MILAN – UDINESE 1-0: VI VOGLIAMO COSÌ

Foto di copertina via IG: AllMilan.it

La partita contro l’Udinese arriva dopo l’ennesima interruzione per le nazionali. Inutile sorprendersi della quantità di infortuni gravi o gravissimi occorsi tra settembre e ottobre, ovvero a inizio campionato: Rodri, il mio Pallone d’Oro che, verosimilmente, come altri giganti prima di lui, non lo vincerà, il terzino destro del Real Madrid e della nazionale spagnola, Dani Carvajal. E ancora Scamacca, addirittura nel precampionato.

I legamenti crociati si sono sempre rotti, in ogni stagione dell’anno, è vero, ma un dato è ineludibile e proprio il mediano del City provò a sottolinearlo in conferenza stampa, pochi giorni prima che l’incidente capitasse a lui: si gioca troppo, per troppi mesi, a elevata intensità, senza quelle pause che non sono un vezzo, ma una necessità per il recupero fisico. In questo senso le soste – pseudo-soste, perché si fermano solo le competizioni locali – per la Uefa Nations League o la nuova formula della Coppa del mondo per club sono e saranno dei peggiorativi. I cambiamenti previsti a partire dal 2026, con tre soste più lunghe anziché quattro, non incidono su questi aspetti che continueranno a restare problematici e troppo poco dibattuti (o dibattuti in modo becero, guardando il dito e non la luna).

Questo match contro l’ottima squadra di Runjaić, una delle rivelazioni della prima parte del campionato, arriva anche dopo un annuncio del quale è complesso comprendere ragioni reali e contorni, si potrebbe dire, ideologici: le dimissioni forzate di Alex Ferguson dal ruolo di ambasciatore del “suo” Manchester United, allenato ininterrottamente per la bellezza di ventisette anni, dal 1986 al 2013. Difficile davvero non definirla un’era.

Insomma, era la vigilia di Natale dello scorso anno quando, con un post sui social, come si usa fare adesso, la proprietà dei Red Devils annunciò che il presidente di Ineos, Sir Jim Ratcliffe aveva raggiunto un accordo per l’acquisizione del 25% delle azioni di classe B e fino al 25% delle azioni di classe A dello United. Sky Sport stimò l’investimento in 1,2 miliardi di sterline. Ebbene, pare che proprio Ratcliffe ne avesse abbastanza delle ingerenze, non proprio da di anziano ambasciatore di facciata, di Sir Ferguson, in odore, tra le altre cose, di favorire le movimentazioni del figlio procuratore. La reazione di una gloria, poco incline, da sempre, alla diplomazia, come Eric Cantona non si è fatta attendere: “Sir Alex Ferguson should be able to do anything he wants at the club until the day he dies. Such a lack of respect. It’s totally scandalous. Sir Alex Ferguson will be my boss forever! And I throw them all in a big bag of shit!” La parte traducibile (!) dice sostanzialmente che l’ex manager deve poter fare ciò che vuole al club e che il suo allontanamento coatto rappresenta una gravissima mancanza di rispetto.

Più cauto David Beckam che con il fumantino Sir scozzese ebbe una lite che ha fatto storia a sé (quella famigerata del lancio dello scarpino, per intendersi).

Al di là delle posizioni rispettabili di ciascuno, pare che la decisione di Ratcliffe – così ipotizza il Times – sia dovuta non tanto al minimo risparmio economico (sono comunque circa due milioni all’anno), quanto piuttosto alla natura ingombrante del personaggio. Scrive Matthew Syed sul Times, in un articolo il cui titolo, “Ignorate gli adulatori, Jim Ratcliffe ha ragione a porre fine all’incarico di Alex Ferguson”, non lascia adito a dubbi: “No wonder that some within Old Trafford believed that, far from being a marketing boon to the club, Ferguson was turning into Banquo’s ghost.” (Non c’è da stupirsi che alcuni all’interno dell’Old Trafford credessero che, lungi dall’essere un vantaggio sul piano del marketing, per il club, Ferguson si stesse trasformando nel fantasma di Banquo).

Per di più, e forse questo sarà avvertito come lo smacco più insopportabile nei confronti di Ferguson, l’allenatore più vincente nella storia dei Red Devils non sarà più autorizzato (questo è trapelato, almeno) a recarsi negli spogliatoi alla fine delle partite.

In altre parole, e sempre citando il Bardo, fucina inesauribile di spunti critici, come dice Imogen nel Cimbelino: “Vi ringrazio, dicendo che sono povera di ringraziamenti, e non ne posso sprecare.”

