Ci sono tanti tipi di calciatore: quello scarso e quello bravo, quello tecnico e quello tutta corsa, quello abile di testa e chi con i piedi fa quello che vuole, chi è una bandiera e chi cambia squadra ogni anno. Tutti questi calciatori si trovano ovunque ed in tutte le categorie del Mondo, Marco Van Basten non rientra in questo elenco ed il motivo è semplice: Marco van Basten fa parte di quella ristretta cerchia di calciatori che passano una volta ogni secolo, giocatori il cui nome rimarrà impresso nella storia del calcio e nessuno si dimenticherà mai di loro.
Oggi van Basten compie 60 anni. Il “cigno di Utrecht” (storico soprannome datogli da Carlo Pellegatti) meriterebbe che gli venisse dedicata una parte di una qualsiasi enciclopedia (anche se sulla Treccani lo si può trovare): è stato un attaccante prolifico, uno che ha cambiato la storia del calcio, uno che ha ispirato milioni di ragazzi e fatto impazzire tantissimi tifosi. E tantissime difese.
Una carriera fantastica la sua, iniziata nell’Ajax e chiusa nel Milan: 14 stagioni (le ultime due senza una presenza), 277 gol, trofei vinti a bizzeffe e terzo giocatore a vincere tre Palloni d’oro. Tutto però terminato venerdì 18 agosto 1995 quando, in una calda serata agostana, decise di dire addio al calcio prima del Trofeo Berlusconi tra il Milan e la Juventus. Aveva solo 28 anni e quella maledetta caviglia che lo tormentava da (praticamente) sempre, lo costrinse ad abdicare il suo regno. Con i se e con i ma non si fa nulla, figurarsi nel calcio: oggi le carriere dei calciatori arrivano tranquillamente a 34-35 anni e chissà cosa avrebbe potuto regalare ai tifosi del Milan (o delle eventuali sue squadre successive), alla Nazionale olandese e al Mondo del calcio se non si fosse ritirato così giovane. Non lo sapremo mai, ma ci basta anche solo vedere quello che ha regalato al calcio nei suoi anni con sulle spalle quella maglia numero 9 del Milan che grazie a lui in attacco ha vinto tutto il vincibile, riscrivendo la storia di questo sport (del club meneghino).
Marco van Basten (nato Marcel) era uno che sapeva già da piccolo cosa avrebbe fatto da grande: spinto dal padre Jopp (in passato ex giocatore di Eredivisie con la maglia del DOS Utrecht con cui vinse un campionato nazionale e allora dipendente di una ditta di trasporti ma con una passione sfrenata per il calcio e per le sue statistiche su calciatori olandesi del tempo), aveva già da ragazzino (per non dire bambino) le stimmate del campione. Dopo la trafila tra le squadre giovanili di Utrecht, nel 1981 il grande (grandissimo) salto di qualità: l’Ajax.
Gli ajacidi erano tra le squadre più nobili del calcio europeo e mondiale, ma dopo la cavalcata degli anni Settanta (tre Coppe dei Campioni tra il 1971 ed il 1973 ed il quadruple nel 1972) erano un po’ in affanno. In patria, l’Ajax era la squadra più forte ed era famoso per il suo settore giovanile. Settore giovanile da cui provenivano gli assi dell’Ajax del calcio totale, Johann Cruijff su tutti. E le strade tra lui ed il “profeta” si incontrarono proprio nel 1981: van Basten era in rampa di lancio mentre Cruijff era appena tornato in Olanda dopo il periodo NASL (North American Soccer League). Van Basten si era avvicinato al calcio proprio negli anni d’oro del calcio olandese e aveva nel talento di Betondorp il proprio faro. E giocare in squadra con lui non poteva che fargli bene.
