IL CALCIO NEL TEMPIO DI OLIMPIA

Esiste una questione aperta e sempre dibattuta su quale fosse l’evento sportivo più importante al mondo tra le Olimpiadi e il Mondiale di calcio. Lasciamo ad altri la questione, a me piacciono entrambe e le seguo con lo stesso ardore. La cosa curiosa è che lo stesso football dal 1900 fa parte delle discipline olimpiche e la partecipazione a questo evento resta un’occasione unica nella carriera di qualsiasi giocatore. Molto spesso il torneo olimpico di calcio ha regalato grandi emozioni ed è stata la vetrina di campioni leggendari, rimasti non solo nella memoria della rassegna a cinque cerchi, ma nella stessa storia del calcio. Andrade, Liedholm, Puskás, Ronaldo il fenomeno, Messi, Neymar sono soltanto alcuni dei nomi che hanno lasciato la loro firma alle Olimpiadi. Anche il nostro Filippo ha avuto l’onore di partecipare ai Giochi Olimpici di Los Angeles, quelli segnati dal boicottaggio del blocco sovietico e dagli ori di Carl Lewis, il Figlio del Vento. Nel suo libro Il mio calcio eretico ricorda l’atmosfera solidale e conviviale del villaggio olimpico,  sottolineando il contatto con atleti di altri sport che provenivano da paesi e culture differenti.

I PRIMORDI

L’Olimpiade, dunque, ha reso immortali anche grandi squadre e grandi campioni dello sport più bello del mondo, già a partire da Parigi 1900, dove il torneo olimpico fu vinto da un club, l’Upton Park, davanti al Club Français. La prima vera nazionale a vincere l’oro fu la Gran Bretagna che si impose all’Olimpiade di Londra del 1908, quella di Dorando Pietri, e si riconfermò a Stoccolma, quattro anni dopo.

Il primo grande squadrone a imporsi nel torneo olimpico fu il leggendario Uruguay dei maestri che nel 1924 vinse l’oro ad Anversa e tra le sue fila poteva contare sulla presenza dei vari Cea, Andrade, Scarone e Nasazzi che poi avrebbero vinto il primo mondiale del 1930.

La Celeste si riconfermò poi quattro anni dopo ad Amsterdam battendo l’Argentina, in una partita che fu il preambolo della sfida per la conquista della Coppa Rimet di due anni dopo. Alle Olimpiadi di Los Angeles del 1932 il torneo di calcio non fu disputato, per poi essere di nuovo ammesso tra le competizioni olimpiche nel 1936. Fu quella l’Olimpiade di Jesse Owens, eroe eponimo dell’edizione che voleva sancire la grandiosità del Terzo Reich. Ma quella fu l’occasione per ribadire la superiorità del calcio italiano che a Berlino si presentava da campione del mondo in carica. Ma la squadra non era quella che aveva trionfato a Roma, era composta da giovani universitari che formarono un gruppo unito sotto la guida sapiente di Vittorio Pozzo. Dopo un inizio poco entusiasmante contro gli USA (vittoria per 1 a 0),la nazionale olimpica battè 8 a 0 il Giappone e in semifinale ebbe la meglio della Norvegia per 2 a 1. La finale fu una classica di quegli anni, contro l’Austria che fu battuta per 2 a 1. Tra gli eroi di quella storica vittoria ci furono l’occhialuto Annibale Frossi, studente di legge, e tre futuri campioni del mondo in Francia, Rava, Foni e Locatelli.

Vittorio Pozzo fu il primo grande allenatore della nazionale italiana. Alle due Coppe Rimet e alle due Coppe Internazionali aggiunse il successo di Berlino del 1936.

IL DOPOGUERRA E L’ARANYCSAPAT

Londra per ripartire dopo la tragedia della seconda guerra mondiale. La scelta della capitale inglese fu simbolica, visto che l’Inghilterra era stata l’ultimo baluardo a resistere ai nazisti prima della controffensiva sovietica e dello sbarco in Normandia. L’austero ma solenne palcoscenico di Wembley fu il teatro di una squadra che avrebbe ben figurato qualche anno più tardi nel mondiale di casa: la Svezia. Nel tabellone tennistico, gli svedesi ebbero la meglio di Austria, tornata indipendente e lontano ricordo del Wunderteam, Corea del Sud, Danimarca e Jugoslavia, quest’ultima battuta in finale per 3 a 1. Di quella squadra che entrò nella storia di Olimpia, militavano tre fuoriclasse che avrebbero fatto la storia del Milan: Gren, Nordahl e Liedholm, il famoso GRENOLI. La famiglia Nordahl ebbe, oltre a Gunnar, altri due medagliati: Knut e Bertil. Gren e Liedholm saranno protagonisti nel mondiale giocato in casa nel 1958 che finirà con la sconfitta in finale contro il Brasile.

