EGO(NU)-CENTRICHE

Mio padre era pugile. Sono cresciuta in una casa in cui era più facile imbattersi in molle manubri e bilancieri che in bambole e pentoline. Questo vissuto di bambina me lo sono inevitabilmente tirato dietro ed in qualche modo ha condizionato la mia vita nella professione esercitata tra marito e figlio calciatori, fratello cestista provetto, palestre e campi di calcio in cui lo sport è stato per me il vero strumento. Il mezzo educativo più efficace per sostenere quella MOLTITUDINE DI INTELLIGENZE che ogni anno mi era dato di incontrare. Una meraviglia, un prodigio. Sprazzi di  intuito e creatività che non avevano genere ma si declinavano alternativamente al maschile, al femminile, o a quel qualcosa di curiosamente insondabile che si colloca tra xx e xy. “Sono di genere femminile, ma dentro di me c’è anche una parte maschile: quel pacchetto di geni presi da mio padre che sommato al 50% di mamma, fanno L’INTERO CHE SONO IO. MA SONO UN INTERO, SONO PERSONA. Nel mio 100% risiede tutto il lato umano che mi rende uguale agli altri. E al contempo tutto ciò che mi rende diversa, e questo è la mia storia. Nel 100% siamo uguali, SIAMO NEL TERRITORIO COMUNE, siamo esseri umani. Il resto, le differenze, nascono nell’incontrare il mondo e nel fare esperienza di esso” scrive Cristina Garavaglia.

Ripensavo a tutto questo mentre leggevo l’ultimo articolo di Luca Serafini per il blog, quello in cui si racconta del Milan e delle sue giocatrici in stato di gravidanza, alle quali verrà automaticamente rinnovato il contratto di un anno e che sarà garantita l’assistenza per i figli in occasione degli impegni agonistici. Scrive Serafini: “ Non ci sarebbe da applaudire, fare i complimenti, manifestare pieno assenso: questo è – in realtà – dovrebbe accadere in ogni azienda, in qualsiasi campo o settore, ad ogni latitudine planetaria. Purtroppo non è così, e siccome il Milan, appunto, è il primo club europeo ad averci pensato e ad aver attuato le normative autonomamente, al di là di quelle sindacali già esistenti, un plauso lo merita eccome.”

Il Milan ha pensato in chiave calcio ad una sorta di modello Olivetti quindi, quando Adriano negli anni 50 riorganizzò la sua fabbrica in base all’idea che “il diritto al lavoro” doveva essere riconosciuto come indiscutibile per tutti i cittadini, uomini e donne. Creandone però le condizioni di realizzo perché nel solo sfornare idee, i discorsi stanno a zero.

Una cosa da civile visionario dunque e mentre in Europa la discriminazione era la regola e alle donne erano riservati lavori routinari, malpagati, massacranti ritmi di lavoro, lui faceva allestire in fabbrica asili nido, scuole materne, scuole professionali per educare al lavoro e alla vita adolescenti e giovani, e ancora colonie, campeggi, consultorio prenatale, ambulatorio pediatrico, consultorio lattanti, biblioteche, concependo uomini e donne come esseri pensanti e non solo come forze lavoro o fattrici.  

In un’Italia di pari opportunità apparentemente raggiunta tra donne e uomini mediante l’uguaglianza di diritti a tutti i livelli (che nasconde affannosamente sotto il tappeto i 26 femminicidi avvenuti da inizio anno però, perché della violenza non si parla ma si fa )dare rilevanza a queste scelte che sottendono civili pensieri è doveroso, specialmente quando in questi giorni di Olimpiadi.

Dagli schermi, accanto ad atlete spumeggianti e giovanissime ci arrivano inquadrature di donne anche mature e consapevoli ancora in gara, 5250 esattamente come i colleghi uomini. Donne libere di mostrare il proprio valore nelle competizioni, di gareggiare con tutta la fatica del caso, di primeggiare anche nascondendo lo sforzo di anni dietro sorrisi incantevoli, con determinazione grinta e dignità. Ma anche donne  in altre faccende affaccendate, nelle mansioni cioè di ALLENATRICI, CRONISTE, GIUDICI, ACCOMPAGNATRICI, ARBITRI. E qui il loro numero vistosamente si sbilancia in favore della componente maschile. Ai posti di comando dello sport italiano troviamo solo una donna, Antonella Granata nella Federazione dello Squash.

Come dice giustamente Serafini, non ci sarebbe tanto da applaudire. E non voglio per niente fare una crociata femminista, no no no. Quando sento l’espressione “quote rosa” mi viene l’orticaria perché credo che ciascun individuo dovrebbe acquisire incarichi per qualità palesi e non mediante posti riservati in base al sesso di appartenenza. Però converrete con me che nella sala dei bottoni dello sport italiano c’è qualcosa di innaturale e disturbante che relega al ruolo di consigliere o segretaria tutt’al più gioiose combinazioni di neuroni e morbide curve.