Gli fece così bene che van Basten debuttò in Eredivisie il 3 aprile 1982 contro il NEC Nijmegen. Fuori il campionissimo con il numero 14, dentro il giovane ragazzo di Utrecht. Fu un cambio tecnico, ma anche un passaggio di consegne visto che Cruijff si sarebbe ritirato due anni dopo mentre di van Basten si diceva da tempo che fosse un predestinato. E infatti in quella partita segnò dopo appena 22 minuti dal suo ingresso in campo. Era tutto scritto: era nato il 31 ottobre 1964, il 15 novembre successivo Cruijff debuttava da professionista nell’Ajax.
Nessuno poteva immaginare che dieci anni dopo Marco van Basten avrebbe vinto il terzo Pallone d’oro, come Platini e come lo stesso Crujff.
Van Basten rimase con i biancorossi di Amsterdam fino al termine della stagione 1986/1987: l’Ajax non poteva garantirgli quel salto di qualità che lui voleva e quindi passò al Milan per neanche 2 miliardi di lire. Viene presentato in via Turati, sede del club del Diavolo, il 23 aprile 1987. Unica nota negativa era il fatto che prima della fine dell’ultima stagione in maglia ajacide subì il primo intervento alle caviglie che lo tenne fuori dal campo per tanti mesi ma che gli permise di tornare poco prima della finale di Atene di Coppa delle Coppe. All’ultima giornata di campionato, segna quattro reti e dice addio allo stadio “de Meer” in grande stile e i tifosi ajacidi gli dedicano uno striscione di “arrivederci” in italiano.
Il Milan del 1987 era un po’ come l’Ajax di quel tempo: una squadra con un passato nobile ma che non riusciva più ad imporsi non solo in Europa, ma anche in Italia. I rossoneri erano da un anno nelle mani di Silvio Berlusconi il quale aveva un sogno: riportare il Diavolo sul tetto d’Italia, d’Europa e del Mondo e per farlo aveva a disposizione tantissimi soldi che investì nel portare a Milanello giocatori che sarebbero andati a nozze con le idee del nuovo tecnico Arrigo Sacchi, un 41enne romagnolo con una nuova visione di calcio.
Van Basten arrivò in Italia con in bacheca tre titoli olandesi, tre Coppe d’Olanda, una Coppa delle Coppe (con suo gol in finale contro il Lokomotive Lipsia) e quattro classifiche marcatori consecutive vinte, segnando ben 118 reti. Inoltre nel 1986 vinse anche la Scarpa d’Oro. La Serie A si apprestava ad abbracciare un ragazzo di 23 anni che da solo aveva vinto più di tanti altri calciatori che allora militavano nel nostro campionato. Una macchina da gol con un fiuto del gol incredibile. Del resto la nostra Serie A era il campionato più bello e difficile del tempo ed uno come lui andava ad alzare ancora di più il livello tecnico.
Il primo Milan di van Basten vedeva in attacco un altro giocatore olandese che avrebbe vinto a dicembre il Pallone d’oro, Ruud Gullit, arrivato nella stessa sessione di mercato dal PSV Eindhoven.
Non ci fu miglior debutto in campionato per Marco van Basten il 13 settembre 1987 all’Arena Garibaldi di Pisa: gol su rigore ad Alessandro Nista e Milan che vince 1-3 in trasferta. Ma van Basten prima di quella domenica aveva già giocato cinque partite di Coppa Italia: cinque gol segnati.
Da quel momento, e fino al suo ritiro, segnerà in tutto 125 reti rendendolo oggi il settimo marcatore di sempre del Diavolo (superato da Shevchenko e Filippo Inzaghi). Sbocciò un amore viscerale tra lui e la squadra rossonera, tanto che nel 1999, per il centenario del club, il “cigno” venne eletto miglior giocatore di sempre del Milan.
La prima stagione in rossonero fu segnata dall’assenza per oltre sei mesi a causa di un’altra operazione alla caviglia che lo tenne lontano dai campi, facendolo tornare in campo nel rush finale del campionato contro il Napoli. Rush finale vinto dal Milan che tornava a vincere il titolo nazionale dopo nove anni. Il che significava una cosa: partecipazione alla Coppa dei Campioni.
