale contro l’Olanda, sono state ragionevolmente da annoverare nell’alveo indiscutibile dell’oggettiva insufficienza per la quasi totalità dei parametri confacenti a richiami strutturali ed ideologici.
Però, va da sé, è proprio sulla vittoria ottenuta contro i “tulipani” che Southgate deve fondare le (apparentemente subordinate) motivazioni su cui costruire una finale che possa consegnare ai sudditi di Sua Maestà il primo successo in un campionato europeo e complessivamente il secondo titolo della storia calcistica di chi il calcio lo ha fondato nel 1863, allorquando, correva il 26 ottobre, la Football Association stabilì le regole fondanti dello sport più coinvolgente e popolare in ambito mondiale.
La prestazione dei “tre leoni” contro gli uomini di Koeman è stata infatti nettamente la migliore della truppa britannica, con chiari ed evidenti miglioramenti di carattere collettivo favoriti dal nuovo sistema che metodologicamente è da ricondursi ad un 1-3-4-2-1: tale impostazione consente di avvicinare i reparti, innalzare il baricentro in fase di costruzione mantenendo compattezza e distanze, altresì favorendo plurime soluzioni fra le linee e sugli esterni e consentendo maggiore libertà di movimento da sublimare attraverso una più spiccata capacità intuitiva di creare o individuare la giocata e le letture da parte di Foden (con Bellingham ancora in penombra benché decentrato); Saka assolve diligentemente il compito apparentemente meno lui confacente di esterno non prettamente esclusivamente offensivo (benché lo schieramento in fase difensiva ricalchi stabilmente un 1-4-4-2), Trippier (insidiato da Shaw) è più libero di ricevere palla sulla corsa ed in posizione più avanzata ma, soprattutto, la vera discriminante di cotale neonato sistema è la disposizione che si crea nella zona nevralgica del campo in fase di possesso e costruzione, con Declan Rice, Kobbie Mainoo, Bellingham e Foden a costituire un quadrilatero incisivo territorialmente, strutturalmente e tecnicamente, foriero, attraverso i giusti movimenti, della creazione di pungenti ed efficaci linee di passaggio volte a scardinare le difese avversarie nell’imprescindibile zona della trequarti aprendo varchi agli inserimenti, a turno, per l’appunto, dei centrocampisti, con Kane maggiormente libero di annusare i corridoi giusti nei quali infiltrarsi per concludere.
È verosimilmente all’interno del contesto appena descritto che dipenderà l’esito concettuale della gara di stasera, con Rodri, Fabian Ruiz e Dani Olmo solitamente dominanti, chiamati a prestare attenzione ai dirimpettai, con uno dei due centrali difensivi pronto ad accorciare qualche metro in avanti per spezzare l’eventuale superiorità numerica inglese.
Se Southgate, che ha già dimostrato personalità e coraggio sostituendo Kane e Foden nei minuti conclusivi contro l’Olanda (con la rete della vittoria costruita dai subentrati Palmer e Watkins) e preliminarmente lasciando a casa gente del calibro di Grealish e Rashford (con i meno blasonati Bowen, Eze e Gordon facenti invece parte della spedizione), rischierà a volte l’uno contro uno di Walker, Stones e Guehi al cospetto di Williams, Morata e Yamal di sicuro, quanto meno, guadagnerà un posto speciale nella classifica dei commissari tecnici più temerari, in quanto a scelte, della storia d’Inghilterra.
Naturalmente logica suggerisce che ciò possa verificarsi esclusivamente in caso di transizione fulminea degli iberici una volta superata la prima fase di pressione, visto che Mainoo e Rice dovranno forzatamente fornire un aiuto in termini di copertura ai riferimenti difensivi e Trippier, ancor più di Saka, raddoppiare sull’esterno alto di zona.
Se la Spagna riuscisse a liberare le ali sia in ampiezza che internamente consentendo a Nico e Yamal di puntare avversario e porta, la gara prenderebbe inevitabilmente una piega precisa: l’Inghilterra può mettere in difficoltà la favorita selezione iberica, tatticamente e fisicamente, ma le distanze, l’occupazione degli spazi ed i tempi di gioco dovranno risultare pressoché perfetti.
Perché la Spagna tecnicamente è irreprensibile e non sbaglia mai le scelte nello sviluppo della manovra. Non resta che godere di uno spettacolo potenzialmente elevato e assistere ad un incontro contenutisticamente strabocchevole: sarà il football a decidere a chi consegnare l’Europa.
Se alla Spagna, decretandone un’oggettiva supremazia, o se per la prima volta all’Inghilterra, colmando l’incomprensibile vuoto nell’albo
BIO: ANDREA FIORE, con DIEGO DE ROSIS, gestisce la pagina INSTAGRAM @viaggionelcalcio.