Julio Velasco venne a Fabriano almeno una trentina di anni fa in un pomeriggio d’autunno e in quel tempo felice, da maestro esperto comunicatore quale era ed è, ci parlò della differenza tra il sentirsi perdenti ed il sentirsi sconfitti, della cultura degli alibi, del concetto di palla “nostra” e non di palla “mia”, di ottica di squadra, della figlia e del computer, di tutte quelle cose che negli anni sono rimbalzate come pipes impazzite sulle bacheche degli allenatori presenti sui social. In questi giorni è un delirio, ad esempio. Una festa di Gimmyridimmi del web.

Totale ammirazione per questo catalizzatore, questa intelligenza strategica assoluta che furbescamente smarmella e si insinua nel corpo di un anziano nonno, per la sua esperienza masticata nella perfetta interpretazione di quel genere di leadership che scava un fossato medioevale intorno al castello in cui alberga la propria squadra, una bolla protettiva.

Allo stesso tempo avverto un vuoto imbarazzante, acuto e doloroso come gli spasmi maledetti del nostro portabandiera Tamberi. Mi mancano le parole delle ragazze, di quelle donne, magnifiche pallavoliste che potrebbero raccontare sensazioni, emozioni odori e colori, ma anche il perché di un attacco, il come hanno risolto quel problema di gioco lì, l’interpretazione di funzioni e non solo di ruoli.

Sinapsi intraprendenti in gonnella che vengono tenute accuratamente lontane dai microfoni e accompagnate nei recinti come brave scolarette in fila per due. Avrei voluto ascoltare le parole di una Orru, per sapere cosa le succede quando serve una palla e perché proprio lì.

Ascoltare la Egonu, sapere come si riesce a sfuggire alle campagne di odio latenti o palesi, come si valorizza la DIVERSITÀ rendendola visibile come cinesini fluorescenti su un campo di calcio. Di come nel 2024 si impara a gestire l’ansia e a gestire i carichi di lavoro. Egonu, reale artefice del miracolo con la sua presenza, catalizzatore di emergenze, di tutte le qualità esistenti in Orru, Silla, Danesi e compagnia cantando fino alla Ekaterina Antropova.

Egonu, presenza irrinunciabile che per uno strano caso della mente, Mazzanti nel suo privatissimo harakiri sportivo non aveva compreso fino in fondo. O non aveva voluto comprendere. Chissà. Le parole di queste atlete fenomenali mi interessano più che ascoltare a volte le perle di saggezza sempre autentiche ma 1000 volte riavvolte nella memoria di un allenatore che dichiara di focalizzarsi più su quello che c’è che su “quello che manca”. Ma soprattutto quello che auspico, in controtendenza con le parole del divo Julio è un numerico riequilibrio di PANCHINE in ogni sport, che in realtà, guarda caso, è proprio “quello che manca”. Rimarrà certamente una felice utopia come il passaggio DA CATEGORIE E GENERI ALLO STATUS DI PERSONA con proprie caratteristiche, colori, sorrisi e lacrime, pensate magnifiche.

Saremo tutti a quel punto allegramente sorpresi nello scoprire che ci sono uomini multitasking e donne che capiscono il fuorigioco, che sanno di  matematica, guidano alla Niky Lauda, che ignorano termini come beauty blender o gradient lips e riescono a sopravvivere anche fuori dai luoghi comuni e da frasi obsolete come  “Sono a disposizione del Mister e rispetto le sue scelte “Né più né meno della tiritera ormai virale “è un bronzo che vale come un oro”.

Certamente un bronzo olimpico è qualcosa di straordinario ma anche il copioso numero di medaglie di legno raggranellate dalla compagine italiana lo è. La partecipazione stessa ad una manifestazione simile non ha paragone e rimane questione di assoluto merito e onore, un riconoscimento per sempre come ben sanno gli atleti delle discipline nazionali escluse dalla kermesse. Ma un oro è un oro. Il bronzo è diverso. Gli atleti lo sanno. Sarebbe bene chiarire per sempre la questione in questa Italia dove l’opinione pubblica tende sempre a confondere le questioni, volendo far credere disperatamente e con falsa ipocrisia che in fondo siamo tutti uguali, truffatori e truffati, governatori collusi e governatori onesti, chi froda il fisco e chi non lo fa. Sarebbe bene chiarirla, la questione, anche con i bambini, sospendendo la mendace consuetudine della medaglietta per tutti capace di confondere le idee in nome di un buonismo di bassa lega.

La sintesi di quanto ho sostenuto poco fa la incarna Gabrielle Thomas che ha ottenuto la medaglia d’oro sui 200 metri in questa Olimpiade di Parigi gareggiando per gli USA. Neurobiologa di professione, ci indica che proprio nella scienza e nelle recenti acquisizioni in campo neurale grazie all’imaging diagnostico è la chiave che ci aiuterà a superare le differenze. Più infatti si comparano vari tipi di  cervello di qualunque genere e meno differenze vengono rilevate.

Ultimo in termini cronologici lo studio in co-working dell’Università di Tel-Aviv, del Max Planck Institute for Human Cognitive and Brain Sciences di Lipsia e del Dipartimento di Psicologia di Zurigo su 1400 cervelli tramite risonanza magnetica. Poi certamente esiste una alternativa organizzazione, un diverso funzionamento in cui gli ormoni avranno il loro ruolo,  in cui verranno applicate svariate strategie biologiche per arrivare ad abilità e risultati.

Andamento molto condizionato dall’ambiente a sua volta influenzato, specialmente in Italia, da stereotipi di genere.

Scorrono davanti agli occhi della mia memoria le immagini di questa lunga Olimpiade intensamente vissuta e ripenso alla performance della Sofia Raffaeli. Affrontare in finale la prova alle clavette dopo l’esercizio sbavato alla palla -che quando la allena nel nostro palazzetto per 100 volte, 100 volte le riesce alla perfezione ( con lei la palla non è un oggetto inanimato ma una presenza con cui dialogare ) non è cosa da  tutti. Trovare il CORAGGIO di farlo con determinazione, consapevole di essere stata spodestata dal primo posto del podio, nuotando in un mare di ansia e frustrazione  ma certa di vedere la riva, ci insegna tanto. A tutti noi che a volte ci resta difficile afferrare al volo un mazzo di chiavi.

Ripenso all’ argento di Nadia Battocletti sui 10.000 metri e a come negli anni si sia evoluto il concetto di FORZA. Già che mistura da MagaMagò, complessa e indivisibile. Una forza che viene declinata con la grazia delle farfalle della ritmica fiere del loro bronzo vinto sulle note armoniosamente affastellate dall’ indimenticato e inarrivabile genio di Ennio Morricone.

Penso all’oro delle coppie Tita Banti e di Bacosi-Rossetti che insieme competono in civilissimi sport che non fanno differenze di genere. Penso alla RESISTENZA, quella di Ginevra Taddeucci.

Resistenza che mai più ed in alcun modo verrà concepita come qualità propriamente esclusivamente fisiologica dovendo fare i conti con i vortici della Senna. E con tutto il resto nella Senna contenuto. Ma le donne non erano schizzinose? E ancora destrezza assoluta per Manila Esposito e Alice D’amato, coppia felice della ginnastica artistica che scambia il servizio con le due minime bellissime Errani-Paolini, in un doppio di complessità e allegria rimbalzando sulla coppia Consonni e Guazzini nella Madison di ciclismo. Poi Marta Maggetti nella vela, gli argenti delle squadre di fioretto e di ginnastica artistica, la determinazione disinvolta di Silvana Stanco nel trap che per essere donna esce dallo stereotipo di chi se la tira e l’oro di Alice Bellandi, jodoka libera di abbracciare con tutta la forza che le è rimasta in corpo la sua Jasmine sotto lo sguardo esterrefatto e imbarazzato della nostra premier. Sarebbe doveroso commentare anche il lungo elenco per i colleghi dell’ altro genere, ma per una volta che non scrivo di calcio e di uomini chiedo venia e rimando a tempi ulteriori.

Nei prossimi giorni avremo modo di leggere fiumi di considerazioni. Sarà una grazia perché sono state scritte parole come solo il confronto olimpico è in grado di magicamente permettere. Un passaggio storico tra un antico passato ed un futuro non ancora scritto. Certamente si dirà che il bottino non è stato all’altezza delle italiche aspettative, che si è evidenziato, specie nell’atletica un clamoroso evidente svarione temporale e bla bla bla. Mentre stanno salendo le bandiere ed inizia l’Inno di Mameli su un’Italvolley femminile tutta d’oro, immagine che rimarrà stampata incisa sgraffiata nella nostra memoria di occhi e cuore, auguro all’Italia sportiva che verrà di valorizzare al meglio le seguenti questioni all’interno delle Federazioni:

-la capacità organizzativa che permette di non sbagliare tempi e spazi

-l’educazione al coraggio alla voglia di rischiare, di accettare sfide e di vincerle

-metodologie che possano mettere gli atleti nell’orlo del caos, accettando il rischio di provare e di provarsi

-la capacità di pensare più in termini di funzioni che di ruoli fissi, una sorta di Brachetti way

-la capacità di saper interpretare le circostanze con intuito e intelligenza

-la capacità multitasking unita alla rapidità di pensiero, di anticipo

-l’abitudine a resistere e riprovare dopo l’errore con il coraggio che non si presta ma è conquista personale.

Che queste siano prerogative legate al genere non so. Riflettiamoci insieme lasciando Parigi.

STAY TUNED

4 risposte

  1. Errata corrige
    Per errore ho tralasciato nel copia incolla la frase che segue l’asterisco. Mi scuso con tutti

    E ancora destrezza assoluta per Manila Esposito e Alice D’amato, coppia felice della ginnastica artistica che scambia il servizio con le due minime bellissime Errani-Paolini, in un doppio di complessità e allegria*rimbalzando sulla coppia Consonni e Guazzini nella Madison di ciclismo.

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