Dalla stagione successiva, van Basten riscriverà la storia del calcio perché uno come lui passa una volta ogni secolo. Un esempio? La vittoria consecutiva di due Coppe dei Campioni, due Supercoppe europee e due Coppe Intercontinentali. Il sogno di Berlusconi si era avverato: era riuscito a portare il Milan dove voleva e grazie ai suoi ragazzi ci riuscì in meno di tre anni. E van Basten fu decisivo ovunque, a qualsiasi latitudine. La caviglia teneva e lui in campo danzava con la palla tra i piedi. Lui che era un mix di forza, tecnica, corsa ed un fiuto del gol come pochi. Per capire ancora di più su cosa era in quel tempo Marco van Basten si consigliano di vedere due partite:
Milan-Real Madrid del 19 aprile 1989 con cinquina del Milan alle merengues, tutti e tre gli olandesi in rete e van Basten autore di una prova davvero maiuscola; la finale di Barcellona contro lo Steaua Bucarest.
Era la punta di diamante di una squadra che giocava a memoria, che incantava e che lasciava le briciole agli avversari. Era il Milan di Baresi, Maldini e Costacurta in difesa, di Donadoni, Ancelotti e Evani in difesa e dei tre olandesi, perché oltre a Van Basten e Gullit la stagione 1988/1989 vide in rossonero anche l’arrivo di Frank Rijkaard. I tre olandesi decisero le due finali di Coppa dei campioni contro Steaua Bucarest e Benfica: doppiette di van Basten e Gullit a Barcellona, gol di Rijkaard a Vienna. E i tre arrivarono ai primi tre posti nella classifica del Pallone d’oro 1988, vinto da un van Basten ormai lanciato verso l’Olimpo del calcio mondiale. Van Basten era al suo prime, era carico, giocava in un contesto di fenomeni dove lui era il più fenomenale.
Come se non bastasse nel 1988 l’Olanda vinse in Germania Ovest l’Europeo: a distanza di 14 anni, l’Olanda, grande favorita del Mondiale tedesco occidentale del 1974, vinse la manifestazione continentale con un Marco Van Basten in formato spaziale, autore di cinque gol tra cui quello bellissimo in finale contro l’URSS: un gol che dovrebbe essere mostrato in tutte le scuole (e non solo quelle calcio) per la precisione e la tecnica nel calciare al volo da posizione defilata un gol che ha fatto la storia del calcio. E pensare che l’allora tecnico oranje, Rinus Michels (sì, proprio quel Rinus Michels) nella prima partita del girone sempre contro i sovietici non lo fece giocare dal primo minuto: lo schierò dalla seconda partita contro l’Inghilterra e il centravanti di Utrecht prese per mano i suoi compagni e li portò ad alzare la Coppa Henri Delaunay dopo la tripletta alla Nazionale dei Tre leoni, il gol contro la Germania Ovest in semifinale ed il gol in finale. Michels non era riuscito a vincere il Mondiale con Cruijff, ma aveva vinto l’Europeo con il suo degno erede, Marco van Basten nato Marcel.
Il Mondo era ai piedi dell’attaccante di Utrecht e la Serie A era stregata dalle gesta del Milan e di quel ragazzo che con entrambi i piedi faceva quello voleva. E gli anni d’oro di Van Basten nella nostra Serie A lo vedeva in campo con altra gente che passa una volta ogni cento anni: da Maradona a Matthaeus, da Vialli ai “primi” Baggio e Batistuta a Beppe Signori.
Il 1992 è stato l’anno dell’ultimo vero van Basten: campione d’Italia con il Milan, vincitore della sua seconda classifica marcatori, gli incredibili poker segnati tra l’8 ed il 25 novembre contro il Napoli in campionato e contro il Goteborg in Coppa dei Campioni, diventando il primo a segnare quattro reti in una singola partita della coppa più bella di tutte e a dicembre arrivò il terzo Pallone d’oro.
