IBRAHIM BÁ

“Porta il capello biondo

La maglia rossonera

Il passo da pantera

Si chiama Ibrahim Ba!

Ibrahim Ba! (clap clap)

Ibrahim Ba! (clap clap)”

Sulla melodia della sigla de “La Famiglia Addams”, i tifosi rossoneri coniarono questo coro la sera del 24 luglio 1997 allo stadio Brianteo di Monza in onore di Ibrahim Ba, detto Ibou, nella prima amichevole estiva del Milan, un Milan reduce da una stagione a dir poco problematica.

Anzi, fu una stagione proprio da dimenticare.

Eliminazione in Champions League da parte del Rosenborg che arrivava dai preliminari, undicesimo posto in campionato con Oscar Tabarez sulla panchina rossonera, sostituito poi dal ritorno di Arrigo Sacchi, in una squadra dai mille problemi di amalgama, spogliatoio e qualità.

La campagna acquisti estiva portò a Milano questo giovane francese dai capelli biondi, tinti come il suo idolo Dennis Rodman, ai tempi dominatore dei tabelloni NBA nei Chicago Bulls di Michael Jordan.

Nato a Dakar in Senegal ma cresciuto a Le Havre, dove il padre Iboua era pure lui un calciatore professionista, Ba arrivava da una ottima stagione al Bordeaux, attirando su di sé gli occhi di tutte le grandi squadre europee, dal Real Madrid all’Arsenal, dal PSG alla Juventus, tutte avevano notato quella sgusciante ala destra del Bordeaux, ma il più lesto fu il Milan, che con Ariedo Braida aveva seguito con minuziosa cura tutta la sua stagione in Gironda, portandolo a Milano per 11 miliardi di lire.

Visto da tutti con curiosità e simpatia, vi erano moderatamente grandi aspettative su di lui, quando arrivò la prima partita ufficiale, la già citata gara contro il Monza al Brianteo.

Il Monza, al tempo neopromosso in Serie B, trovò l’inaspettato vantaggio con Pietranera di testa, poi Ba salì in cattedra, un paio di folate sulla destra con relativi insidiosi cross al centro, fino ad arrivare a ciò che si rivelerà poi essere l’apice della sua carriera rossonera, lo slalom palla al piede partendo da centrocampo, dribbling anche sul giovanissimo portiere brianzolo Christian Abbiati al limite dell’area, e rete del pareggio assolutamente d’autore.

E fu subito follia.

Il Milan aveva trovato un folletto capace di infiammare ed esaltare, proprio quello di cui c’era bisogno, vibrazione, talento ed estro.

I paragoni si sprecavano, i commentatori di Mediaset (che trasmetteva la partita) erano entusiasti, la velocità di Faustino Asprilla, tocco da campione come George Weah, il tenore dei paragoni era quello.

Bastò quel gol, al Numero 13 rossonero, per fare innamorare calcisticamente tutto il popolo milanista, tra cui ovviamente il Presidente Silvio Berlusconi, che lo definì “il nostro beaujolais nouveau, frizzante, spumeggiante, ma anche molto tecnico, ma per me non è una scoperta, l’avevo visto in cassetta”.

Ma come detto quella rete fu l’apice di tutta la sua permanenza a Milano.

Qualche passaggio a vuoto ad inizio campionato, alcune belle giocate ma anche tante, troppe prestazioni inconsistenti, una rete nella seconda giornata contro la Lazio, e comunque 11 assist in stagione per lui, che nonostante l’annata ancora una volta deficitaria per il Milan, che terminò il campionato in decima posizione, sconfitto nella finale di Coppa Italia dalla Lazio (1-0 per i rossoneri a San Siro, e 1-3 al ritorno allo Stadio Olimpico), si rivelò essere tutto sommato una nota positiva.

Da quella stagione in poi però Ibou venne utilizzato sempre meno dal nuovo allenatore Alberto Zaccheroni, che portò il Milan alla vittoria dello Scudetto, in cui Ba non fu tra i protagonisti, giocando sempre scampoli di partita senza mai brillare.