Poche squadre hanno affascinato come la grande Ungheria degli anni 50, aldilà della sconfitta patita ad opera della Germania nella finale del 1954, quello che per i tedeschi passò come il Miracolo di Berna, che non è riuscita a scalfirne l’alone di grandezza, un po’ come è capitato all’Olanda del 1974. Prima di quel mondiale sfortunato, i magiari vinsero la medaglia d’oro ad Helsinki 1952, praticamente con la stessa squadra che due anni più tardi si presentò in Svizzera. Nel cammino verso la finale, anche l’Italia fu vittima della forza degli ungheresi che ci schiantarono per 3 a 0. Stupì la facilità con la quale vinse per 6 a 0 la semifinale contro la Svezia, viatico per il successo in finale contro la Jugoslavia, battuta per 2 reti a 0. Per tutti fu l’Aranycsapat, la squadra d’oro, forgiata da Sebes con il 3-2-3-2 che nel 1953 si prese la soddisfazione di battere 6 a 3 l’Inghilterra a Wembley, una partita rimasta nella leggenda del calcio. Sul campo la favola della squadra d’oro finì a Berna, ma  i fatti di Budapest del 1956, con l’invasione dei carri armati sovietici e il martirio di Nagy e di Maleter fecero sì che quella squadra, che si fondava sul blocco Honved, si disgregasse. Ciononostante, l’Ungheria riuscì a vincere altri due ori: a Tokyo 1964 e a Città del Messico 1968.

Fino al 1980 l’oro fu ad appannaggio delle nazionali dell’Est Europa.

Meritano di essere ricordate la vittoria dell’Unione Sovietica a Melbourne che tra i pali schierava Lev Jašin e della Jugoslavia a Roma, finalmente vincente dopo tre finali perse.

Gli slavi piegarono la Danimarca per 3 a 1.

L’OLIMPIADE BOICOTTATA

Los Angeles 1984 va ricordata per le imprese di Carl Lewis e di Edwin Moses, per gli ori di Greg Louganis, ma anche per il boicottaggio degli atleti di gran parte dei Paesi dell’Est. Questo determinò la fine del dominio delle squadre del blocco socialista che, dopo la vittoria della Svezia nel 1948, avevano vinto l’oro senza soluzione di continuità. A Los Angeles il Brasile partiva sicuramente favorito, ma sulla strada verso l’oro incappò in finale nella Francia, un anticipo della sfida del quarto di finale di due anni dopo in Messico. I transalpini vinsero l’oro e iniziò per i verdeoro la rincorsa pluridecennale all’alloro olimpico.

Ci furono pure gli azzurri.

La testimonianza di Filippo Galli va aldilà della semplice esperienza sportiva: “Le cose da ricordare però sono quelle che giravano intorno alle partite. Partecipare alle Olimpiadi, respirare l’esperienza del villaggio olimpico, incontrare atleti di altri sport e di altri Paesi è una delle esperienze per cui sono grato al cielo”. Quella nazionale era composta da calciatori importanti, fatta dei vari Baresi, Massaro, Serena, Briaschi, Tricella e Nela. L’Italia finì quarta, sconfitta nella finale per il bronzo dalla Jugoslavia di Dragan Stojković.

L’ORO D’AFRICA

Un dettaglio, non trascurabile, fu la sconfitta degli azzurri contro lo Zambia a Seoul 1988, un segnale forte, sonoro, la consapevolezza per il calcio africano di essere un movimento in ascesa sulla scena globale. In quella partita vinta per 4 a 0 c’era l’immaginazione di quel che l’Africa del pallone poteva realizzare. Non esiste un confine tra l’immaginazione e il mondo da conquistare, non lo dico io, ma Ben Okri uno dei più grandi romanzieri africani. Invero, già Camerun e Algeria in Spagna e Marocco in Messico furono importanti dimostrazioni di quanto fosse cresciuto il calcio africano. Poi ci fu ancora il Camerun a stupire il mondo a Italia 90, a un passo dalla storica semifinale.

Queste squadre furono l’immaginazione.

Dopo la parentesi della Spagna vincitrice a Barcellona 1992 (gran bella squadra quella spagnola con i vari Guardiola, Ferrer, Luis Enrique e Alfonso), i primi successi del calcio africano a livello globale vennero dai Giochi Olimpici e restò nella storia la cavalcata della Nigeria ai Giochi di Atlanta 1996.

La squadra nigeriana era di prim’ordine con tanti giovani calciatori che giocavano in Europa. Su tutti Nwanko Kanu, che quell’estate passò all’Inter ma non potè giocare per problemi cardiaci di cui l’Ajax ne era a conoscenza, che furono risolti con la grande signorilità e benevolenza del presidente Moratti. A dar ulteriore qualità a quella squadra si aggiunsero i vari Babayaro, West, Babangida, Amunike, Jay-Jay Okocha, Oliseh e Ikpeba.

In semifinale le Aquile compirono il capolavoro contro il Brasile di Luis Nazario da Lima, in arte Ronaldo. Sotto 3 a 1 fino al 78’, rimontò due gol con Ikpeba e Kanu, portando la partita ai supplementari. Il golden goal di Kanu frenò irrimediabilmente la corsa olimpica del Brasile.