Grazie di tutto e avanti il prossimo. Sì, è lecito, dal punto di vista aziendale e anche da quello sportivo, ma è sempre corretto? E soprattutto, davvero non vale nulla il detto latino per il quale “est modus in rebus”? Anche al Milan ci siamo fatti e ci facciamo questa domanda da un po’ di tempo, in relazione a vicissitudini presenti o del recente passato.

Quello che mi chiedo è: siamo sicuri che queste siano le modalità migliori di gestione della crisi? Oppure serve, a ogni latitudine, qualche capro espiatorio da immolare all’occorrenza per spostare la responsabilità lontana dai centri decisionali, e quindi del potere (quello reale, non quello sbandierato)? I convitati di pietra ci mettono in difficoltà, ma proiettare fuori ciò che sta principalmente dentro un sistema inceppato non mi pare un’idea vincente, nel calcio e nella vita, in generale.

Alla fine di questo lungo preambolo, tocca precisare che la gara contro l’Udinese arriva inoltre dopo uno dei – speriamo! – nadir della stagione milanista: la partita al Franchi contro la Fiorentina di Raffaele Palladino. Il risultato ci rammarica (e personalmente mi ha rammaricato vedere Yacine Adli con gli occhi lucidi dopo il gol, ma questa è un’altra storia), ma ciò che più spiace è l’atteggiamento, anzi, gli atteggiamenti, a cui abbiamo assistito, in una coazione a ripetere che non può essere derubricata a “giornata storta”. Un capitano, Theo Hernandez, che si lascia sopraffare dalla rabbia e dagli errori – suo, spiace dirlo, quello principale sul secondo gol viola – come pure una certa leggerezza – o la vogliamo chiamare manifesta insubordinazione? – nel decidere chi mandare sul dischetto, non in una, ma in ben due occasioni. Se il rigorista designato è Christian Pulisic, a cosa abbiamo assistito?

Del resto non dobbiamo, dopo aver ragionato sulle insidie dell’attribuzione errata di responsabilità, incorrere nella fallacia di Gaber: sì, in passato ci siamo sorbiti atteggiamenti sgradevoli, non ultimo quello del cooling break contro la Lazio, ma se qualcosa non funziona in campo, è probabile che qualcos’altro non funzioni dietro le quinte, a un livello che non è facile percepire da fuori. Ha risposto bene il mister nella conferenza stampa pre-partita: “abbiamo un problema e io non chiudo gli occhi di fronte ai problemi.” Ha poi aggiunto, asserendo di non avere remore nel parlare con nessuno: “Di fronte ai problemi, non si guarda di lato, si agisce frontalmente”.

Ciò che è stato può cambiare: abbiamo già avuto qualche timida prova. Da parte mia, parere personalissimo, non vedo di buon occhio la stampa che sembra volerci far dubitare dei nostri giocatori o della fiducia della società verso l’allenatore. Sembra un mantra di autoconvincimento, ma deve esserlo: c’è bisogno di tempo e della giusta serenità. Se vogliamo che i semi siano in grado di maturare i loro germogli, è necessario fare così.

Spiace che la partita, secondo quando rilevato dalla Gazzetta dello Sport, sia stata accompagnata da cori offensivi, sebbene, a quanto riportato, non a sfondo razzista, a Mike Maignan, da parte del settore ospiti (immagino e spero di una esigua minoranza, ma va comunque detto). Il pregresso – quello, sì, con epiteti razzisti – è datato gennaio 2024: il portiere milanista, facendo una cosa giusta, a mio avviso, non solo sul piano della sensibilità personale, ma su quello dell’etica dello sport, si era allontanato dal campo di gioco, rifiutandosi di proseguire, se gli insulti contro di lui non fossero cessati.

Dispiace anche, ma ovviamente su un livello completamente diverso, che la partita contro l’Udinese si stia portando dietro una coda di polemiche in taluni casi al limite dell’umana comprensione. Perché se ieri sera la squadra rossonera è stata favorita in qualche modo dall’arbitraggio, mi chiedo come sia stato possibile aver visto due match tanto diversi.

Con questo, sia chiaro, non intendo indulgere negli sterili piagnistei post-gara, secondo i quali ogni responsabilità è sempre endogena: sono state prese soggettive decisioni che non sempre ho condiviso, specie per quello che ho reputato un divario nella severità del giudizio (poche sanzioni per la fallosa Udinese, ad esempio); è stato infine annullato un gol della squadra friulana per un fuorigioco impercettibile a occhio nudo, ma riscontrabile al VAR. La partita è peraltro proseguita fino al centoduesimo minuto: quasi un tempo supplementare. Mi auguro che i nostri detrattori a prescindere ricordino i due – sì, ben due – gol annullati per fuorigioco di qualche millimetro a Chukwueze, nel Sassuolo – Milan dello scorso campionato (14 aprile 2024, per chi fosse curioso di andare a vederseli). La memoria, per sua natura, tende a essere selettiva, ma Youtube può soccorrerci al bisogno.

