L’INSPIEGABILE AMNESIA DELL’ESSERE

La disfatta di La Coruña

Tutto era iniziato in un pomeriggio uggioso di metà novembre, davanti a quei tifosi che l’avevano applaudito come centrocampista e che si attendevano tanto dalle sue abilità di allenatore.

Non fu un pomeriggio facile per Carlo Ancelotti. Un umile ma coriaceo Piacenza aveva resistito e messo il bastone tra le ruote al Milan nella festa di San Siro organizzata per Carletto. Gli acquisti dell’estate, Rui Costa e Inzaghi, offrirono una prova insoddisfacente, con il portoghese sostituito tra i fischi, mentre Shevchenko fu alquanto impalpabile. In campo si vide una squadra spaesata e macchinosa.

Ma tanta strada fece quel Milan che arrivò sino alla semifinale di Coppa UEFA e al quarto posto in campionato.

Dopo la qualificazione alla Champions League della stagione successiva, la dirigenza rossonera diede in dote al tecnico di Reggiolo una squadra di altissimo livello con gli innesti di Nesta, Seedorf,Tomasson e Rivaldo, che andarono a completare una rosa già ortima. Nacque lì l’intuizione (non l’invenzione, quella fu di Mazzone) di mettere Pirlo come playmaker basso nel 4-1-2-1 di un Milan che iniziò a interpretare un football di una leggerezza ontologica sublime, giusto per rifarsi al titolo del romanzo noto di Kundera. Il Diavolo giocava un calcio davvero divino e le vittorie, soprattutto in Champions League, furono emblematiche come quella a Monaco contro il Bayern, in casa del Deportivo La Coruna, travolto per quattro a zero e il successo in casa con il Real Madrid. A parte due battute d’arresto con il Chievo e la Juventus, in campionato il Milan chiuse il girone di andata al primo posto. Nel girone di ritorno ebbe un vistoso calo, con una media punti da metà classifica e, per questo, abbandonò la corsa per il titolo, anche perché le forze furono tutte dirottate sulla Champions League e la Coppa Italia, entrambe vinte dai rossoneri con pieno merito. La ricerca dell’estetica, del bel gioco, oltre la vittoria, fu  il leitmotiv che contraddistinse il Milan versione 2003/2004 forse il più bel Milan dell’era Ancelotti. Possesso palla, verticalizzazioni, cambi di gioco e accelerazioni improvvise segnarono tutta la stagione. A garantire vorticosi cambi di ritmo fu un giovanotto dal nome un po’ così per Moggi e compagnia bella, ma che in campo aveva i crismi del fuoriclasse: Kakà.

Le partite dei rossoneri furono una delizia per il palato di tutti i tifosi, e sarebbero un buon motivo per parlarne in un altro articolo, ma se volete avere un’idea immediata di quella squadra, andate a vedere il 2 a 0 di Shevchenko al Marassi contro la Sampdoria o il gol del due a zero di Tomasson sull’assist, con annessa sgroppata, di Kakà in Milan-Parma 3-1, giusto per farvi gli occhi e capire l’alto valore tecnico di quella squadra.

L’essere di quella squadra sapeva adattarsi all’avversario.

E allora ecco la straordinaria intuizione tattica dell’albero di Natale nella partita scudetto del 6 gennaio 2004 contro la Roma, una mossa che imbrigliò quella vecchia volpe di Capello. Ma nella straordinaria storia di amore e gioco tra il Milan e Ancelotti ci sono stati dei momenti difficili, se vogliamo anche di crescita, che quella squadra ha vissuto, amnesie all’apparenza inspiegabili alla luce della capacità di imporre il gioco, coincise con sconfitte davvero epocali e pesanti. Ovvio, nel calcio non si può sempre vincere, ma le partite perse di quel Milan hanno avuto il sapore della disfatta, delle serate nere, buie, dove la luce guida del gioco sembrava essersi spenta. Facile pensare alla notte di Istanbul, a quegli otto minuti di black out che vanificarono la più bella partita di quel Milan, a detta degli stessi interpreti. Altra notte da incubo, più per il risultato che per l’esito della qualificazione, fu la semifinale di Eindhoven contro il PSV, uno scampato pericolo prima della finalissima contro il Liverpool. Ma forse più inaspettata fu la disfatta di Là Coruña del 7 aprile 2004, proprio alla luce del risultato di andata, il roboante 4 a 1 con il quale il Milan annientò le velleità del Deportivo La Coruña. Quella partita fu una lezione di calcio ed è difficile comprendere cosa sia successo al Riazor.

Ma prima di andare in Galizia, andiamo allora a quel 23 marzo 2004, a San Siro.

Dopo il vantaggio del Rifle Pandiani il Milan si riversò nell’area avversaria con la veemenza di un leone ferito, la stessa che aveva messo in campo agli ottavi dopo il momentaneo pareggio dello Sparta Praga. Il Milan, arrembante e più che mai scatenato, trovò il pareggio con Kakà, stop di coscia e tiro al volo.

Magia.

Nella ripresa otto minuti di estasi. Shevchenko sembrò quasi danzare tra gli avversari prima di trafiggere con un tiro sul secondo Molina, poi ancora Kakà da fuori per 3 a 1. Quando Pirlo segnò il quarto gol su punizione, Ancelotti inquadrato mosse la mano con compiacenza come a dire ”ma che squadra è?”