Perché l’”ultimo vero Van Basten”? Perché è la caviglia a farsi sentire e a creargli tanti (troppi) problemi: terzo intervento e ritorno in campo solo il 25 aprile 1993 ed il 9 maggio 1993 segnò il suo ultimo gol in maglia Milan: rete all’Ancona e, come nel primo gol, Alessandro Nista ancora battuto. Van Basten volle giocare la finale di Monaco contro il Marsiglia, ma la sua prestazione fu opaca come quella dei compagni che videro la squadra francese vincere la Coppa dei Campioni.
Intanto la caviglia lo stava tormentando e se una persona vuole guarire da questo problema non può che farsi operare: non ci sono vie di uscita e si sottopose al quarto intervento sette e salto tutte le stagioni 1993/1994 e 1994/1995. Si scoprì che Van Basten era nato con un difetto congenito delle cartilagini, una cosa difficilmente curabile.
Per lui era diventata troppa la paura di forzare il tutto. Era diventata troppa la paura di avere conseguenze che si sarebbero potute fare sentire anche negli anni successivi. Tutto era diventato una via crucis tra i continui interventi e le tante riabilitazioni. Si era affidato ad ogni cosa pur di guarire e anche un tifoso si era offerto di donargli le sue cartilagini per aiutare l’attaccante olandese a tornare a giocare. Ma nulla: van Basten il 17 agosto 1995 prese la drastica decisione: addio al calcio a 28 anni in una conferenza stampa preparata ad hoc nella sala di trofei del Milan. Nel 1987, quando arrivò, di trofei ce n’erano 19, quel giorno se ne contavano trentacinque anche grazie a lui in campo.
Celebri le sue parole in quel momento con alla sua destra Ariedo Braida e a sinistra Adriano Galliani: “La notizia è corta: semplicemente ho deciso di smettere di fare il calciatore”. Tredici parole lapidarie, senza via di uscita.
La notizia arrivò come un fulmine a ciel sereno: nessuno avrebbe pensato che avrebbe detto addio a quello sport che lo aveva fatto diventare una star mondiale ed uno dei più forti giocatori della storia del calcio a quell’età. Purtroppo era tutto vero e fu veramente triste vederlo scendere in campo nel suo stadio quel 18 agosto, quel “Meazza” che si era innamorato del suo bomber olandese. Quella “passeggiata” in jeans chiari, camicia rosa, giubbotto di renna e mani alzate a salutare e ringraziare tutti gli spettatori in quello stadio dove era diventato il più forte di tutti. Quel giro di campo, omaggiato da una standing ovation da parte di tutto lo stadio, fu il giusto tributo verso un grande del calcio.
Dopo il suo ritiro dal calcio giocato passò alla panchina: tra il 2003 ed il 2016 fece l’allenatore iniziando con la Primavera dell’Ajax, per poi passare alla Nazionale olandese (che portò alla qualificazione del Mondiale tedesco del 2006 e all’Europeo austro-svizzero di due anni dopo senza impressionare in nessuna delle due manifestazioni), alla prima squadra dell’Ajax (dove rimase solo sei mesi nel 2008), poi due stagioni all’Heerenveen e tre giornate nell’AZ Alkmaar nel 2014 dove si dimise per una serie di problemi personali e poi chiudere la carriera nel biennio 2015-2016 come vice di Danny Blind ancora in Nazionale oranje.
Oggi Van Basten è FIFA ambassador, opinionista sportivo e per due anni (dal 2016 al 2018) è stato delegato FIFA per le riforme tecnologica su nomina del Presidente Gianni Infantino, dove si contraddistinse nel gennaio 2017 con la sua “cura” per migliorare il gioco del calcio: otto suggerimenti particolari (tra cui l’abolizione del fuorigioco), ma di cui due sono state adottate, ma non per merito suo (solo il capitano di una squadra può protestare contro l’arbitro e più sostituzioni durante il corso di una partita, quest’ultima effettuata dai tempi del Covid).
