DREAM BOXES – HAPPEL STADIUM (EX PRATER): WHO YOU GONNA CALL?

STADIO: ERNST HAPPEL STADIUM

CAPACITÀ: 51.000

ANNO DI COSTRUZIONE: 1931

CITTÀ: VIENNA (Austria)

EVENTO MEMORABILE: MILAN-BENFICA, Finale di Coppa dei Campioni 1990

L’EVENTO MEMORABILE

La finale di Coppa dei Campioni del 1990 tra Benfica e Milan, giocata il 23 maggio a Vienna, è ricordata non solo per il secondo successo consecutivo del Milan di Arrigo Sacchi, ma anche per il legame con la cosiddetta “Maledizione di Béla Guttmann”. L’episodio è quello relativo all’allenatore ungherese Béla Guttmann, che nel 1962, con il Benfica, al termine della seconda conquista consecutiva della Coppa dei Campioni, lasciò il club lusitano in seguito ad una disputa salariale. Al momento dell’addio il magiaro avrebbe pronunciato la storica frase: “Il Benfica, senza di me, non vincerà più la Coppa dei Campioni”. Da quel momento la compagine di Lisbona è riuscita a raggiungere la finale di un torneo internazionale numerose volte, senza più riuscire, però, ad alzare in cielo alcun trofeo.

In vista della finale del 1990, il Benfica si preparava ad affrontare il Milan, con la speranza di interrompere quel periodo di sfortuna nelle finali europee. Ad alimentare questa speranza, nonostante il valore del Milan, una coincidenza particolare; Vienna, sede designata per la finale, era anche la città dove trovava sepoltura il corpo di Bèla Guttmann. La suggestione portoghese era tale che nei giorni precedenti la partita, il leggendario ex giocatore del Benfica, Eusebio, si recò a pregare sulla tomba dell’allenatore magiaro, chiedendo, simbolicamente, di cancellare la maledizione.

BÉLA GUTTMANN

L’intercessione di Eusebio, come noto, non ebbe effetti positivi. Sul campo, lo storico Prater di Vienna, il Milan si impose per uno a zero, per effetto del goal di Frank Rijkaard al minuto 68. La gara fu combattuta e dominata dal tatticismo. Il Benfica, allora guidato dal compianto Sven Goran Eriksson, riuscì a contenere bene la quadra di Arrigo Sacchi e fu inoltre capace di impensierire il Milan in un paio di occasioni, ma nonostante lo sforzo non riuscì a ribaltare il risultato. Al fischio finale il Milan alzò al cielo la sua seconda Coppa dei Campioni consecutiva, il Benfica, invece, crollò nello sconforto di chi avvertiva dentro di sé tutta la propria impotenza. Vienna divenne così per i portoghesi il luogo dell’amara suggestione: quella che sembrava essere la migliore ambientazione possibile per permettere una simbolica riconciliazione tra lo spirito di Gúttmann e le ambizioni del Benfica, si trasforma così nella più dolorosa tappa della celebre maledizione. Una tappa che vide il Prater teatro di un assurdo paradosso: quel luogo dove anche una finale scontata e poco spettacolare può diventare leggenda.

LO STADIO

L’Happel (Ex Prater) di Vienna è un’opera che unisce brutalità e fascino. Nonostante le trasformazioni, rimane un simbolo di un’epoca in cui l’architettura sportiva era essenzialmente pragmatica, lontana dalle complessità degli impianti moderni, ma capace di trasmettere una forza e una purezza rare.

Lo stadio di Vienna, con la sua imponente forma ellittica, è un esempio emblematico di un’epoca in cui gli impianti sportivi erano progettati esclusivamente per ospitare eventi atletici, senza considerare ulteriori usi o esigenze legate ad un pubblico abituato al comfort del divano di casa.

Costruito negli anni 30 Happel si distingue per il suo approccio essenziale e quasi “brutale” all’architettura, con design che ne dichiara in maniera netta e spontanea la sua vocazione sportiva.

Una delle sue peculiarità architettoniche è l’assenza di un vero e proprio sistema di facciata. L’intera struttura, infatti, si manifesta attraverso le raker, gli elementi strutturali che sostengono il catino dello stadio, scandendo in maniera semplice ma decisa il disegno del prospetto. Tra un “cavalletto” e l’altro, si inseriscono le scale che conducono agli spalti rendendo lo stadio un’opera architettonica schietta, dove la forma segue strettamente la funzione. Non vi è alcun tentativo di nascondere o abbellire l’aspetto strutturale: ciò che si vede è ciò che sostiene.

Un elemento aggiunto in un periodo successivo, ma altrettanto affascinante, è la copertura. Questa è un’opera ingegneristica di grande impatto visivo, realizzata con una struttura “estradossata”, rispetto al tetto, che genera una sorta di “tension ring” esterno, conferendo allo stadio un aspetto audace e tecnologico. Questa soluzione ricorda, in parte, le travi reticolari spaziali dello Stadio Olimpico di Roma, un riferimento non casuale nell’evoluzione delle coperture moderne per gli stadi.

Nonostante le successive aggiunte, come spazi dedicati all’hospitality, uffici, ristoranti ecc, tutti questi interventi sono stati pensati come corpi separati, non integrati nel design originale. Questi elementi sono stati inseriti con l’intento di rendere lo stadio più adatto agli standard contemporanei, senza tuttavia snaturare il linguaggio architettonico dei prospetti. Internamente, lo stadio conserva ancora la pista d’atletica, un segno tangibile della sua vocazione sportiva. Attualmente, l’Happel ospita principalmente le partite della nazionale e altri eventi sia sportivi che non, ma mantiene intatto il suo fascino austero, che richiama la tradizione degli stadi del passato, quelli progettati “vecchia maniera”, quelli che mantengono lo sport come l’unica esperienza che merita di essere vissuta.

BIO: Andrea Ferraro è un architetto. 
Durante la sua carriera, avuto la fortuna di lavorare per alcuni dei più importanti studi di architettura d’Europa e del mondo. La sua passione per il calcio lo porta a specializzarsi in architettura sportiva, e collabora attivamente alla progettazione di alcuni degli impianti che, negli anni avvenire, saranno il nuovo punto di riferimento nel settore delle sport venues.

Bio: Emmanuele Sanna:

Savonese, professore di geografia, appassionato di calcio. Ama esplorare le dinamiche urbane e comprendere come le città si evolvono e come le persone interagiscono con il loro ambiente. Dalla geografia e dal calcio ha imparato l’importanza della relazione tra spazio e tempo.

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