Tu chiamale (se vuoi) emozioni….
Il quarto di finale del campionato del mondo 2022, andato in scena allo stadio Lusail di Doha, tra Paesi Bassi ed Argentina è sfida che rievoca ricordi mai assopiti nella memoria degli appassionati di calcio.
Cinque i precedenti tra le due nazionali e, anche se prima della sfida in Qatar gli olandesi non hanno mai perso nei novanta minuti regolamentari, a gioire nelle sfide più importanti sono stati gli argentini, laureatisi campioni del mondo nel 1978 ai supplementari e vittoriosi nella semifinale del 2014 ai calci di rigore.
Van Gaal che nelle prime settimane del mondiale ha mantenuto un atteggiamento di basso profilo che poco gli si addice, recupera la sua proverbiale sicurezza e carica i suoi, chiamati all’impresa contro una delle compagini maggiormente spinte dall’opinione pubblica. Chissà se il fatto di affrontare una squadra espressione del calcio latino, con cui il tecnico olandese intrattiene rapporti non proprio idilliaci, non abbia rappresentato uno stimolo in più per uscire allo scoperto.
L’Argentina, senza Di Maria per una scelta che non sappiamo quanto dettata da cause di forza maggiore e quanto invece frutto di un atteggiamento conservativo, aggiunge un difensore,(Lisandro Lopez) alzando Molina a tutta fascia sulla corsia di destra. La squadra di Scaloni, in realtà, è reduce da una prestazione contro l’Australia, definita buona dai più, affrontata senza il Fideo e con il Papu Gomez a riequilibrare l’assetto tattico. C’è comunque curiosità per capire se quella con gli Aussies sia stata vera gloria considerati gli affanni patiti nel finale contro un undici di livello non eccelso.
I Paesi Bassi, dal canto loro, non si sottraggono ad una tradizione che li vuole maestri nella costruzione da dietro, proponendo i centrali di centro destra e centro sinistra ad occupare rispettivamente la zona di campo corrispondente al loro piede forte per poter contare su più opzioni al momento dell’uscita palla. L’1352 ipotizzato da alcuni organi di stampa è tale solo sulla carta perché, nelle intenzioni di Van Gaal, Gapko dovrebbe giostrare dietro le punte Depay e Bergwijn con quest’ultimo che in taluni casi si abbassa accanto al primo per formare un quadrilatero con i due centrocampisti centrali.
L’Olanda, da sempre abituata ad un elevato numero di sostenitori nelle manifestazioni in terra europea, scende in campo in uno stadio a tinte biancocelesti. I rapporto tra tifosi è di 50 a 1 in favore degli argentini, espressione di una paese che con la propria passione vuole “portare” la squadra alla vittoria finale. Passione che, tuttavia, ha finito spesso per soffocare i protagonisti rendendoli vittime della pressione che sulle loro spalle inevitabilmente si posa.
La mossa di Scaloni di mettersi a specchio con gli avversari pare funzionare ad inizio gara quando Molina e De Paul fanno “ballare” Blind a cui Akè non riesce a dare aiuto, impegnato com’è a seguire Messi. Gli olandesi non sembrano in partita nel primo quarto d’ora, faticano a trovare le contromisure ed in fase di possesso palla si fan notare per errori elementari. Non potendo contare sul tasso tecnico delle nazionali olandesi del passato, devono giocoforza compensare con atteggiamento ed organizzazione come sembra avvenire nella parte centrale della prima frazione allorché guadagnano metri pur senza attaccare con profitto l’area di rigore.
A differenza delle altre gare giocate al mondiale gli orange non riescono ad innescare Dumfries nel pieno della corsa. L’Argentina scherma i movimenti degli esterni avversari grazie alla disposizione a cinque e, quando la palla arriva sui piedi dell’esterno nerazzurro, quest’ultimo la riceve da fermo. Non essendo erede di Overmars, Robben o De Boer non gli si può chiedere di puntare l’uomo di fronte a sé con la manovra che, conseguentemente, langue su ritmi bassi.
L’unica variante è data dalle combinazioni sullo stretto ma la condizione approssimativa di Depay e la serata no di Bergwijn abortiscono sul nascere ogni tentativo di uno-due.
L’Argentina pare adattarsi alla situazione descritta per via di un atteggiamento piuttosto prudente. De Paul e Molina appaiono i più pimpanti e proprio quest’ultimo, complice un errore degli olandesi, recupera una palla che offre a Messi fronte alla porta. La pulce si muove verso il centro e come d’incanto ritorna la sfera all’ex Udinese che, approfittando del consueto malvezzo dei mancini di intervenire con l’esterno sinistro anziché con l’interno destro (come effettuato nella fattispecie da Blind), si ritrova solo davanti al portiere.
1-0 al 34′ e partita in discesa per l’albiceleste grazie ad una splendida imbucata “creata” dal nulla da parte del sette volte pallone d’oro.
Nell’intervallo Van Gaal cambia due uomini (fuori de Roon e Bergwijn per Koopmeiners e Berghuis) ma non assetto. Gapko retrocede dietro le due punte ma la musica rimane la stessa. La squadra rimane “pulita” nelle chiusure con i difensori che si fanno notare in fase di impostazione senza tuttavia risultare pericolosa.
Non accade nulla di meritevole di segnalazione sino al 73′ quando, a seguito di una discesa di Acuna sull’out di sinistra, Dumfries aggrava la sua serata negativa provocando un evitabilissimo calcio di rigore. La trasformazione di Messi viene salutata dai 60.000 argentini presenti sugli spalti come il viatico verso la semifinale.
I fantasmi del passato sono destinati, finalmente, a sparire; un finale di partita tranquillo è ciò che serve per preparare la semifinale e dileggiare gli eterni rivali brasiliani che si accingono a preparare i bagagli per il ritorno a casa.
L’Olanda, più per dovere che per convinzione, prova a modificare il suo assetto. L’infortunio di Blind e le condizione approssimativa di Depay inducono il loro allenatore ad inserire prima Luuk De Jong e poi Weghorst, provando un sistema a trazione anteriore che concede spazi nei quali tuttavia gli argentini non affondano.
Come già accaduto con l’Australia, la Seleccion si inceppa sul finire di gara. Non solo non contrattacca più ma si abbassa sul terreno di gioco portandosi nella propria area i centimetri dei nuovi entrati olandesi. Gli inserimenti di Pezzella e Tagliafico per Romero e Acuna non producono nulla se non un abbassamento del baricentro.
La rete con cui l’Olanda riapre la partita all’82’ (colpo di testa di Weghorst su cross dalla trequarti di Berghuis) è la conseguenza di un atteggiamento, quello argentino, di difficile comprensione.
Accorciate le distanze, i tulipani capiscono che dal punto di vista mentale l’avversario è in sofferenza e continuano a cercare i nuovi entrati con spioventi dalla trequarti.
La linea difensiva, nel frattempo, si è sistemata a 4 con Ake nella posizione di terzino sinistro che, per come gioca e per le zone di campo che copre, ricorda i difensori del passato olandese eccellenti in fase di impostazione e capaci di agire in diverse zone del campo.
Merita davvero un plauso il calciatore del Manchester City che, pur duellando per buona parte della gara con Messi, gioca una partita di una pulizia estrema e non perde mai i tempi di gioco in fase di impostazione. Un difensore “alla Van Gaal” che passa indifferentemente dal giocare centrale o esterno senza mai perdere lucidità nelle letture. Nel finale d’assalto degli olandesi, si divide tra la funzione di baluardo, quella di difensore che si stacca dalla linea per tentare l’anticipo e quella di primo costruttore da sinistra senza risentire delle corse a tutta fascia.
Nonostante gli affanni descritti ed un recupero “large” la partita sembra incanalarsi in una sofferta vittoria argentina.
Il calcio, però, è disciplina in cui le regole non scritte e le tradizioni fanno pesare la loro essenza.
Tradizione vuole che gli argentini non abbiano mai sconfitto l’Olanda ai mondiali nei novanta minuti e una regola non scritta ci insegna che i grandi mattatori, prima di lasciare la scena, estraggono sempre un coniglio dal loro cilindro.
Le due circostanze si fondono al 100′ quando un’ingenuità di Pezzella concede ai Paesi Bassi un calcio di punizione al limite dell’area.
La giocata con cui i tulipani pareggiano porta con sé tutta la mistica che accompagna la figura del loro commissario tecnico. Non è tanto lo schema posto in atto, probabilmente già sperimentato da altri, ma la lucidità di chiamarlo all’ultimo minuto del recupero, come si usa nel basket per l’ultima azione o nel football americano per l’attacco dell’ultimo down.
Van Gaal, e non è la prima volta in carriera, si prende la scena rispetto ai 22 protagonisti in campo.
Una giocata chirurgica, peraltro realizzata perfettamente dal trio Koopmeiners, Luuk De Jong, Veghorst, con un sincronismo e una precisione che lasciano di stucco gli avversari.
Si potrà eccepire che quel tipo di situazione nei campi di calcio si era già vista.
Certo che si, ma provate a chiamarla all’ultima azione di un quarto di finale mondiale e, soprattutto, abbiate la capacità persuasiva di convincere i vostri uomini a farlo.
Nel primo tempo supplementare, tuttavia, emerge la carenza di personalità dei Paesi Bassi che, con l’Argentina sul punto di crollare, non affondano il colpo che avrebbe aperto loro le porte del Paradiso. Sarebbe il momento di insistere ma il timore di aprirsi ai contropiedi avversari, a causa dello schieramento a trazione anteriore con cui avevano terminato i tempi regolamentari, li induce ad un atteggiamento di controllo in attesa della giocata decisiva. La giocata del singolo, però, ti può venire in soccorso se puoi contare su Robben, Bergkamp o Van Nilsterooy solo per non menzionare altri mostri sacri del passato. Quest’Olanda non può contare su un tasso tecnico all’altezza delle precedenti e così, nel secondo supplementare a pericolo scampato, l’Argentina riprende coraggio e prima con Lautaro Martinez e poi con Enzo Fernandez (palo clamoroso al 120′) sfiora la vittoria.
Gli ultimi 5 minuti di supplementari riportano entusiasmo tra i sostenitori biancocelesti che, unitamente ai loro beniamini, arrivano ai rigori con il morale nuovamente in ascesa.
Il portiere Martinez farà il resto, conducendoli ad una semifinale che, contro i croati, li vedrà partire con i favori del pronostico.
L’Argentina non fuga i dubbi emersi nelle precedenti partite. La sensazione che lascia non è quella di una squadra dominante. Trovatasi in vantaggio di due goal forse oltre i propri meriti, si è sciolta in maniera imprevista ed improvvisa nella parte finale di gara. Il gioco si basa ovviamente su Messi il quale, al netto delle delizie che propone alla platea, non è più nella condizione di determinare con continuità. Le sue giocate vanno capitalizzate. Se è vero, come è vero, che il sistema a cinque ha permesso ai sudamericani di schermare l’Olanda, è altresì indubitabile che, se attaccata in profondità, la linea difensiva possa incorrere in difficoltà con meccanismi che non appaiono oliati e Romero, unico baluardo, costretto agli straordinari.
I Paesi Bassi salutano un mondiale in cui hanno fatto il loro senza brillare e senza demeritare. Quindici mesi fa, gli olandesi avevano un piede e mezzo fuori dal mondiale. Il ritorno di Van Gaal li ha rivitalizzati, qualificandoli a Qatar 2022 e portandoli a primeggiare nel girone di Nations League. L’approdo ai quarti di finale è comunque un buon risultato per una nazionale con un’età media bassa e calciatori che tra qualche anno completeranno la crescita (Ake, Simmons, De Ligt, Gapko). Il maestro lascia i mondiali con un record di 12 partite giocate nella fase finale senza sconfitte e con un colpo di genio che rimarrà negli annali.
In più di un’occasione in passato ha annunciato che non avrebbe più allenato.
Speriamo che ancora una volta si smentisca da solo.
Per Scaloni comincia la fase più difficile ma anche più affascinante. Dovrò optare per un sistema di gioco e scegliere la formazione con cui giocarsi la semifinale. Continuerà con la linea difensiva a cinque o riproporrà Di Maria dall’inizio con il ritorno all’1433 asimmetrico?
Qualsiasi scelta farà, dovrà lavorare sull’aspetto mentale. La Croazia non ha nulla da perdere e rispetto all’Olanda porterà sul terreno verde l’esperienza dei suoi veterani.
Se le si lascerà l’occasione di bissare lo scalpo ai danni del Brasile, di sicuro non se la farà scappare.