Da qui per il giocatore francese iniziò la sarabanda di prestiti e squadre, quasi sempre senza trovare spazio e condizione, sprofondando sempre più nell’abisso di mediocrità che purtroppo lo contraddistingueva.

Arrivarono le esperienze al Perugia e in Francia all’Olympique Marsiglia, poi in Inghilterra al Bolton, in Turchia Caykur Rizespor, in Svezia al Djurgarden (con i quali vinse campionato e Coppa di Svezia), un provino al Derby County (non ritenuto idoneo), e il ritorno al Milan senza velleità nella stagione 2006/07, subito dirottato ad allenarsi con il Varese in Serie C2, per poi venire rinnovato anche l’anno successivo 2007/08, senza collezionare nessuna presenza e senza essere mai stato nemmeno in panchina.

Fu una mesta fine di carriera per Ibrahim Ba, che tra l’altro vantava anche 8 presenze e 2 gol con la nazionale transalpina, un giocatore certamente sopravvalutato, e che forse fu troppo presto additato come un salvatore della patria dai media e dai tifosi.

A sua discolpa va detto che non ha mai preteso di essere colui che non era, il suo atteggiamento non è mai stato un atteggiamento da superstar.

Con il senno di poi, anche ricordando alcuni suoi cenni biografici, si evince che il suo amore per il gioco del calcio non è mai stato spasmodico, appassionato ed innato come molti altri giocatori, che avevano “fame” di calcio, che vivevano in maniera viscerale lo sport, in cerca di affermazione o riscatto.

Ibou è cresciuto all’ombra del padre, personalità sportiva di primo piano in Senegal ai tempi, soprannominato la Pantera Nera e giovane capitano della nazionale, e per quanto Ibrahim abbia comunque ottenuto, nonostante tutto, risultati di gran lunga migliori del padre, il suo probabile complesso di inferiorità nei confronti del padre può aver influito sulla vera passione per il gioco del calcio, portandolo a trascurare molti aspetti motivazionali, tecnico tattici e fisici, dell’essere calciatore di massimo livello. 

Poi è chiaro, come canta il rapper napoletano Lefar “tu no sì né Mbappé né Messi né Neymar”, Ba forse non sarebbe stato un giocatore di prima fascia nemmeno se avesse avuto il sacro fuoco calcistico dentro di sé, e i tifosi del Milan si accorsero quasi subito di questo.

Nonostante le aspettative di quell’estate 1997 Ibou quindi non fece la differenza, ma viene ricordato ancora oggi da tutti i tifosi rossoneri con malcelata simpatia.

Nota a margine divertente, nella cavalcata rossonera verso la vittoria dello Scudetto del 1999, il personaggio tifoso del Milan Peo Pericoli, interpretato da Teo Teocoli alla trasmissione Mai Dire Gol, proferì su di lui delle parole sante, da scolpire nella pietra:

“Ba non gioca mai, ma in panchina è quello che esulta meglio”

E aveva ragione.

BIO: Daniele Vecchi è un giornalista, scrittore, commentatore, TV producer e Communication Manager di Ferrara. Ha scritto 12 libri di basket, calcio e narrativa, è appena uscito il suo nuovo libro LUKA DONCIC – IL GIOVANE DELLE MERAVIGLIE. 

Ex musicista, da sempre nel mondo dello sport, commenta la Bundesliga per Sky Sport Switzerland, il Guinness Six Nations di rugby, collabora con La Giornata Tipo, con la Lega Volley Maschile e con la CEV (Confédération Européenne Volleyball).

Una risposta

  1. Gran bell’articolo Daniele, complimenti! Ricordo bene Ba lo vidi una volta giocare all’Olimpico e dalle sue imprevedibili e sguscianti movenze ci saremmo attesi fuoco e fiamme e invece fu soltanto un fuoco di paglia esauritosi con quel goal al Brianteo! Ricorda un certo Oliveira che fece al suo esordio a San Siro un magnifico goal contro la Lazio e poi…. una meteora esattamente come quella di Ba!
    Un caro saluto.

    Massimo 48

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