In finale i verdi se la videro contro la forte Argentina, un mix di fuori quota e giovani promettenti. Claudio Lopez portò subito in vantaggio l’albiceleste. Babayaro pareggiò al 28’del primo tempo. Crespo al 50’ della ripresa indirizzò la partita sui binari congeniali all’Argentina. Ma se c’era una cosa che aveva insegnato il torneo, era quella di non dare per morta la Nigeria, che pareggiò al 74’ con Amokachi e che al 90’ vinse l’oro con il gol di Amunike.

Fu il più grande successo del calcio africano che si ripeté quattro anni dopo a Sydney. A compiere l’impresa furono i Leoni d’Africa, il Camerun di Eto’o, Mboma, Geremi, Lauren e Wome. Va detto che fu un’edizione con grandi nomi e anche l’Italia aveva alcuni dei futuri campioni del mondo del 2006, come Gattuso, Pirlo e Zambrotta. Quel Camerun fece fuori il Brasile ai quarti e il Cile di Ivan Zamorano in semifinale. In finale ebbe la meglio della Spagna ai rigori, dopo il 2 a 2 dei tempi regolamentari. Il calcio africano aveva compiuto finalmente la sua consacrazione, non aveva più confini tra l’immaginazione e la conquista del mondo.

IL DOMINIO LATINOAMERICANO 

Dal 2004 l’oro olimpico del calcio è prerogativa delle nazionali americane.

Marcelo Bielsa, non ha vinto quanto avrebbe dovuto, ma può sicuramente annoverare un oro olimpico importante, il primo per l’Albiceleste. La squadra che arrivò ad Atene fu nettamente favorita e la vittoria ai Giochi avrebbe riscattato in parte la grande delusione del mondiale nippo-coreano dove la squadra del Loco era annoverata tra le possibili vincitrici. Era una squadra piena di campioni che viaggiò a vele spiegate con le reti di Tevez e non concesse nessun gol agli avversari.

Il 3 a 0 agli azzurri, che saranno comunque bronzo, fu il manifesto di un successo strameritato. Quattro anni dopo iniziò l’era dell’Argentina di Messi che a Pechino bissò il successo di Atene. Ma anche questa volta la Seleccion era costituita da calciatori di assoluto valore come Di Maria, Aguero, Mascherano e Riquelme. La finale contro la Nigeria fu risolta da Di Maria, el Fideo, che per l’Argentina sarà l’uomo delle finali: in tutte le vittorie recenti dell’Albiceleste ci sarà il suo marchio.

Nel 2012 tutti attesero il Brasile di Neymar e invece a sorprendere fu il Messico, al suo primo titolo, che nella finale di Wembley vincerà 2 a 1 con la doppietta di Peralta. Anche per i messicani, dalla grande tradizione calcistica, la vittoria dell’oro olimpico rappresentò il punto più alto della sua storia. La medaglia per il Brasile sembrò allora un’ossessione. La tensione crebbe inevitabilmente nelle fila della Seleçao nel 2016, allorquando Rio de Janeiro fu la sede della XXXI Olimpiade.

Il Brasile doveva riscattare la grossa delusione del Mondiale del 2014 e cancellare l’incubo del Mineraizo, il 7 a 1 subito dalla Germania in semifinale. Talvolta il calcio ti ridà una seconda opportunità, proprio contro chi ti ha fatto piangere. E così in finale i verdeoro batterono ai rigori la Germania, vendicando la sconfitta terribile di due anni prima e vincendo il loro primo oro.

A Tokyo, infine, nei Giochi della pandemia il Brasile si riconfermò ed emulò il doppio oro dell’Argentina nelle edizioni 2004 e 2008. In finale fu battuta la Spagna di De La Fuente dopo i tempi supplementari.

 ED ORA PARIGI

L’attesa sta finendo, i Giochi Olimpici di Parigi stanno per cominciare. In Francia l’Italia non ci sarà, una notizia non proprio sorprendente in questi tempi di magra. Mancherà anche il Brasile e questo può consolare noi ma soprattutto le rivali. Le favorite saranno Francia, padrone di casa, Spagna e Argentina ma il torneo olimpico sa riservare grandi sorprese. Proprio quattro anni fa, o meglio tre, la Francia incappò in una clamorosa eliminazione.

Sicuramente sarà l’occasione per conoscere nuovi talenti e vedere partite di altissimo livello.

L’importante non sarà vincere ma partecipare, è l’adagio che da sempre anima i Giochi e motiva gli atleti, ma anche l’oro olimpico del calcio profuma di gloria, di eternità sportiva. E allora buon calcio e buona Olimpiade a tutti!

BIO: VINCENZO PASTORE

Pugliese di nascita, belgradese d’adozione, mi sento cittadino di un’Europa senza confini e senza trattati.

Ho due grandi passioni: il Milan, da quando ero bambino, e la scrittura, che ho scoperto da pochi anni.

Seguire lo sport in generale mi ha insegnato tante cose e ho sperimentato ciò che Nick Hornby riferisce in Febbre a 90°: ”Ho imparato alcune cose dal calcio. Buona parte delle mie conoscenze dei luoghi in Gran Bretagna e in Europa non deriva dalla scuola, ma dalle partite fuori casa o dalle pagine sportive[…]”

Insegno nella scuola primaria, nel tempo libero leggo e scrivo.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *