MATTEO COME GEORGE

Qualcuno strombazza per strada. No, non siamo a Milano nei pressi dello stadio di San Siro, ma in una cittadina del sud Italia, feudo del tifo rossonero. Forse sarà un po’ esagerato, ma vincere un derby dopo sei sconfitte consecutive è stata una grande gioia per tutti i tifosi.

Il gol di Matteo Gabbia, classe 1999, da Busto Arsizio, ha regalato la vittoria nel derby al Milan dopo le umiliazioni atroci che il popolo rossonero ha dovuto subire, tra le quali la terribile sconfitta di poco più di un anno fa per 5 a 1 e  l’1 a 2 del 22 aprile scorso che ha regalato il ventesimo scudetto all’Inter, un’onta difficile da dimenticare per noi rossoneri. Ma nel calcio, come nella vita, si deve guardare avanti e pensare sempre in positivo. Ma di good vibes non si poteva proprio parlare in questi giorni che hanno anticipato il derby. Serpeggiava un certo pessimismo, amplificato dalla pessima prova contro il Liverpool, che aveva ulteriormente minato le poche certezze di Fonseca.

Ma il tecnico, nato nel sud dell’Africa, deve aver fatto leva su tutta la sua bravura e sulla capacità di leggere le partite per rompere questo sortilegio. Tra le intuizioni del tecnico portoghese la presenza dal primo minuto di Gabbia al fianco di Tomori, l’uomo decisivo. Il suo gol è arrivato praticamente all’89’, quando si profilava un pareggio che alla vigilia sarebbe stato ben accolto dall’ambiente e dai tifosi, ma che sul campo andava più che stretto, viste le innumerevoli occasioni avute per andare in vantaggio. Da una situazione da fermo, da una punizione, è arrivata la palla che Gabbia ha indirizzato di testa verso la porta dell’Inter per il gol decisivo. Dopo il prestito al Villareal, era stato richiamato a Milano a gennaio scorso. La sua volontà è stata quella di restare e di giocare partite come queste. Voleva sentirsi parte del gruppo. Gran partita infatti la sua, con alcuni interventi decisivi, oltre al gol che di diritto entra nella storia della stracittadina.

Matteo avrà ricordato a molti quella volta che George Weah ridiede con un suo stacco di testa la vittoria del derby al Milan. Era il 23 ottobre 1999 e Matteo era un bimbo in fasce, nato solo due giorni prima, proprio nella settimana di quel derby.

Un predestinato, se vogliamo.

I nerazzurri, ritenuti i grandi favoriti per la vittoria di quel campionato, erano guidati da Marcello Lippi, i rossoneri campioni d’Italia in carica da Alberto Zaccheroni. Il Milan non vinceva il derby dalla stagione 1993/1994, per capirci quella della difesa impenetrabile e dei gol di beep beep Massaro, uno che ne sapeva qualcosa di reti nei derby all’ultimo minuto. Suo il gol vittoria nel derby di Pasqua 1991/1992, rinnovato da quello che marchiò all’ultimo minuto del derby di ritorno del 1994, sempre a Pasqua, che l’Inter era riuscita pure a raddrizzare con il gol dell’immenso e compianto Totò Schillaci, dopo il vantaggio per autogol di Bergomi su tiro di Savicević. E qualcuno iniziò a pensare a una speciale elezione divina per il buon Daniele.

Dopo quella vittoria non riuscimmo a vincere un derby di campionato per ben cinque anni, un’astinenza troppo lunga per noi tifosi.

In quel confronto di fine secolo successe di tutto.

Vantaggio dei nerazzurri con Ronaldo su rigore. L’espulsione del brasiliano cambiò una partita in mano ai nerazzurri e il Milan pareggiò grazie a una fortunosa carambola con Shevchenko, cecchino implacabile per i nerazzurri, primo dei quattordici gol segnati nel derby. A ridosso del 90’ Weah, che a detta sua stava giocando male e meritava di essere sostituito da Zaccheroni, sugli sviluppi di un calcio d’angolo realizzò di testa la rete del 2 a 1 e il derby fu vinto finalmente dal Milan.

Matteo come George.

A differenza del precedente del 1999, non sono passati tanti anni dall’ultima vittoria rossonera. Avevamo battuto i nerazzurri il 3 settembre di due anni fa per 3 a 2,  grazie alla doppietta di Leao e al gol di Giroud. Da allora, però, sei sconfitte pesanti, umilianti, addirittura decisive nell’assegnazione di titoli, e la sensazione di impotenza tattica e fisica di fronte ai nerazzurri. Per non bastare c’è stata pure la doppia sconfitta nella semifinale di Champions League.

Battere l’Inter era diventato complicato, difficile, come scalare il Monte Everest. Sono passati due anni, ma sembravano dieci dall’ultimo successo.

Per nostra fortuna è arrivato Matteo, quello che non ti aspetti, uno di quelli silenziosi che lavorano con serietà e professionalità e che in questi giorni ha fatto cerchio con i compagni attorno a Fonseca, l’hanno sostenuto a parole e con i fatti di una prova eccellente.

Matteo decisivo come George, Matteo provvidenziale come Daniele. 

Era l’uomo del destino.

Forse domenica è stato un giorno di svolta, ma intanto festeggiamo la vittoria nel derby perché vincere così, dopo tanta attesa, è più bello e gratificante e ci ripaga tanta sofferenza.

BIO VINCENZO PASTORE: Pugliese di nascita, belgradese d’adozione, mi sento cittadino di un’Europa senza confini e senza trattati.

Ho due grandi passioni: il Milan, da quando ero bambino, e la scrittura, che ho scoperto da pochi anni.

Seguire lo sport in generale mi ha insegnato tante cose e ho sperimentato ciò che Nick Hornby riferisce in Febbre a 90°: ”Ho imparato alcune cose dal calcio. Buona parte delle mie conoscenze dei luoghi in Gran Bretagna e in Europa non deriva dalla scuola, ma dalle partite fuori casa o dalle pagine sportive[…]”

Insegno nella scuola primaria, nel tempo libero leggo e scrivo.

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