“Signori si nasce” diceva il barone Ottone Spinelli degli Ulivi, interpretato da Totò nell’omonimo film del 1960 di Mario Mattoli. Un’esclamazione che il cosiddetto Zazà completava con un proverbiale “e io lo nacqui, modestamente”.
In sintesi: signori si nasce, non si diventa. Una verità inconfutabile che sottolinea quanto la ricchezza d’animo e l’eleganza siano qualità innate e non acquistabili al mercato. Principi che contano non solo nella vita, ma in ogni ambito, anche nello sport.
A fare il paio con la massima del Principe De Curtis è una frase pronunciata da Colin Firth in Kingsman: “i modi definiscono l’uomo”. Parole che provengono da un film di finzione ma raccontano una grande verità. Profonda, tangibile, sincera.
Nell’era dei sentimenti robotici, dei cuori plastificati e delle emozioni strozzate, il calcio sta progressivamente perdendo contatto con la realtà. Un cortocircuito irreversibile, sempre più povero di umanità, senso etico e virtù. Le regole del gioco sono cambiate: l’azione impulsiva ha accantonato il pensiero, la ragione è schiava dell’estemporaneità, la coerenza è l’ago solitario all’interno di un pagliaio. Una girandola di contraddizioni a calpestare il cartesiano “cogito ergo sum”, comunicazione e trattamenti asettici, freddezza istituzionale e principi carbonizzati, rispetto meno centrale e uno human touch pressoché invisibile.
Per fortuna esistono le eccezioni. Come Paulo Dybala, che ha rifiutato l’oro d’Arabia per restare a Roma, una scelta di vita in controtendenza con le attuali dinamiche dell’industria a testimonianza di quanto il prezzo della felicità sia più importante di qualsiasi altra moneta.
Uomini prima, professionisti poi. Davanti a tutto e tutti, di fronte alle continue prevaricazioni che popolano l’ambiente del pallone, a scelte surreali e illogiche, scriteriate e incomprensibili.
L’esonero lampo di De Rossi è l’ultimo atto del teatro dell’assurdo, registi che dall’alto non programmano ma improvvisano, modificano il copione senza preoccuparsi delle regole principali dello spettacolo, di attori e spettatori. Proprio loro, i tifosi, i meno considerati dal sistema ma i più importanti in assoluto, dodicesimo uomo in campo e elemento di cui il calcio, e insieme lo sport, non può fare a meno. Perché il futbol, come sottolinea puntualmente Marcelo Bielsa “non è solo i cinque minuti di highlights, è molto di più. È un’espressione culturale, una forma di identificazione”.
È partecipazione e comunità, gente che paga il biglietto per andare allo stadio a godersi uno show, per vivere momenti felici e condividere una passione, per vedere scene di giocatori e allenatori che festeggiano un gol. Immagini come quelle della Joya e di Daniele De Rossi che esultano guardandosi negli occhi e abbracciandosi: da una parte il beniamino del pubblico, dall’altra l’allenatore-bandiera con il sangue giallorosso, ex Capitan Futuro e nono Re di Roma. Fotogrammi che all’Olimpico non si vedranno più in seguito alla decisione del club di sollevare dall’incarico DDR, a sorpresa, tra stupore e incredibilità, dopo il recente rinnovo di contratto.
A brillare nella triste giornata di mercoledì 18 settembre, giornata di lutto per la scomparsa dell’eroe di Italia ‘90 Totó Schillaci, è stato il saluto toccante di Dybala a De Rossi, un messaggio sintetico ma pieno di affetto e sensibilità, merce rara al giorno d’oggi:
“Mister, non sono stati molti mesi, ma sono stati sufficienti per trasmetterci tante cose a livello sportivo e umano. Il calcio è spesso ingiusto…grazie per tutto e ti auguro il meglio per il tuo futuro”.
Ancora una volta a rimetterci è il calcio, con pochi giusti ad affrontare scelte ingiustizie e tanti tifosi a subirne le conseguenze, relegando il romanticismo a un ruolo sempre più marginale e lasciandolo alla mercé di delusione, rabbia e sconforto.
BIO: Andrea Rurali
Brianzolo Doc, classe 1988. Da sempre appassionato di cinema, tv, calcio, sport e viaggi.
- Lavoro a Mediaset dal 2008 e attualmente mi occupo del palinsesto editoriale di Cine34.
- Sono autore del programma di approfondimento cinematografico “Vi racconto” con Enrico Vanzina e co-regista dei documentari “Noi siamo Cinema” e “Vanzina: una famiglia per il cinema”.
- Dal 2014 dirigo la rivista web CineAvatar.it (http://cineavatar.it/)
- Nell’autunno 2022 ho fondato la community Pagine Mondiali e nell’estate 2023 la piattaforma sportiva Monza Cuore Biancorosso.
- Da agosto 2023 collaboro con la testata giornalistica Monza-News, scrivendo le analisi delle partite dei biancorossi e partecipando alla trasmissione Binario Sport.
- Dal 2019 collaboro con la casa editrice Bietti, in particolare per la realizzazione di saggi sul cinema inseriti nelle monografie di William Lustig, Manetti Bros, Dario Argento e Mike Flanagan.
- Tra le mie pubblicazioni, il saggio “Il mio nome è western italiano” nel volume Quando cantavano le Colt. Enciclopedia cine-musicale del western all’italiana (F. Biella-M. Privitera, Casa Musicale Eco, 2017).
Una risposta
A volte questo sport che amo ,mi delude molto. Scegliere di giocare in Italia e rinunciare al dio denaro non è da tutti. Poi succede il caso DDR che fa esplodere un altro caso . Le parole di Dybala sono l’espressione dell’uomo vero. Un ottimo articolo Andrea.