Con una formazione rivisitata per necessità (l’assenza obbligata di Theo) e per scelte tattiche, mister Fonseca torna, contro l’Udinese, a un 1-4-2-3-1, con Morata unica punta e Pulisic centrale, in mezzo a Okafor e Chukwueze.

Finalmente rivediamo, accanto a Thiaw, anche Pavlovic, il cui limite più grande, al momento, mi sembra quello del tempismo: sale troppo rapidamente e rischia di scoprirsi. Nulla che non si possa correggere. Il Milan parte forte, con pressing ben eseguito e lucidità di intenti, proprio ciò che era del tutto mancato nella gara precedente al Franchi.

La capacità di “risucchiare” e prendere in controtempo la difesa avversaria, anche grazie all’ottimo lavoro di Morata, non un grande bomber, ma un grande giocatore, porta presto i suoi frutti. Arriva così, intorno al tredicesimo minuto, un gol impostato da Okafor, rifinito dall’intelligenza calcistica superiore di Pulisic, che fa la scelta meno egoistica, e finalizzato da Samuel Chukwueze, non di rado un po’ pasticcione o troppo poco attento ai movimenti dei compagni, ma chirurgico in questa occasione.

Verso la mezzora del primo tempo, l’episodio che ha cambiato la storia della partita: l’espulsione di Tijjani Reijnders. Le valutazioni da fare sono di duplice ordine e vanno condotte senza isterismi di sorta. Da una parte ci sono i quattro parametri del DOGSO – direzione dell’azione, probabilità di mantenere (in questo caso, N.d.R) o guadagnare il controllo del pallone, distanza dalla porta e numero di difendenti (nella fattispecie il più vicino, Thiaw, si trovava a diversi metri) – dall’altra c’è la dinamica dell’azione di gioco, come sottolineato da Stramaccioni. Allora, c’è poco da risentirsi: la decisione dell’arbitro è stata corretta secondo regolamento (che non tiene conto della volontarietà del fallo, qui decisamente involontario), ma lo stesso regolamento avoca a sé qualcosa che invece dovrebbe poter appartenere alla dinamica dell’azione e dunque alla valutazione hic et nunc del direttore di gara. Reijnders infatti, e si vede con chiarezza, non solo non compie fallo in modo volontario, ma esegue come un piccolo passetto indietro, per evitare il contatto con l’opponente. Si può dire che l’olandese sia stato troppo ingenuo? Diciamolo, d’accordo: fallo di ingenuità difensiva.

In conclusione, l’arbitro ha applicato in modo rigoroso il regolamento, mentre ha, dal mio punto di vista, commesso un errore in occasione dello step on foot (& ankle) di Touré su Chukwueze. Il fallo è stato giudicato da Luca Marelli di DAZN da cartellino rosso, ma non è stato estratto neppure il giallo. Inutile farla lunga: l’arbitro è chiamato a una molteplicità di valutazioni, la maggior parte delle quali devono essere prese in una frazione di secondo. L’errore è umano e va accettato: non è sano né rispettoso invocare il dolo a ogni piè sospinto. Tuttavia non si può mentire: giocare in dieci contro dieci avrebbe riequilibrato le nostre sorti e magari anche la spettacolarità di un match ripiegato su sé stesso per ovvie ragioni.

Il Milan, in inferiorità numerica, si è dovuto riadattare più volte. Dapprima Pulisic, a cui non difetta il talento e neppure l’abnegazione verso i compagni, ha persino affiancato Fofana a centrocampo, in un malfermo 1-4-4-1 (con Chukwu e Okafor chiamati, con alterne fortune, a stare più bassi). Nelle fasi finali del secondo tempo, dopo l’ingresso di Tomori, Fonseca ha ricercato una sorta di 1-5-3-1, poco provato e quindi invero piuttosto caotico.

Proprio negli ultimi minuti di una partita tutto sommato equilibrata – lo è stata anche in dieci, se si pensa che Abraham, che mi auguro abbia subito un infortunio il più lieve possibile, ha mancato una netta occasione per il raddoppio milanista – è arrivato il pareggio dell’Udinese, con il gol di testa di Kabasele, in seguito annullato dalla verifica del VAR, per la posizione di Jurgen Ekkelenkamp. Concettualmente va portato avanti lo stesso ragionamento fatto nel caso dell’espulsione: un fuorigioco microscopico ha senso di esistere? A mio parere no perché in nessun modo si viene a creare una situazione di squilibrio oggettivo. Però la regola è questa ed è una regola millimetrica perché oggigiorno la tecnologia consente di avere dei tracciati che valutano anche la presenza di una punta dello scarpino oltre la linea dell’off side. Soprattutto: è una regola che vale per tutti. Si può, e probabilmente si dovrebbe, ripensare la regola stessa, ma non si può gridare allo scandalo, se viene applicata per quella che al momento è (mai a favore della propria squadra, in quel caso è sacrosanta, ci mancherebbe…).