Risultato finale 4 a 1 per il Milan, un buon viatico per il ritorno. Ma quel gol in trasferta poteva lasciare qualche dubbio in vista della sfida in Spagna. Galliani era preoccupato, troppa era l’euforia per quel 4 a 1. E come dare torto all’ambiente e ai tifosi dopo quella dimostrazione di calcio?

Qualche dubbio lo crearono le partite successive che fecero pensare a un piccolo calo. Il pareggio in extremis col Chievo, che risultò addirittura utile ai fini della classifica per la contemporanea sconfitta della Roma in casa col Bologna, e il pareggio opaco di Modena potevano fare pensare a un rifiatare fisico e mentale della squadra in vista della trasferta in Galizia. Ma restò alta la fiducia e invece…

Invece accadde che quei quarti di finale di ritorno videro uscire sorprendentemente le grandi favorite, tra cui il Real Madrid proprio il giorno prima, contro il Monaco. Ancelotti seguì l’ordine presidenziale elevato a editto il giorno dell’indimenticabile rimonta nel derby di ritorno di quell’anno, di giocare con due attaccanti. Che non sarebbe stata serata lo si capì dopo cinque minuti quando Pandiani portò avanti il SuperDepor. Gli spagnoli al 35’ raddoppiarono con Valeron e al 44’ erano virtualmente qualificati con il gol di Luque. Milan inesistente, la peggior copia della stagione.

Sembrò di rivivere la serataccia della semifinale di Coppa UEFA di due anni prima a Dortmund. Ma quello era un Milan in divenire, questa era già la forma del pensiero ancelottiano, la sua creatura più bella che aveva perso le sembianze del leone per esibire quelle di un gattino inerme e in balìa delle onde. Nella ripresa fu un’agonia lenta e crudele. Il gol di Fran spezzò definitivamente le gambe ai rossoneri. Il gran tiro di Rui Costa da fuori area fu brillantemente deviato in calcio d’angolo. Fu l’ultimo sussurro di una partita mai giocata dai rossoneri, l’epilogo di una stagione di Champions League che poteva finire diversamente, visto il gioco espresso e la gran qualità. Ma forse doveva andare così. Gli effetti di quel tracollo si avvertirono nella partita del sabato di Pasqua contro l’Empoli, battuto all’86’ solo da un rigore di Pirlo. Ciononostante, arrivò uno scudetto bellissimo, forse tra i più belli dell’era Berlusconi, ma restò l’amaro in bocca per quella trasferta sulle rive di quell’Atlantico che sa essere burrascoso e iracondo, come quella notte. Da tifoso è la sconfitta che più mi ha segnato, forse più di Milan-Liverpool a Istanbul.

“Non si vive celebrando le vittorie, ma superando le sconfitte” dice Marcelo Bielsa e questa sua citazione può essere calzante per quel Milan che, come l’araba fenice, riusciva sempre a trovare una seconda occasione per trionfare e ha imporre la sua estetica di calcio bello e vincente. Avvenne dopo il Riazor e avvenne dopo l’Ataturk.

BIO: VINCENZO PASTORE

Pugliese di nascita, belgradese d’adozione, mi sento cittadino di un’Europa senza confini e senza trattati.

Ho due grandi passioni: il Milan, da quando ero bambino, e la scrittura, che ho scoperto da pochi anni.

Seguire lo sport in generale mi ha insegnato tante cose e ho sperimentato ciò che Nick Hornby riferisce in Febbre a 90°: ”Ho imparato alcune cose dal calcio. Buona parte delle mie conoscenze dei luoghi in Gran Bretagna e in Europa non deriva dalla scuola, ma dalle partite fuori casa o dalle pagine sportive[…]”

Insegno nella scuola primaria, nel tempo libero leggo e scrivo.

2 risposte

  1. Gran bel pezzo di storia rossonera Vincenzo e sopratutto narrato con dovizia di particolari sfuggiti anche al più datato tifoso del Diavolo. Ed io che appartengo a quel rango da un sessantennio abbondante ricordo una ferita altrettanto dolorosa che avvenne subito dopo l’ingaggio del Profeta di Fusignano e sempre in terra iberica: fu la matta che subimmo ad opera dell’Espaniol!!
    Ma comunque il Presidente Silvio perdono’ il nostro Arrigo… ed i suoi fans sanno bene il perché!
    Un caro saluto.

    Massimo 48

    1. Grazie Massimo,
      Espanyol me la ricordo nella complessiva narrazione dell’epopea berlusconiana. Sicuramente deve essere stata un gran delusione perchè forse si poteva fare molto di più in quell’edizione di Coppa Uefa. La Coruna per me è stata una sconfitta inconcepibile, anche se c’erano tutte le avvisaglie della disfatta. Il Milan di Ancelotti ha sofferto di queste strane serate. Ma ce ne sono tante altre che mi hanno lasciato il segno come la finale di Monaco 1993, la sconfitta contro il Bordeaux, la finale di Coppa Italia del 1998 e ci aggiungo anche la notte di Marsiglia 1991.

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