Alla veneranda età di 39 anni e mezzo Cristiano Ronaldo ha rimpinguato il proprio bottino di reti con la nazionale portoghese. I gol con il Portogallo sono 132 in 214 partite. Media non straordinaria per un fuoriclasse di cotanto lignaggio ma all’insegna della costanza. Grazie alle due reti nelle gare di Nations League CR7 ha sfondato il muro delle 900 realizzazioni in carriera, consolidando la leadership come miglior marcatore di tutti i tempi.
Cristiano Ronaldo, nome che pure scritto a lettere cubitali, sembra sbiadire nelle menti dei giudici del pallone, quando si tratta di stilare le classifiche dei migliori di sempre. Che sia chiaro: non è certo questione di numeri, ché il portoghese ha infranto record su record, come uno scultore che cesella la sua opera senza mai fermarsi. Ma in questo gioco, dove la poesia del gesto conta quanto il rigore dell’azione, c’è sempre spazio per la discussione, per il gusto soggettivo e per l’inconscio collettivo che premia la magia, l’illusione, l’invenzione pura. Ed è qui che Ronaldo, l’altro, quello più recente, si trova inaspettatamente svantaggiato.
Il portoghese ha costruito la sua leggenda sulla perfezione del gesto atletico, sulla dedizione ferrea, sull’abilità di essere nel posto giusto al momento giusto, quasi come un predatore che sa esattamente quando sferrare l’attacco. Un predatore leggiadro, un leopardo più che un freddo pitone, ma sempre un predatore. Questo, per quanto incredibilmente efficace, è visto da molti come troppo “calcolato”, troppo “razionale”. La gente vuole il guizzo che spiazza, il dribbling che sembra un quadro di Monet, l’imprevedibilità del genio che in una frazione di secondo decide di fare ciò che nessun altro avrebbe mai immaginato.
E così, la narrazione calcistica si affeziona a Maradona, il Pibe che con la palla danza come se avesse il sole tra i piedi. Il pubblico è incantato da Messi, il funambolo che gioca come se seguisse un codice segreto scritto dagli dei del pallone. A imperitura memoria rimarrà Pelé, l’uomo che ha riassunto in sé il mito del calcio globale, tra gli anni delle battaglie epiche e le notti di gloria mondiale. Perfino il “Fenomeno”, Ronaldo, il brasiliano, riesce a stregare con quella sua aura di prodigio capriccioso, di colosso fragile che sfida il destino con il suo sorriso disarmante. Senza dimenticare “il profeta del gol”, quel Johan Cruyff portabandiera del totaalvoetbal, direttore di una filarmonica calcistica con un posto di prestigio nel Valhalla.
In questo contesto, Cristiano Ronaldo è come l’orologio svizzero che segna l’ora con una precisione ineccepibile, senza tuttavia far scoccare il colpo di teatro. Non è meno grande, intendiamoci: è meno magico, forse, ed è qui che risiede l’arcano. Ronaldo, il portoghese, è un monumento all’eccellenza atletica, alla forza mentale, alla professionalità estrema. Ma il pallone, si sa, è un teatro che premia in primis chi sa recitare fuori copione, chi sa inventare la giocata impossibile quando tutto sembra già scritto.
Cristiano Ronaldo è, a tutti gli effetti, uno di questi miti. Se si guarda alla sua carriera, non si può che inserirlo tra i grandi di sempre. La sua qualità, la sua forza mentale, la sua capacità di reinventarsi stagione dopo stagione, sono doti che sfidano il passare del tempo. L’immagine di Cristiano veicolata dai media è quella di un uomo che gioca solo per sé stesso o per le sue statistiche. Bollato con tale etichetta, CR7 viene sminuito anche dall’appassionato medio. Un osservatore obiettivo è consapevole che l’asso portoghese può stare a quel tavolo con Pelé, Maradona, Cruyff, Di Stefano, Ronaldo Fenomeno e Messi. L’espressione “sederci al tavolo” si prefigge naturalmente di avanzare alcun paragone. D’altronde, leggendo le classifiche di 10 riviste specializzate si nota un’enorme disparità nelle posizioni.
Cristiano Ronaldo ha fatto della perfezione quasi una nemesi personale. È un calciatore che sembra scolpito nel marmo, costruito con una dedizione monastica, una macchina di vittorie e risultati, un atleta che ha ridefinito cosa significhi avere fame di successo. La sua ossessione per l’eccellenza lo ha reso spesso una figura distante, difficile da amare nella sua umanità proprio perché, paradossalmente, ha cercato di superarla, quell’umanità. È come se quel rigore inflessibile, quel costante bisogno di dimostrare di essere il migliore, avesse finito per mascherare la sua essenza più profonda, quella che traspare solo nei gesti e nelle parole dei fuoriclasse eterni.
Dunque, ecco perché nelle classifiche dei migliori di sempre, in quel firmamento dove brillano i nomi di chi ha fatto innamorare il mondo del calcio, Cristiano Ronaldo, il pragmatico, trova meno spazio rispetto ai maghi, ai poeti del pallone. Il vero Ronaldo, per molti, resta quello brasiliano, il ragazzo col sorriso largo che sembrava giocare con una grazia che sfidava ogni legge della fisica, non il guerriero scolpito che ha dominato i campi d’Europa. Perché il calcio, in fondo, non è solo vittoria, non è solo conquista: è anche e soprattutto emozione, sogno, irragionevole attesa del miracolo. E in quel campo, gli dei della poesia del pallone rimangono imbattibili.
BIO: VINCENZO DI MASO
Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.
Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia.
Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.
Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.
Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.
Una risposta
Bel pezzo di storia molto ben narrata Vincenzo! Hai saputo ben armonizzare le variopinte etnie slave spesso scese bellicosamente in fraticidi contrasti intrecciandole con le amenita’ degli
accadimenti calcistici che molto spesso rappresentano l’unico trait d’union tra tifo e vita!
Un caro saluto.
Massimo 48