PERCHÈ NESSUNO CREDE AL MILAN IN LOTTA PER LO SCUDETTO

Il Milan di Paulo Fonseca, alla terza vittoria consecutiva, sta finalmente trovando il suo passo dopo un inizio di stagione a dir poco traballante. Gli screzi, reali o presunti, tra il tecnico e il duo Leão-Hernandez? Un ricordo sbiadito. E come in un copione già scritto, la “premiata ditta” ha siglato l’ennesima perla: filtrante al millimetro del portoghese, scatto felino del francese. Un’accelerazione, una traiettoria, un solo esito possibile: palla in rete. Quando il talento si armonizza col sacrificio, tutto torna a essere tremendamente facile.

Il derby è stato più di un semplice spartiacque tattico. È stato un manifesto programmatico. Fonseca ha deciso di alzare la posta, schierando due punte. Morata e Abraham, due nomi che, se valutati separatamente, non promettono quei 20 gol stagionali che i tifosi sognano sotto la curva. Ma il calcio, lo sappiamo, non è mai solo numeri. Sono due giocatori che, più che capitalizzare, costruiscono. Non alzano solo il baricentro, ma anche il ritmo e l’intensità, sacrificandosi senza clamore, rendendo migliore tutto il sistema.

Morata è il manifesto vivente dell’efficienza silenziosa, il tipo di giocatore che fa brillare gli altri senza cercare i riflettori per sé. Non è più quel folletto scattante che ricordiamo nei suoi primi anni alla Juve, ma è stato il centravanti della Spagna campione d’Europa. Certo, non ha ancora trovato la via del gol su azione, e non lo si confonderà mai per un artista del pallone, ma il suo contributo è invisibile solo per chi non sa cosa guardare. Dal canto suo l’ex Chelsea e Roma non è l’uomo dai numeri ma il catalizzatore che fa funzionare il meccanismo di squadra.

Perché allora il Milan è snobbato dai critici?

C’è una strana amnesia collettiva che pervade il mondo del calcio italiano, soprattutto quando si parla del Milan e delle sue ambizioni per lo scudetto. È una dimenticanza che ha radici profonde, che partono dalla controversa scelta del tecnico, alimentata da una narrazione che fatica a staccarsi dai binari della tradizione. Quando si parla di Juventus, Inter o Napoli, si scivola su concetti familiari: la solidità difensiva della prima (zero gol subiti finora), il pragmatismo vincente della seconda, la capacità di Conte di non mollare la vetta. Pertanto, quando arriva il momento di considerare il Milan di Paulo Fonseca, i commentatori nicchiano.

È vero, l’inizio di stagione dei rossoneri non è stato esattamente quello di una squadra lanciata alla conquista del campionato. Qualche risultato balbettante, e subito gli esperti hanno cominciato a tirare fuori l’ormai inflazionato “giocare bene non basta”. Tra l’altro nelle prime gare non si è nemmeno visto questo gran gioco. Fonseca, etichettato come un “giochista”, sembra soffrire la solita accusa mossa a chi cerca di dominare il pallone: è bello da vedere, ma alla fine non porta trofei.

Il derby vinto contro l’Inter – che ultimamente aveva fatto del Milan la propria vittima sacrificale – sembra però essere un promemoria che Fonseca e i suoi non possono essere liquidati così facilmente. Il tecnico portoghese, spesso criticato per non garantire quell’equilibrio tattico che tanti in Serie A considerano essenziale, sta gradualmente costruendo una macchina che, se riuscirà a trovare la giusta alchimia di gruppo, potrebbe sorprendere più di un osservatore distratto.

Certo, la coppia difensiva Tomori-Pavlovic non ha ancora raggiunto il livello delle cattedrali erette da Motta e Conte, e l’innesto di Gabbia la dice tutta. Lo si nota nelle fasi difensive, dove la disattenzione o un movimento mal calibrato possono costare caro. Ma il calcio è fatto anche di equilibri che si trovano strada facendo, e l’impressione è che questa difesa, pur non essendo la più impenetrabile del campionato, possa migliorare quando sincronizzata con l’aggressività e il pressing alto tipici del gioco di Fonseca.

Non è un caso che nelle ultime tre giornate il Milan abbia ritrovato un filo conduttore importante: non solo ha vinto, ma ha giocato un calcio che comincia a somigliare a quello che Fonseca sogna da sempre. L’esplosività di Rafael Leão e la creatività di Pulisic, supportate da una manovra fluida che coinvolge tutti, da centrocampo alla difesa, sono segnali chiari di una squadra che, se trova continuità, può far rivedere i giudizi di esperti da studio, bookmakers e semplici commentatori da bar.

L’equivoco nasce forse proprio da qui: il Milan di Fonseca non è una squadra che puoi giudicare con i metri di paragone tradizionali. Non troverai qui la solidità di ferro della Juve di Motta, né l’equilibrio quasi chirurgico dell’Inter di Inzaghi tantomeno la cattiveria del Napoli di Conte. Ma il potenziale è lì, visibile per chi vuole vederlo. Il Milan di Fonseca è un’opera in divenire, un mosaico che ha bisogno di tempo per essere completato. E il tempo, come sappiamo, non è mai stato un alleato fedele nel calcio italiano.

Ecco allora perché molti snobbano il Milan: il loro calcio non è ancora comprensibile agli occhi di chi cerca l’immediato, il risultato garantito, l’efficacia sicura. Ma il gioco, quello sì, promette più che bene. E se Fonseca riesce a trovare l’equilibrio che gli è sempre stato rinfacciato, quel “giocare bene non basta” potrebbe trasformarsi in “giocare bene e vincere”. E a quel punto, sarà interessante vedere chi avrà ancora il coraggio di snobbare questo Milan.

BIO: VINCENZO DI MASO

Traduttore e interprete con una spiccata passione per la narrazione sportiva. Arabista e anglista di formazione, si avvale della conoscenza delle lingue per cercare info per i suoi contributi.

Residente a Lisbona, sposato con Ana e papà di Leonardo. Torna frequentemente in Italia. 

Collaborazioni con Rivista Contrasti, Persemprecalcio, Zona Cesarini e Rispetta lo Sport.

Appassionato lettore di Galeano, Soriano, Brera e Minà. Utilizzatore (o abusatore?) di brerismi.

Sostenitore di un calcio etico e pulito, sognando utopisticamente che un giorno i componenti di due tifoserie rivali possano bere una birra insieme nel post-partita.

Una risposta

  1. Ancora un bell’articolo Vincenzo!
    Analisi che non fa una grinza. Aggiungo un mio personale parere su quanti al primo segnale di un Milan asmatico si affrettato a scomodare il prete!
    Ci sono ancora in giro, nonostante la sua scomparsa, tanti antiberlusconiani che fondono all’unisono sport e politica e se la godono a vedere il Diavolo avvolto dalle proprie fiamme!
    Un caro abbraccio.
    Massimo 48

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