In definitiva la vittoria del Milan, una vittoria di sofferenza, finalmente da squadra coesa, attiene in un certo senso a un concetto dell’antichissima kalokagathia: è stata bella e, dunque, non può non essere buona (e viceversa).

P.S. In conferenza stampa, l’attuale allenatore del Marsiglia, Roberto De Zerbi, ha ricordato la tragica scomparsa dei tre giovanissimi tifosi del Foggia, avvenuta pochi giorni fa, al ritorno da una partita della loro squadra del cuore. Ci uniamo alle parole del mister, esprimendo la nostra vicinanza e le nostre condoglianze più sentite alle famiglie.

Perché noi ci accaloriamo, tifiamo, ci infervoriamo, anche, per il risultato di una partita, che ci sembra ingiusto, e per torti arbitrali veri o presunti, ma un dato va tenuto in mente, sempre: il calcio è la cosa più importante fra le cose meno importanti.

MILAN (1-4-2-3-1): Maignan; E. Royal, Thiaw, Pavlović, Terracciano; Fofana, Reijnders; Chukwueze (dall’88’, Tomori), Pulisic, Okafor (dal 46’, Musah); Morata (dal 73’, Abraham, dal 78’, Loftus-Cheek). A disp.: Sportiello, Torriani; Bartesaghi, Jiménez, Tomori; Loftus-Cheek, Musah; Abraham, Leão, Liberali. All.: Fonseca.

UDINESE (1-3-5-2): Okoye; Kabasele, Bijol, Touré; Ehizibue (dal 60’, Kamara), Lovrić (dal 70’, Payero), Karlström (dall’81’, Brenner), Zarraga (dal 69’, Ekkelenkamp), Zemura; Bravo (dal 60’, Davis), Lucca. A disp.: Padelli, Sava; Abankwah, Ebosse, Kamara, Giannetti, Palma; Ekkelenkamp, Payero, Rui Modesto; Brenner, Davis, Pizarro. All.: Runjaić.

Arbitro: Chiffi di Padova.

BIO: ILARIA MAINARDI

Nasco e risiedo a Pisa anche se, per viaggi mentali, mi sento cosmopolita. 

Mi nutro da sempre di calcio, grande passione di origine paterna, e di cinema. 

Ho pubblicato alcuni volumi di narrativa, anche per bambini, e saggistica. Gli ultimi lavori, in ordine di tempo, sono il romanzo distopico La gestazione degli elefanti, per Les Flaneurs Edizioni, e Milù, la gallina blu, per PubMe – Gli scrittori della porta accanto.

Un sogno (anzi due)? Vincere la Palma d’oro a Cannes per un film sceneggiato a quattro mani con Quentin Tarantino e una chiacchierata con Pep Guardiola!

2 risposte

  1. Posto che il Nadir del Diavolo si sia materializzato con la saga suicida dei penalties in una serata storta con una luna calante tra i fatui bagliori di un Lungarno ingrossato da corpose e stizzose lacrime di rabbia rossonera è altrettanto vero che soltanto due settimane prima la medesima squadra impartiva con l’accecante luminosità di un perfetto Zenit una sonora lezione di calcio agli odiati cugini d’oltre Naviglio. Al Milan non serve più quella bussola che aveva trovato nella persona di Stefano Pioli perché come tutte le bussole sono fortemente sensibili ad errori nelle vicinanze di campi magnetici, cosa ormai superata dopo l’invenzione della girobussola risultando invece esente da questa anomalia e la nostra attuale speranza di successo, racchiusa nelle mani del timoniere Fonseca, dovrebbe sicuramente avere questo prezioso strumento nel suo personale display del cockpit di regia unitamente al dono, abbastanza raro in verità, della sua inattaccabita’ da parte dei vari rumors che aleggiano in tutte le salse negli ambienti di Milanello e dei social.
    Bene nel derby con un modulo inedito, ed altrettanto bene nelle sue scelte dopo la sfortunosa trasferta viola con la coraggiosa esclusione dei rivoltosi della borraccia in gita al Colosseo e dei ribelli massonici alla roulette dei rigori nello splendore della città gigliata.
    Ed allora auguriamoci di vero cuore che non ci sia due senza tre carissimo Paulo!

    Il solito Chapeau Ilaria per la non semplice stesura dell’articolo sopratutto nella sua parte iniziale!
    Buona serata!

    Massimo 48

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *