QUESTIONE DI CULTURA

Nella serata di lunedì 5 agosto, alle Olimpiadi di Parigi, al termine della gara donne dei 5mila metri si è verificato un colpo di scena: l’azzurra Nadia Battocletti, che ha tagliato il traguardo in quarta posizione, è stata fatta avanzare al terzo posto per via della squalifica lampo della kenyana Kypiegon, squalifica che durerà solo poche ore e che riconsegnerà la medaglia di bronzo all’atleta africana. Ieri sera Nadia ha vinto la medaglia d’argento gareggiando nella finale dei 10mila metri.

QUESTIONE DI CULTURA

Grazie Nadia Battocletti che, dopo la splendida finale olimpica dei 5000 mt., nell’intervista post gara, si augura che il suo esempio porti tanti bambini ad avvicinarsi all’atletica. Più che gioire per il suo risultato Nadia ci tiene a ribadire l’importanza che gli esempi più alti (come il suo) siano un traino per la base, riescano ad ampliare una cultura sportiva generale.

Nel calcio abbiamo una cultura “diversa”. Nel calcio, data la sua natura  ludica e affascinante per i piccoli, abbiamo una base altissima di praticanti, non abbiamo bisogno di stimolare la partecipazione dei ragazzi. Però abbiamo necessità di coltivare questa partecipazione, ridurre gli abbandoni, attraverso una forma culturale più alta ed idonea ai bisogni dei bambini. Purtroppo continuiamo a trasmettere modelli culturali…diciamo opinabili! Non ci rendiamo conto di come, questi modelli, possano incidere negativamente sullo sviluppo dei bambini che iniziano a conoscere il gioco.

E qui entrano in gioco gli allenatori, i dirigenti, i giornalisti e, quindi, i genitori dei bambini.

Dall’inizio delle preparazioni estive delle squadre professionistiche, non leggo e ascolto altro che non sia un richiamo alla fatica fisica, alla necessità di “riempire i serbatoi energetici” (come se fosse possibile farlo, posso riempire il serbatoio di una macchina…peccato che l’essere umano non ha, per fortuna, quel tipo di serbatoi) mediante sedute massacranti di corse o di sedute in palestra.

Poi leggo articoli di preparatori atletici che lavorano con i ragazzi di 14-15 anni di un settore giovanile professionistico e leggo gli stessi concetti. Prima “costruire” l’atleta, con lavori aerobici, intermittenti, utilizzando test di campo del tutto aspecifici, poi con lavori di forza in palestra e, a seguire, proclamare l’importanza di perfezionare gli aspetti coordinativi attraverso lavori coordinativi generali a secco. Dopo aver “costruito” l’atleta allora si può pensare al giocatore.

Il risultato è una continua separazione di tutti i fattori prestativi (inutile ripetere che sia cosa impossibile da fare nel calcio), ma, soprattutto, riporto…ahimè, ciò che leggo è che utilizzare questi mezzi consente di formare atleti resilienti che incrementano la capacità di sopportare la fatica!

Il messaggio è: sudore, fatica fisica, abituarsi a soffrire, come se giocare a calcio, soprattutto nei ragazzi, fosse sofferenza e non gioia!

Ho paura che gli allenatori dei settori giovanili siano influenzati da questi esempi culturali.

Già lo sono i dirigenti, i giornalisti, fino al genitore. Tutti questi elementi alimentano una cultura devastante per i bambini.

Vi prego non seguite questi modelli culturali, ascoltate la purezza delle parole di Nadia Battocletti, pensate ai bambini, ai vostri figli, aiutateli a divertirsi giocando, vedrete che suderanno e impareranno a vivere anche la fatica fisica necessaria per giocare.

BIO Francesco D’Arrigo:

Diplomato all’Istituto Superiore di Educazione Fisica, è stato a lungo giocatore e per oltre vent’anni allenatore professionista con Licenza UEFA PRO.

Dal 2010 è docente di Tecnica e tattica calcistica presso la Scuola allenatori del Settore Tecnico della FIGC.

Per La Casa Usher è autore de “Il senso del gioco”(2021, nuova edizione aggiornata e ampliata) e de “Il primato del gioco” (2018)

Una risposta

  1. Si potrebbe tradurre il tutto con: guardate come si divertono le squadre che giocano tecnicamente un calcio bellissimo, sembrano non essere mai stanchi. È un’impresa difficile al giorno d’oggi ma…dobbiamo provare ad invertite un po quella che è la tendenza a costruire più atleti che calciatori.

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