Totò Schillaci non fu semplicemente, nel corso di quel fantastico e sublime squarcio italico di fine secolo, il volto di un’avventura emozionante interrotta dal sortilegio napoletano di Maradona e purtroppo conclusasi con un terzo posto senza sconfitte: Totò fu l’istantanea, l’immagine, il dipinto di una nazione che inaugurando con il campionato del mondo l’ultimo decennio dello scorso millennio regalava al globo, anche con una certa supponenza mai volutamente velata, una poderosa sensazione di benessere a coadiuvare l’universalmente riconosciuta onnipotenza calcistica.
Totò ne fu la sublime condensazione, la sintesi della fusione: lampi di nobiltà all’interno di una struttura borghese e proletaria, sguardo immensamente illuminato di gioia ed incredulità a caratterizzare il viso pulito di un ragazzo non baciato dalla classe purissima e dal talento cristallino di alcuni compagni (ai posteri elevati all’indiscutibile rango di fuoriclasse assoluti) ma sorretto dagli dei, quando sono questi ultimi a decidere chi e cosa è da annoverare nell’ideale libro di diapositive da rendere, nel senso più strettamente letterale ed etimologico, apoteosi.
Totò, nel corso di quell’estate magicamente contraddistinta dalle sue notti e dalle sue reti, acquisirà per l’eternità, per apoteosi per l’appunto, la divinizzazione della propria immagine e delle proprie gesta. Proprio lui. Iconoclasta per estrazione ed evoluzione. E pensare che appena un anno prima della rassegna iridata Totò dispensava reti, con la maglia del Messina, nella seconda categoria nazionale: capocannoniere, con Zeman in panchina (dopo le tredici marcature dell’annata precedente con Franco Scoglio), in virtù delle ventitré reti siglate nel corso della stagione agonistica 1989-90, Schillaci fu poi acquistato dalla Juve che, guidata da Zoff, conquistò Coppa UEFA e Coppa Italia consacrando Totò quale elemento di caratura tale da poter essere convocato per l’osannato succitato mondiale casalingo, pur inizialmente non rivestendo nelle intenzioni di Azeglio Vicini il ruolo di titolare.
Sfiorò addirittura la conquista del pallone d’oro, assegnato a Lothar Matthaus quale conseguenza del trionfo teutonico in quel di Roma. Un lento declino caratterizzò le sue prestazioni nelle due successive stagioni in bianconero e poi all’Inter: concluse la carriera con i giapponesi dello Jubilo Iwata, risultando così il primo calciatore italiano ad approdare nella terra del Sol Levante.
Ciao Totò, indelebile cornice di un’Italia che fu.
BIO: ANDREA FIORE, con DIEGO DE ROSIS, gestisce la pagina INSTAGRAM @viaggionelcalcio.
2 risposte
Bel ricordo Andrea del grande Totò. Avrebbe meritato a pieno merito il Pallone d’oro!
Resterà per sempre nel cuore di tutti i tifosi.
Massimo 48
La vittoria di un uomo ,dimostrando che si può arrivare, anche se proveniente da una famiglia non certamente ricca. Ha dovuto ingoiare bocconi amari. Ma ora sarai a riproporre le notti magiche con Vialli aggiungendo Rossi , Riva , Prati. Eh si sono d’accordo con Massimo. Meritavi il Pallone d’oro .