Manca tantissimo al gioco del calcio Marco van Basten. Si è sempre parlato, come per tutti quelli che passano sui campi da calcio una volta ogni cento anni, su chi fosse il suo erede: nessuno si è mai avvicinato al suo livello proprio perché uno come lui passa una volta ogni cento anni.
Cosa rimane oggi di Marco van Basten? Tanti si sono innamorati del gioco del calcio grazie alla classe e alla leggiadria del “cigno”, dove lui ed il pallone si volevano bene e parlavano la stessa lingua.
60 anni sono una bella età, un’età dove si può iniziare a fare le somme (e le sottrazioni) della propria vita. Calcisticamente Marco van Basten manca come il pane, lui che è stato un maestro dello sport più bello del Mondo, un giocatore ed un compagno leale, un esempio per tutti. Fonte di ispirazione per tanti.
Rimane il rimpianto: se avesse avuto le caviglie a posto, cosa avrebbe fatto? Cosa avrebbe regalato ai tifosi? E pensare che ha fatto tantissimo con quelle caviglie “ballerine”. In campo era agile, scattante, tecnico, strabordante ma tanto, tanto fragile. Quelle caviglie, quelle maledette caviglie.
Una vera ingiustizia per lui e per tutti noi. In pratica ha scritto la storia del calcio essendo poche volte al 100% e nonostante questo ancora oggi è nell’Olimpo di questo sport.
Ha fatto i fatti Marco van Basten nato Marcell. E ringraziamo papà Joop per aver indotto il figlio al calcio nel 1972. 1972, l’anno in cui l’Ajax di Cruijff vinse tutto.
Era destino, Marco. E noi tifosi di calcio ti ringrazieremo sempre e balleremo con te come tu facevi dopo i gol che segnavi. E sicuramente ballerà con te anche Jopie, il tuo amichetto pazzo come te per il gioco del calcio (e di cui si diceva un gran bene) e che hai visto morire inghiottito da un lago ghiacciato quando avevi solo sette anni e lui otto.
Detto questo, buon compleanno Marco van Basten. O meglio, fijne verjaardag Marco.
BIO Simone Balocco: Novarese del 1981, Simone è laureato in scienze politiche con una tesi sullo sport e le colonie elioterapiche nel Novarese durante il Ventennio. Da oltre dieci anni scrive per siti di carattere sportivo, storico e “varie ed eventuali”. Tifoso del Novara Calcio prima e del Novara Football Club dopo, adora la sua città e non la cambierebbe con nessun altro posto al Mondo. Collabora da tempo con la redazione sportiva di una radio privata locale e ha scritto tre libri, di cui due sul calcio. I suoi fari sono Indro Montanelli e Gianni Brera, ma a lui interessa raccontare storie che possano suscitare interesse (e stupore) tra i lettori. Non invitatelo a teatro ma portatelo in qualunque stadio del Mondo e lo farete felice.
Una risposta
Come al solito Simone il tuo modo di scrivere è straordinario, ti prende, ti fa rimanere incollato al foglio o meglio allo schermo dello strumento digitale dall’inizio alla fine.
Parlavi di due righe su Marco, ma queste due righe sono infinite. Con tale biografia sicuramente i ragazzini d’oggi potranno conoscere per filo e per segno quel grande campione che era Marco.
Io non sono milanista di fede, ma dopo la fede azzurra del Novara, manifesto simpatia per i colori bianconeri, ma Marco è Marco e chi ama il calcio non può non amarlo.
Gelosamente conservo a casa la sua maglia che mi è stata regalata come scherzo al matrimonio .
Ciao Simone, sempre grande.