“Eppur mi son scordato di te…come ho fatto non so”: così cantava Lucio Battisti negli anni ’70.
Ci siamo scordati di te, caro calcio.
Dopo l’ennesima fuoriuscita prematura da una competizione internazionale, il movimento calcistico italiano si mostra in tutta la sua fragilità.
Nella recente edizione di Euro ‘24 abbiamo visto avanzare realtà che hanno investito e investono nei settori giovanili, paesi come Germania, Spagna, Inghilterra, Francia, Olanda, Portogallo a cui si è aggiunta la Svizzera che, in questi ultimi anni, ha fatto grandi passi avanti nella programmazione e negli investimenti in ambito giovanile e non solo.
L’Italia si è fermata al passato, potremmo dire a 18 anni fa. Si, 18 anni fa, quando abbiamo vinto il campionato del mondo grazie all’ultima generazione di fenomeni cresciuta nel territorio tricolore.
Come mai in 18 anni non siamo riusciti a formare un calciatore capace di essere un’eccellenza? Come mai il nostro movimento giovanile, pur ottenendo risultati con gli azzurrini nelle competizioni internazionali, non riesce a fornire giocatori di standard elevato alla Nazionale maggiore?
Le ragioni sono molteplici, proviamo ad elencarne qualcuna:
- Il venir meno della passione, dell’amore dei ragazzi per il calcio, per il calcio inteso come occasione di divertimento, relazione. Oggi il calcio viene visto sempre più in un’ottica di ascensore sociale, di opportunità, tra l’altro come diremo più avanti non aperta a tutti. L’attenzione dei più giovani per il calcio si manifesta più spesso postando o commentando foto sui social, a volte eleggendo a riferimento figure che possiamo definire discutibili. E i giovani non sono certo i maggiori responsabili di tutto ciò.
- Una cultura che non favorisce la meritocrazia. Che guarda soltanto al risultato, all’esito. Si fa fatica a comprendere la necessità di un percorso adeguato per raggiungere l’eccellenza contrapponendo scorciatoie di ogni genere.
- La perdita di identità, delle funzioni, del ruolo di genitore. Oggi si accompagnano i figli all’allenamento e alle partite non in veste di padre o di madre, bensì di allenatore, procuratore, tifoso, con tutte le derive che ne conseguono.
- Le scuole calcio che, salvo rare eccezioni, non annoverano e non si preoccupano di avere tra le loro fila, addetti ai lavori competenti. Gli allenatori pensano più alla loro carriera piuttosto che alla formazione dei ragazzi.
- Infine uno sguardo anche ai settori giovanili professionistici, i cui club di appartenenza, salvo rare eccezioni, considerano il settore come un costo, una zavorra di cui si vorrebbero liberare se solo i regolamenti glielo permettessero. Basti vedere le liste degli svincolati al termine di ogni stagione sportiva, a volte intere categorie. Possibile che nessuno sia migliorato? Se nessuno è migliorato dove si è sbagliato? Nella selezione o nelle metodologie formative?
Alcune risposte si trovano indagando le connessioni con alcune scuole calcio che, con una continuità, che desta perplessità, fungono da bacino per scegliere giovani calciatori e, a volte, allenatori.
Potremmo poi raccontare di allenatori competenti che non vengono assunti perché non manovrabili, di altri assunti a 200-300 euro al mese, di strutture fatiscenti o inesistenti.
Altre realtà europee invece hanno strutturato il tutto con quello che possiamo definire spirito di imprenditorialità sportiva che prevede un metodo di lavoro condiviso affidando le categorie sensibili ad allenatori che non necessariamente hanno un passato da giocatore ma hanno una formazione multidisciplinare.
Le vittorie dell’Italia nelle categorie U19 (tra l’altro sconfitta in semifinale dalla Spagna nel recente europeo di categoria) e U17 sono importanti ma lasciano il tempo che trovano almeno fino a quando questi ragazzi non verranno presi in considerazione dai loro club. È necessaria una svolta in questo senso, una svolta che lasci finalmente intendere come le società a cui appartengono comincino a considerarli un investimento. Da noi manca la “Follia”, se così la vogliamo definire, di credere fino in fondo in qualche ragazzo.
Se non si cambia rotta rischiamo non solo di non avere più giocatori come Totti, Baggio, Nesta, Pirlo, Del Piero, Baresi, Maldini ma di ritrovarci in un calcio che apparterrà solo a chi può “sponsorizzare” il figlio, in cui le scuole calcio saranno sempre di più accessibili solo ai pochi che se le potranno permettere e le società professionistiche volgeranno sempre più lo sguardo verso l’estero, alimentando il fenomeno del “players trading”, spesso con il fine unico di realizzare plusvalenze.
Vogliamo davvero continuare a non opporci a quanto sta accadendo?
“ Chissà che sarà di noi. Lo scopriremo solo vivendo. Comunque adesso ho un po’ paura”
4 risposte
Caro Vincenzo, hai fatto una disamina completa, affrontando la questione nella sua complessità. Mi aggancio alla domanda finale e mi permetto di esprimere la mia opinione.
Dobbiamo essere in grado di organizzare un grande movimento dal basso, che veda coinvolti in maniera sistemica tutte le componenti della realtà calcistica. Questo movimento deve agire in maniera collettiva e far emergere e valorizzare la leadership diffusa e partecipata. Non abbiamo bisogno di uomini soli al comando che di volta in volta si individuano non perché espressione di talento o di competenza, ma spesso per una lotta di potere fine a se stessa. Dobbiamo andare oltre i personalismi e gli egocentrismi. Smetterla con le battaglie contro qualcuno, ma adoperarsi per un progetto comune. Le varie componenti devono imparare a dialogare tra di loro e fare in modo che queste relazioni diventino intelligenza collettiva capace di fronteggiare e governare la complessità del mondo sportivo. Ma per fare questo, ognuno si deve spogliare della mania di protagonismo e mettere a disposizione della comunità calcistica il proprio sapere e le proprie capacità nel solo interesse generale. E sicuramente questo percorso, il cui esito non è scontato a priori, sarà anche funzionale per liberare il calcio da tutti coloro che con i loro comportamenti infangano la sua credibilità, e mortificano gli sforzi e la passione di tanta gente per bene, che l’unica colpa che ha è quella di non essere ancora capace di fare sistema.
Condivido molto di quello espresso in questo articolo.
Purtroppo le carenze dei personaggi che frequentano questo mondo, anni fà, venivano colmate dai ragazzi stessi. Liberi di esprimersi si divertivano per ore nei campetti di paese senza pressioni e senza essere comandati in tutto e per tutto.
Oggi purtroppo il problema è più grande di quanto possa sembrare.
Inizierai dal parlare dei dirigenti, molti dei quali approcciano il settore giovanile in maniera totalmente sbagliata. Mancano competenze nel creare un identità, nello scegliere il percorso più adatto e soprattutto nel selezionare istruttori giusti. Spesso nelle scuole calcio regna improvvisazione e anarchia.
Gli istruttori sono spesso poco formati e competenti, limitano la libertà del bambino e non accettano altro al difuori del risultato. Quei pochi validi si trovano in continua lotta con un ambiente poco consono alle proprie idee.
I bambini crescono e quando diventano ragazzi spesso si trovano a dover affrontare un mondo che fino a quel momento li ha protetti da tutto e tutti.
Arrivano i primi fallimenti, arrivano le prime frustrazioni e spinti da genitori iperprotettivi non riescono a tirar fuori quel carattere che magari anni indietro usciva fuori in maniera naturale.
In questi anni è cambiato tutto:
– la passione e la voglia di giocare a calcio dei ragazzi (le distrazioni ai giorni d’oggi sono continue, ci sono troppe attività meno faticose che fanno cambiare direzione);
– i genitori che vogliono preservare il ragazzo da tutto quello che per lui può diventare difficile (non spingono il giovane a dare il meglio di se, ma al contrario sono pronti a scusarlo per qualsiasi cosa lo metta in difficoltà);
– il gioco del calcio: i ritmi sono aumentati, le qualità fisiche curate e migliorate (non c’è spazio per eseguire e pensare nello stesso momento, non si ha modo di eseguire la stessa gestualità precisa e qualitativa di anni indietro).
C’è una frase che descrive molto bene tutto questo: è difficile sopravvivere nella giungla se sei stato addestrato in uno zoo.
Concludendo il discorso è giusto parlare del problema riguardo strutture fatiscenti e formatori che spesso non possono o non vogliono avere adeguata formazione
Riflettiamo, il cambiamento è possibile.
Ma c’è tanto da fare.
Caro Vincenzo voglio commentare senza commentare perché le parole oramai non mi escono più.
Ma guai dire la verità in questo paese viviamo in una totale ipocrisia in questo momento tutto quello che scelgono hanno una paura folle a cambiare una virgola e i fattori sono 2 principalmente
POLTRONA
INTERESSI personali
Il resto il puro dello sport o si adegua o porta un po’ di soldi o sta fermo e come dico spesso forse quelli che realmente hanno le capacità per cambiare vengono lasciati fuori.
Bravo Vincenzo,il commento lo faccio solo per le strutture nella mia citta Novara(no)dive la maggior parte di loro sono degli anni 50.la maggior parte di loro sono comunali.tutte e nessuna escluse non sono più a norma!
Poi c’è il Novara,squadra professionistica,che ha dovuto un po di problemi.con un centro,fuori città,all avanguardia e dicono uno dei primi 3 in Italia.ma chi l ha costruito ha pensato tutto tranne che al calcio.
Tra i campi comunali e Novarello non c’è nessuna differenza.manca la cultura del calcio!